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VALZER CON BASHIR regia di Ari Folman

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ULTRAVIOLENCE78     9 / 10  19/01/2009 23:05:47Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
A dispetto delle citazioni dei classici del genere bellico cui il film in questione fa riferimento in più di un’occasione, in “Valzer con Bashir” la guerra si presenta come non è mai stata raccontata prima. Ari Folman, attraverso la mirabile tessitura di una trama fatta di ricordi che tratto tratto affiorano, ricostruisce quella che è stata una terribile e vergognosa pagina della recente storia mediorientale. E in questo gioco di reminiscenze, dapprima lontane e confuse poi sempre più dolorosamente vivide, prende forma la drammatica metafora sulla rimozione della memoria che, dal particolarismo dei singoli soggetti che sono stati impegnati sul fronte, si allarga fino a stabilire una sorta di ideale congiunzione tra la vicenda narrata e quella degli ebrei, che da vittime della dittatura nazista si sono mutati in carnefici, ricacciando nei recessi della loro coscienza l’orribile genocidio che li ha funestati. In ciò si obiettiva la riflessione sulla ciclicità di un agire umano che non ha memoria storica e che, nel suo reiterarsi insensato, si ripete tragicamente e incomprensibilmente allorquando se ne presentano le condizioni, le quali possono anche costituire le premesse di un disumano stato delle cose che si incancrenisce fino a cristallizzarsi in una anormale normalità (la città, che agli albori del conflitto, viveva con paura e apprensione la minaccia incombente delle guerriglie si assuefà, col passare degli anni, alle nefandezze della guerra fino a conviverci passivamente).
Folman conduce la narrazione attraverso espliciti rimandi a celebri antecedenti cinematografici, spaziando da “Apocalypse Now” a “Full Metal Jacket” fino alla “Sottile Linea Rossa”, ma sempre arricchendoli con una vena di mestizia mista a lirismo, come è esemplata dall’immagine del soldato che danza schivando i proiettili dei mitra, oggettivandosi in essa la follia della guerra (e la gigantografia di Bashir Gemayel che campeggia sulla facciata di un palazzo sembra richiamare quella follia che origina dal fondamentalismo).
I ricordi del protagonista da labili e sfocati si fanno via via sempre più netti, in virtù degli episodi evocati dai suoi commilitoni all’interno di una rete di atroci esperienze personali, tutte accomunate dall’orrore di chi ha subito una guerra di cui non voleva essere partecipe; ma soprattutto accomunate dall’orrore di chi ha assistito impotente ad un ineffabile eccidio, la cui mostruosità si incarna emblematicamente nell’immagine della bambina sepolta dalle macerie.
A questo punto le rievocazioni non sono più soltanto immagini vissute internamente come fossero momenti di un passato lontano e indistinto, ma sfociano nella più cruda e agghiacciante verità testimoniata dall’epilogo “documentaristico”, nel quale si concreta non solo il passaggio, in seno alla storia narrata, dall’immaginario alla verità storica, ma altresì, e in senso lato, dalla finzione filmica alla realtà.
Il finale è un vero e proprio pugno nello stomaco, e ha l’effetto di rendere coscienti di una drammatica situazione che, fino a quel momento, era tenuta distante dalla “mediazione” del racconto.
Nel novero delle grandi e indimenticabili pellicole legate al tema della guerra si aggiunge, oggi, un altro capolavoro.