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UOMINI CHE ODIANO LE DONNE regia di Niels Arden Oplev

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     6 / 10  07/06/2009 19:37:29 » Rispondi
La rimozione di un passato inquietante, l'ostilità culturale in un'ambiente apparentemente favorevole, la ricerca delle proprie radici o l'inevitabile annientamento delle medesime, l'oscurantismo ideologico operato da una stirpe dominata dalla sete di denaro e di sangue, tutte tematiche della trilogia di Larsson - che il sottoscritto continua irragionevolmente a voler evitare - sono probabilmente le uniche ragioni che rendono interessante il film.
Forse uno scrittore ammirato e imitato può influenzare positivamente un mediocre, o anche un passabile regista.
Mettiamola così: per chi - come me - non ha letto il romanzo il thriller al cinema funziona moderatamente bene: non male la coppia di interpreti, soprattutto Noomi Rapace protopunk anche se ricorda tremendamente da vicino la Nikita di Luc Besson.
Ma il regista - superata una prima fase affettata ma di un certo fascino - sbaglia tempi e metodi, riducendo il tutto a un'accozzaglia di schematismi e didascalie senza fine. Non è detto che i toni enfatici siano sbagliati: anzi l'ultimo Bellocchio dimostra che si può rischiare grosso se permane quel pathos che lascia positivamente sedotti e abbagliati.
Invece, "Uomini che odiano le donne" scivola nel grottesco (la figura del vecchio patriarca ex-nazi col cervello in panne, la famiglia Wagner al completo che sembra uscita da uno scherzo di montaggio temporale) o ridicolo (tutto o quasi l'epilogo finale).
Tutto ciò spiega perchè il film non va oltre un prodotto d'intrattenimento diventando spesso pedante e superficiale
La voglia di raccontare troppe cose, come in un plot, finisce per azzerare un risultato tutto sommato dignitoso e non c'è vera pietas per le vittime, il dolore delle immagini sembra seguire sempre o solo la ricerca di un consenso dello spettatore, convenzionalmente inerme e coinvolto quanto basta per non pensare più del dovuto.
Le cose migliori sono proprio le fotografie che ricostruiscono l'albero genealogico della famiglia, ma il resto rientra nel novero del prodotto di massa atto a supportare un'intrigo accattivante quanto basta per raccogliere consensi ma non l'impetuosa (prevedo) condanna dell'originale letterario verso i peggiori soprusi del potere.
Sangue che scorre invano, tra una parodia di OO7 e una citazione di Besson (ancora) un gradevole emblema del cinema contemporaneo, con troppa carne al fuoco e scarsa predisposizione a "bruciarsi" davvero.
Eppure, la litania temporale del corpo famigliare del film mi induce a regalargli una risicata sufficienza