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LA SOTTILE LINEA ROSSA regia di Terrence Malick

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amterme63     8½ / 10  18/03/2008 23:24:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E’ possibile parlare di guerra tramite il linguaggio della poesia? Sì, Malick ci ha provato e bisogna dire che ci è riuscito. A suo modo ha creato un’opera d’arte originale, certamente non perfetta, ma affascinante e che lascia il suo segno in chi la guarda. La guerra non è l’unico argomento, o meglio sembra essere l’oggetto privilegiato per lo scopo del film: riflettere sull’origine del male e sul mistero del passaggio dalla vita alla morte (la famigerata linea rossa) e se esiste qualcosa dopo la vita. Uno spettatore “comune” soffrirà senz’altro la lunghezza e la “monotonia” del film. Secondo me così si contribuisce invece a esprimere e a chiarire meglio il messaggio che si vuole dare.
La dicotomia fra la rappresentazione materiale e oggettiva di un fatto reale e drammatico (la guerra) e la trattazione di temi spirituali, si riflette nella forma del film. E’ un film corale con tanti “protagonisti dove non c’è un’unità stringata di luogo, tempo e azione. Lo svolgersi delle scene con i relativi dialoghi è spesso inframezzato da una voce fuori campo che riporta i pensieri del personaggio oggetto della scena o addirittura riflessioni filosofiche generali, veri e propri inviti alla meditazione. Grande rilievo è poi dato all’ambiente in cui si svolge la storia: il paesaggio, l’erba, la natura, gli indigeni, gli animali svolgono lo stesso ruolo dei soldati, contribuendo in egual misura al significato del film. Viene fuori uno strano contrasto fra scene brutali, distruzioni, carneficine e lo spettacolo naturale puro, quasi incantanto, che assiste in maniera meravigliata a questo scoppio “innaturale”, quasi inesplicabile.
L’”utopia” è presentata nelle prime scene ed è la stessa che sognava Gaugin: la vita libera in una natura bella e amica. L’uomo, invece di diffondere questa utopia, cosa ha fatto? Ha distrutto anche quei pochi luoghi (La Polinesia) dove forse esisteva. Chi ha cercato di vivere l’utopia si trova così costretto a vivere una realtà opposta. Questo personaggio (di cui non ricordo il nome) però non si arrende interiormente, cerca di mantenersi dentro gentile, altruista, rispettoso dei nemici e soprattutto continua a “credere” nella spiritualità umana, in un disegno armonico e positivo che vive dentro tutti noi e che sopravvive con la morte. Lui cerca questo fuoco, questa scintilla dappertutto, nei volti dei morenti e brama quasi vivere quest’esperienza “sublime” del passaggio verso un qualcosa di puro e assoluto, che secondo lui sta dietro un evento drammatico come la morte.
Malick è l’anti-Oliver Stone. Platoon inizia con un giovane idealista che subisce l’impatto con la guerra e arriva a rinnegare i suoi principi e a diventare il contrario di quello che era. Qui invece il giovane idealista mantiene intatti i suoi principi nonostante la brutalità, anzi sembra quasi diffonderli e convincere anche altre persone (Sean Penn). Addirittura anche i “cattivi” hanno una loro voce interiore contraria a quello che fanno, tanto per confermare l’ipotesi che forse tutti hanno dentro di sé la “scintilla”. In “Natural Born Killers” si spiega che il male è connaturato all’essere umano e che anche la natura partecipa di questo principio; qui invece si nega che la natura sia malvagia o cattiva in sé, mentre il male appare come un’entità separata che affligge l’uomo ma che in sé non fa parte della sua natura.
La condanna “spirituale” della guerra è netta: “Da dove viene questo male? Perché ha avvelenato il mondo?”, “La guerra non nobilita l’uomo, lo fa diventare un cane rabbioso”. Del resto il film non ci risparmia niente di tutto ciò che è orribile e irrazionale. Altra accusata è l’ipocrisia e la fame di “gloria”. La vicenda in qualche modo riecheggia quella di “Orizzonti di Gloria” e mistifica il falso paternalismo e la retorica guerresca.
Malick si occupa solo del lato spirituale-filosofico della guerra, non indaga le cause sociali, economiche o politiche. Il suo scopo è solo quello di spingere lo spettatore a farsi delle domande, di fornire spunti di riflessione universali. Dal film non giunge alcuna risposta o soluzione, anzi forse traspare nei fatti quasi l’”inutilità” di questo approccio. I personaggi subiscono passivamente quello che gli viene detto di fare, il loro rifiuto è esclusivamente interiore e individuale e quindi non si vede come si possa in futuro debellare o eliminare un tale evento se non si indicano vie “concrete”, collettive o volontaristiche. Questa però è solo una mia considerazione personale, quello che conta è che il regista ha centrato in pieno il suo obiettivo di creare un’opera coerente, esteticamente valida e che colpisce l’animo e l’intelletto umano. Insomma vale senz’altro la pena vedere questo film.
Phelps  19/03/2008 00:30:06Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
minkia papello
onda  09/04/2008 10:37:31Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non sono del tutto d'accordo sul fatto che (nell'ottica del film) il male non faccia parte della natura.
All'inizio, infatti, la voce dice: "esiste una forza vendicativa nella natura?".
La natura stessa, quindi, presenta aspetti conflittuali.
amterme63  09/04/2008 22:41:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il fatto che ci si ponga la domanda vuol dire che non lo si dà per scontato, come fanno ad esempio tanti film tipo "Natural Born Killers". Il coccodrillo della scena iniziale è sì un'immagine "inquietante" della natura, ma certamente lui utilizza la "violenza" per sopravvivere, non certo per autodistruggersi come fa l'uomo. Per questo gli animali e le piante guardano incuriositi lo spettacolo di questi esseri che si sparano fra di loro.