L'esordio della Wertmuller contiene in nuce buona parte delle tematiche che poi affronterà nei suoi film più fortunati ed apprezzati, ancora con una componente grottesca contenuta ma che aleggia nell'umorismo di cui la pellicola è intrisa, la regista si occupa di mostrare una stantia quotidianità in un paesino del sud Italia, nell'entroterra pugliese con tutti i vizi ed i problemi della gente del luogo, a partire dai protagonisti stessi, giovani insoddisfatti che però non trovano la forza di ribellarsi o passare oltre una procrastinazione che li ancora prepotentemente al paesino, tra le solite giornate a fare pennichelle, andare al circolo e bere qualcosa al bar, apatici e improduttivi, vittime di un contesto che come sabbie mobili rende impossibile divincolarsi da esso.
Vi è tra le altre anche una forte critica al provincialismo e alla chiusura mentale di un paese apparentemente arretrato nel quale sembra il boom economico non sia mai arrivato, un paesino che vive di cortile in cui tutti sanno i fatti di tutti, ed alcuni per evitare di far parlare cercano di insabbiare tutto, basti vedere il ragazzo con la nuova fidanzata bionda che sarà argomento di conversazione dei protagonisti e non solo, un'altra tematica tirata in ballo è quella dello scontro generazionale, come si vede con i genitori di Antonio, specialmente il padre, contadino vecchio stampo che non tollera più i suoi studi e il bisogno di soldi del figlio, che vorrebbe andasse a fare un lavoro manuale come il suo, ancora legato al matrimonio concordato, che spinge il figlio più piccolo a sposare la figlia del farmacista del paese per assicurarsi una buona dote.
Con una tecnica registica di ottima fattura, nonostante l'evidente povertà di mezzi, e in una durata piuttosto esigua, la Wertmuller mette a nudo una società fatta di pregiudizi e apparenze, dove pure la vecchietta che si toglie la vita indica di fare silenzio alla vicina per non destare troppo scalpore, dove anche il protagonista con tutte le sue ambizioni e nonostante l'opportunità, non riesce a scrollarsi di dosso un mondo che lo ha inglobato fin dalla nascita, una realtà che lo ha portato a diventare come quelli da cui vorrebbe distinguersi, non riuscendo a fare a meno di loro, azzeccato il paragone con "I vitelloni" di Fellini, ma stilisticamente mi ha ricordato molto anche le opere di Germi del periodo stesso, da "Divorzio all'Italiana" a "Signore e Signori" in cui l'ipocrisia di una società bigotta e patriarcale veniva a galla più che mai, la Wertmuller approfondirà la questione con Giannini il decennio successivo, ma questo è già un esordio molto buono e un ottimo punto di partenza, che ahimè risulta ancora amaramente attuale.