caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

LA REGOLA DEL GIOCO regia di Jean Renoir

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Invia una mail all'autore del commento nocturnokarma     9 / 10  08/01/2013 11:01:15Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Seminale capolavoro di maestria registica e narrativa, in anticipo sui tempi per come cambia registro e tono, e film chiave per l'evoluzione del cinema francese (ed europeo). La mezz'ora introduttiva, più che invecchiata decisamente distante anni luce dal ritmo serrato del cinema contemporaneo, è un duro fardello per la pazienza dello spettatore meno attento. Ma il crescendo, sia di ritmo che d'implacabile e amara disamina di un mondo che sta scomparendo (l'aristocrazia e alta borghesia pre-bellica) è magistrale.

Renoir usa la profondità di campo e lunghi piani sequenza sia per affrontare e superare la teatralità della trama e dei luoghi (unità di tempo, azione e luogo in tutta la seconda parte), sia in funzione critica. Con una profondissima conoscenza sia della tecnica di ripresa che delle sue implicazioni psicologiche e metaforiche: non a caso il film sarà rivalutato e amato dagli autori della Nouvelle Vague. Espedienti registici ora dati per scontati, ma qui codificati e, giustamente, da manuale.

Il risultato è un potentissimo ed implacabile ritratto di una società alla deriva, dove la lotta di classe è diventata compartecipazione di colpe morali e pulsioni amorose. In un mondo "dove tutti hanno le loro ragioni" (come dice Octave, magnificamente interpretato dallo stesso Renoir), non ci si limita ad una critica "di sinistra" sulle regole del gioco (dell'alta società, ma in fin dei conti della vita stessa): Renoir non salva nessuno, padroni o servi. E a pagare sono solo gli intrusi, gli invitati alla battuta di caccia (lo snodo narrativo chiave) per non incrinare lo status quo.

Un film non facile, fondamentale per chi ha (o vuole iniziare ad avere) una conoscenza dell'evoluzione della storia del cinema; folgorante per la ricchezza di temi proposti (che richiede una conoscenza non superficiale del clima dell'epoca), profondamente politico senza essere predicatorio.

Il cinema d'autore europeo al suo meglio per come non conosce, e non pratica, i sentieri melodrammatici di Hollywood, che inganna con una storia all'apparenza allegra, intrisa di vitalità, falsità e pessimismo tutt'altro che accademico. Da cineteca!