amterme63 7½ / 10 08/12/2011 16:46:56 » Rispondi Si tratta di un film molto particolare, quasi sperimentale. Se lo si guarda dal solo punto di vista del divertimento o del passatempo, allora è meglio lasciar perdere: ritmo molto lento, espressione scarnissima, mancanza di corrispondenza fra atto recitativo e evento rappresentato, difficoltà di inquadrare nei suoi nessi logici le immagini, i piani temporali e spaziali. Per chi ama invece ciò che è orginale, anti-convenzionale e soprattutto poetico e irrazionale, allora non può che apprezzare quest'opera visivamente magnifica, molto curata e suggestiva dal punto di vista della comunicazione estetica. Anche chi ama cercare il senso recondito e metaforico, l'espressione ricercata e sottile fatta di nessi illogici, o meglio a-logici, ha pane per i suoi denti. E' un film che va percepito quindi soprattutto con l'occhio e l'emozione che viene dalla vista di panorami amplissimi su paesaggi aridi, immensi, dalla luce piena e dai colori vivi è indimenticabile. Bisogna vedere, non si può descrivere. Pasolini ci vuole quindi fare vivere l'esperienza della natura nella sua potenza primigenia. Anche il mondo umano è descritto nella sua forma essenziale e primitiva, quella vera, basilare, genuina (così ce la descrive il film). Il tutto è rappresentato con una vista nuda, sincera, essenziale. Non c'è alcuna sovrapposizione di gusto, colore, adattamento visivo-sentimentale moderno o commerciale. Si tratta quindi di un'esperimento artistico di Pasolini che ha voluto girare un film al di fuori di tutti i canoni visivi borghesi o "normali". La mdp ad esempio è usata in maniera insolita, per lo più a spalla o addirittura controsole. In un'inquadratura si riproduce addirittura la vista soggettiva di un neonato verso gli alberi e il cielo. La storia stessa raccontata (la tragedia di Sofocle) viene resa in maniera astratta, ridotta a pura immagine e al gioco dell'ironia del destino e del fato. I caratteri vengono espressi in maniera concentrata (che può sembrare quasi sommaria), rinunciando allo psicologismo e al sentimentalismo. L'andamento ieratico e solenne de "Il Vangelo secondo Matteo" qui è ancora più accentuato e finisce per uccidere o almeno relegare a ruolo secondario, l'eventuale messaggio etico. Citti recita in maniera strana. Non c'è niente di eroico o atletico (e questo a volte cozza gli atti mostrati). Nei suoi scoppi d'ira sembra di rivedere quasi Accattone. Quello che preme a Pasolini, più che la storia, è l'ambientazione scenica, il parallelo con il mondo primitivo attuale (si mescola l'arabo con l'africano), con la civiltà non-occidentale. Questa è l'unica che può ancora esprimere il senso del mito, dell'epica, e della poesia. Sono doti che il nostro mondo ha ormai completamente perso (questo il significato delle scene finali ambientate nella piccolo-borghese Bologna e nell'industriale Milano). E' quindi un film molto lontano dal nostro concetto abituale di film, per questo può lasciare sconcertati. A parte la fotografia, la scenografia e la musica, in effetti si fa una certa fatica ad apprezzarlo.