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MASTERS OF HORROR: SULLE TRACCE DEL TERRORE regia di Takashi Miike

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Guy Picciotto     9 / 10  28/03/2007 12:19:04 » Rispondi
Imprint è l’ultimo grande capolavoro in ordine di tempo del maestro giapponese takashy miike, ovverò il miglior cineasta del raccapricciante che abbiamo oggi giorno sul pianeta terra, che sia il più grande lo si evince dalla sua sterminata sequela di capolavori e anche dalla collana masters of horror da cui è tratto questo film della durata di un ora, ad esempio il film di argento della collana è lontano anni luce, sintomo della decadenza di un modo di fare horror che ormai ha stancato e che si ricicla su se stesso senza proporre novità, e poi metterlo di fronte a questo maestro dimostra davvero di essere diventati nel caso di argento ormai merce obsoleta, miike se ne frega e continua per la sua strada, imprint è un passo ancora avanti rispetto ad “audition”, le torture mostrate in questo film sono quasi certamente le torture più efferate e traumatiche che mi sia stato dato di vedere al cinema, ancora più cruente di quelle degli ultimi folli 20 minuti di audition che turbò con la sua violenza sadica e con atmosfere stranianti al limite della sopportazione, con imprint si va ancora oltre, e come in ichi the killer Miike supera se stesso, con sequenze che trasudano il sangue nero della Morte, a corollario di qualcosa che si è mostrato a noi in uno stato di grazia irripetibile e dannata. E ancora piu estremo di altri suoi lavori per tutta una simbologia che adotta per rendere il male, l'aborto rappresentato dalla sequenza del feto strappato con le mani di forza dall’utero, o l'inquisizione della prostituta o l'immagine del feto che scorre lungo il fiume. La scena della tortura è ovviamente anche l’auto celebrazione stessa di Miike come maestro nel rendere al massimo la suggestione visiva verso questa mostra delle atrocità, pensiamo all’aborto e all’ incesto, 2 argomenti che definire tabù nei paesi occidentali è un eufemismo, e lo straniero in terra straniera, un americano, che si agira stupito ed incredulo tra queste tende rosse e che ben presto viene a conoscenza diretta di quali siano le relazioni umane e da cosa siano effettivamente mosse, l’americano in questo caso è colui che vede cosa c’è sopra la punta di ogni spillo, che vede dinanzi ai suoi occhi quello che la sua cultura ha tenuto nascosto ai suoi compatrioti ma che esiste, magari nelle prigioni di Guantanamo, ma esiste, così come esiste la metà oscura che alberga in ognuno di noi, che ci rende avidi e menzogneri, è rappresentata egregiamente dalla figura della ******* sfigurata che nasconde all’interno della sua testa la sorella gemella, rappresentata da una mano, simbolo dell’arraffare più che del stringere la mano in segno di rispetto o sinonimo dell’amicizia, ed è ancora sdoppiamento di personalità, canovaccio che ormai accompagnata tanti moderni capolavori della cinematografia (da Lynch, a Cronenberg a Tsukamoto).
La sorella demoniaca che vuole prendere il sopravvento nella testa della prostituta è l’immagine della sete di potere, sia materiale, rappresentato dall’anello che ruba e inghiotte, che spirituale dato che è evidente come la parte nascosta controlli la volontà della parte visibile.
Visionario e malato a livelli sproporzionati, il tutto che trasuda una poetica perversione da fiaba, da regno incantato.
se visitor q (forse complessivamente il più shockante film di Miike) terminava con un buon auspicio di ricomposizione familiare qua non c’è più scampo, in quanto si muore ancora prima di nascere o appena nati, senza nemmeno arrivare alla fanciullezza, o nel caso si sopravviva,si viene derubati ancora bambini dell’innocenza (il padre che stupra la figlia),
È lecito chiedersi fin dove potrà arrivare questo prodigioso cineasta, per ora godiamoci quest’altra devastante fiaba.