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ARMAND regia di Halfdan Olav Ullmann Tøndel

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Invia una mail all'autore del commento cinemaincompagn     7½ / 10  12/12/2025 11:56:44 » Rispondi
A me ha dato questa impressione: come se fosse un giudizio sull'educazione. La scuola intesa come fonte dell'educazione con tutto ciò che abbiamo visto: bambini che sembrano dei demoni, adulti che nascondono di tutto e si svelano essere il problema dei figli. Mi sembra che quel luogo fosse la fonte di un equivoco educativo.

Molto claustrofobico l'ambiente della scuola. Poi c'è la scala elicoidale, il salire sul banco, guardare verso l'alto; c'è sempre la sensazione di una tragedia imminente. Quello che mi ha colpito è la disumanità: nessuno che offre mai un fazzoletto a chi perde sangue, a chi piange.
I bambini non ci sono. È un film fatto per gli adulti. Più che la sceneggiatura è fatto bene il montaggio e la camera da presa che individua i personaggi; vengono fuori gli aspetti, il carattere di ogni personaggio con le inquadrature, col movimento.

Un'attrice straordinaria. Bravissima anche un pò istrionica.

Non so se voi avete visto il film su Freud; non ha niente a che vedere. Questo è proprio un'analisi psicologica terribile su di noi adulti, sull'educazione.

Violenza familiare.

Non è un caso che viene messa in mezzo alla scuola come un problema.

La scuola non pensa che a salvare sé stessa.

Per un attimo ho pensato che questo film potesse andare avanti altre 5/6 ore.

È troppo lungo, poteva essere tagliato.

Ma se non quella cosa del preside che dice che non era il marito risoluto.

Probabilmente un'analisi della psiche, questo film è terribile perché entra a livello mentale, nel buco di ognuno. Poteva continuare in eterno.

La domanda che mi pongo è ma come mai l'Accademia degli Oscar pensa di dare un premio a questo film? Negli adulti ci fosse uno diciamo equilibrato, che abbia una visione positiva della vita, che ha qualcosa da comunicare educativamente ai figli, agli adolescenti!

Secondo me invece è molto attuale, chiaramente esasperato, però oggettivamente la gente sta male; viviamo in un mondo in cui la gente sta male e in quei paesi forse ancora di più perché la Norvegia è come il lago di Como. Voglio dire il film è molto bello, particolare, fatto benissimo. le scene sono molto belle.

Nella parte in cui diventa musical ho bisogno di un aiuto a interpretare.

La seconda parte è onirica.

È la trasposizione della psiche perché il personaggio ha dovuto fare un percorso e in quel momento di difficoltà lei rientra, fa un passo indietro rispetto a quelle che sono le sue problematiche. Invece quello che ho visto è il giudizio: sempre comunque e assolutamente giudicare gli altri senza mai andare in fondo, come dice l'ultima frase. Anche la ripresa della mamma di Jon con la camicia azzurra in contrapposizione con il volto del quadro. Bellissima. Lei e l'altro, cioè lei. E anche la scena in cui tutte quante attaccano Elisabeth. Sembra un giudicare senza andare a fondo ed essere attaccata da tutti.

Le violenze familiari sempre sottaciute, la violenza nei confronti del marito, i lividi del bambino, il cognato che prova un'attrazione. Da un certo punto di vista in effetti non c'è nessuno che si salva.

Il marito ha il coraggio, incide il bubbone della violenza.

L'insegnante forse è la persona più equilibrata perché anche se ha una reazione emotiva.

Perché stava subendo perché aveva capito quando domanda ai genitori se sono sicuri di quello che avete riferito.

Il fatto è relativo, è una metafora normalmente esasperato in un film.

La famiglia è una famiglia violenta, il fratello usa violenza contro la moglie e lei con suo figlio addirittura era pronto a tutto.

Ho perso la concentrazione a seguire, un pò lungo. Suoni molto belli, la pioggia.

Spessore maggiore attraverso il sonoro.

La pioggia ha accompagnato tutto il film.

Rispetto all'ambientazione in Norvegia mi sembra strano che si svolge con questo pathos così violento. Perché per ciò che io conosco in Norvegia c'è un popolo che ama le distanze, i distacchi. E per questo soffrono anche di solitudine. Tranne Oslo, in tutto il resto tra una casa e l'altra ci sono centinaia di metri; non si toccano, non si guardano. In una presentazione di un libro con una norvegese io ero entusiasta dicendo che vorrei fare la mia fine in Norvegia perché mi piace la natura. Ma dopo aver visto il film e dopo aver letto questo libro, ho detto no per questo senso del distacco. Il film non mi sembra la Norvegia. Mi chiedo perché il regista vuole interpretare dei sentimenti o delle perversioni che non sono, secondo me, tipiche della Norvegia.

Ma sono dell'umanità!

Secondo me può essere un giudizio sulla società nordica. Potrebbe essere che tutto questo caos, citato nella frase finale, sia di una società che apparentemente sembra tutta ordinata, ti pensa dalla culla alla tomba, che ti risolve qualunque problema, ma che nasconde una verità, in riferimento all'ultima scena, in cui il rendersi conto della propria condizione problematica può essere il punto di partenza per avere un approccio umano. Non è indifferente la scena finale della mano della madre sulla mano del figlio. È una rappresentazione opposta a quello che descrivi e quindi probabilmente c'è un percorso di consapevolezza che accade; cioè se ci guardiamo in superficie siamo a posto come società e come persone, però se abbiamo il coraggio di guardarci dentro, possiamo ammettere di essere persone così rappresentate, ma quello è il punto di partenza per cambiare.

Operazione coraggiosa per quella che ha fatto il regista.

È un giovane che sta dicendo a una società che se guardiamo bene, cioè non rimaniamo in superficie può essere drammatico (fare balletti col il bidello nero che probabilmente è una figura diciamo immaginaria, poteva essere la coscienza; fare quella violenza di gruppo) e tutte queste cose rappresentate sono forse un modo per utilizzare le verità di noi stessi che possono disturbare, per poter avere un approccio più umano anche nei confronti del proprio figlio.

Un dato importante: il regista è stato anche lui maestro scuola elementare, ed è proprio da questo che ha preso spunto per poter riportare anche questo dato: il contatto con le famiglie.

Con il mio taglio di educatore vedo l'incapacità della scuola nell'essere sballottati tra una versione e l'altra e non avere la capacità e la possibilità di capire le cose come stanno, tranne che attraverso la casualità di un'insegnante empatica cioè è quel quid che scatta improvvisamente. Ma è difficile per l'istituzione scolastica riuscire, a volte sei veramente succube delle famiglie.

Forse anche delle procedure che sono fallite, procedure burocratiche che in realtà non vanno a capire niente, a risolvere niente.

La scuola è stata solo un pretesto.

Sembra che stiamo parlando della Norvegia, però alla fine non siamo così distanti. Non è la Norvegia, è la maschera di una società che deve funzionare.

Ricordo che nei paesi nordici c'è un elevato tasso di suicidi ed un elevato tasso di giovani senza sorriso.

Dal punto attoriale da segnalare la risata isterica che dura quasi 20 minuti e il grido muto scelta geniale del regista.

Sembra l'urlo del quadro di Munch.