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IL MUCCHIO SELVAGGIO regia di Sam Peckinpah

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stratoZ     9½ / 10  26/08/2024 12:38:50 » Rispondi
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

Il capolavoro di Peckinpah, uno dei capisaldi del western crepuscolare più duro, grezzo, sporco, che rappresenta la totale caduta degli ideali portati ed esaltati dal genere nel periodo classico, un'opera dove il regista dosa abilmente la nostalgia, i buoni sentimenti che potrebbero emergere nei rapporti tra i personaggi, dando una maggiore preponderanza al cinismo, è così che crea tre principali fazioni in cui non ci sono più buoni o cattivi, ma solo criminali, criminali e altri criminali, che siano i banditi che commettono le loro malefatte, che siano i cacciatori di taglie, criminali anch'essi e costretti da una legge vista comunque in una pessima luce, che siano un'istituzione militare capeggiata dal generale, alla fine finiscono tutti nel calderone dei criminali, vengono rappresentati tutti come sporchi e senza scrupoli, capaci di usare una donna per pararsi dai colpi di pistola, di seguire gli avvoltoi per trovare quel cadavere che può portarli a riscuotere una discreta somma, in questo western ambientato in un periodo considerato tardo per il genere, quello di inizio novecento, in realtà alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, l'eroismo è finito del tutto, rimane solo l'opportunismo e una piccola luce, quella dell'amicizia, vista in un finale apparentemente consolatorio e nostalgico, non è un caso che i due amici rimasti siano parecchio attempati, quelli che hanno vissuto l'epoca del vecchio west, di cui buona parte dei conoscenti è stata portata via dalla striscia di violenza in cui si è passati, ma anche loro in un certo senso, seppur fanno trasparire un rispetto reciproco, giocano a tirare avanti.

"The Wild Bunch" è un'opera dove la descrizione dei personaggi travalica i classici concetti di bene e male, i banditi in buona parte dell'opera fanno una figura migliore degli inseguitori, Peckinpah ne esalta la componente umana, creando anche qualche scena a sfondo picaresco come le pause dal generale in cui si concedono i piaceri della vita tra donne, alcool e divertimento, usando una tecnica da film corale che esalta gioiosamente questi momenti "oasi" tra una striscia di violenza e l'altra, allo stesso tempo mostra l'inettitudine degli inseguitori, capeggiati da Thornton, ex socio di Pike, il capobanda dei banditi, costretto ad inseguirlo per non essere rimandato in prigione, Thornton disprezza i suoi stessi compagni, li considera incapaci e tra la peggior feccia, esplicitandolo anche in dialoghi in cui elogia i banditi considerati da lui tra gli uomini più capaci che conosce, allo stesso tempo vi è pure il generale, violento despota che controlla questo manipolo di duecento uomini pronti a stare ai suoi ordini e a spargere violenza, probabilmente vi è in lui una critica all'istituzione militare, sempre distaccandosi dal western classico in cui spesso l'esercito era visto sotto una buona luce e ne venivano narrati gli atti eroici, qui è descritto in tutta la sua violenza e sete di potere, con a capo un egocentrico instabile che da costantemente la sensazione di essere pericoloso e le persone che gli stanno accanto fanno di tutto per compiacerlo per evitare spargimenti di sangue.

Peckinpah impone uno stile splendido alla pellicola, una regia di assoluto impatto che riesce in primo luogo ad accrescere incredibilmente la tensione, basti già guardare la scena iniziale con la parata in centro città durante la rapina alla banca e la sensazione di estremo pericolo, così come l'uso che fa del montaggio alternato, mostrando i punti di vista delle parti, tensione che diventa ancor più evidente nella scena della rapina al treno, in cui gioca tanto anche col sonoro, con gli inseguitori sopra al treno e la banda che vuole rapinare che cerca di fare il meno rumore possibile, fino ad arrivare all'inseguimento a cavallo e il treno rimandato indietro dopo aver preso i fucili che si va a schiantare col resto del vagone in una scena al cardiopalma, ma è impossibile, parlando di questo film, non citare l'estetizzazione della violenza di Peckinpah, con i suoi rallenty e questo uso del sangue così vivido e gli schizzi esagerati, spianando la strada anche ad un tipo di cinema postmoderno che più avanti ne prenderà tanta ispirazione - qualcuno ha detto Tarantino? - e quella scena del massacro finale, da manuale, quattro uomini contro duecento, con l'ultima punta di orgoglio che gli è rimasta a vendicare il compagno ucciso dal generalissimo, tra mitragliate, cadute dalla cinta muraria, una sarabanda grezza e stilisticamente impagabile, che dire straordinaria.

Un manifesto del cinema di Peckinpah, che qui mostra tutto il suo cinismo e il pessimismo intrinseco in un mondo dominato dalla decadenza morale e una violenza plastica che non risparmia nessuno, neanche i bambini, come si vede fin dalla primissima scena con quegli scorpioni intenti a combattere contro l'esercito di formiche e gli infanti che guardano estasiati. Capolavoro.