cinemaincompagn 8 / 10 12/12/2025 11:52:23 » Rispondi Il film è retto da questi salti temporali, perché se fosse stato lineare sarebbe stato noiosissimo. Non è che mi è piaciuto tutto, non è un film d'azione, non è un thriller, non è un film di guerra, non è un film di fantascienza, è un film normale che parla di una cosa normale che potrebbe accadere a tutti noi, però per come è stato sceneggiato, narrato, per come sono stati montati questi salti temporali, i due attori sono proprio bravi. Il livello del film è particolare.
Per me la tragedia della malattia è piatta; a me non ha emozionato, eppure nella mia vita sto vivendo una cosa simile (un'amica che sta andando via così, con un figlio piccolo). Lui a me è sembrato proprio poco bravo. Mi è piaciuto questo montaggio che lo rende particolare, ma è un film che non lascia il segno, neanche sentimentalmente. Lei è bravissima.
È fin troppo equilibrato che sembra quasi scontato. Cosa avremmo voluto? Dovevamo prendere i fazzoletti.
Secondo me lei ha voluto vivere il suo dramma in questo modo, quasi come se non fosse un dramma. È questo che poi lo rende non commovente per me.
Il film che alla fine poteva strappare la lacrima, sono riusciti a renderlo non commovente, non strappa-lacrime. Per me è stato piacevole da vedere, perché in una tragedia sono riusciti a trovare un attimo di sorriso.
È significativo invece il fatto che lei vive la malattia e la combatte, facendo finta che non esiste, continuando a vivere quei mesi che sapeva di dover vivere, cercando di fare quello che comunque avrebbe voluto fare. Secondo me è basilare, in qualunque malattia, combatterla.
Ma non tanto per lei, ma perché lei voleva dare a sua figlia, ricorda una madre combattiva. Il suo obiettivo era sempre di essere ricordata alla madre.
Sul fatto che non ha fatto piangere ho notato che le scene in cui altri registi avrebbero prolungato la scena di almeno un minuto e mezzo e avrebbero fatto piangere, sono state troncate per evitare di cadere nel sentimentalismo. È una scelta di sceneggiatore e regista: c'erano i primi piani, avrebbe potuto insistere in tre, quattro, cinque occasioni.
Il colloquio che hanno con la dottoressa si interrompe proprio nel momento drammatico, però non deve disperare: in quel momento la cosa poteva continuare, con domande da parte del marito, della moglie, invece si tronca e diventa ridicola in quel momento, con il rumore, con il mormorio che attraversa.
Sono le pagine del taccuino. Ovviamente il tema è il tempo che abbiamo visto in altri film, "Here" dove nella fissità del luogo scorre il tempo, "Il tempo che ci vuole" dove il tempo è lo spazio dove si cura. Ha colpito la scena in cui fanno l'amore per la prima volta e lui dice una frase di rito e lei dice perché? Mi ha fatto pensare che per cogliere le cose significative della vita, basta un attimo, non è frutto di ragionamento o altro, è una sorta di intuizione quella che capita per dire "questo è per me, questo è per la mia vita". Un amico mi raccontava di una società dalle parti orientali, in cui la popolazione non ha assolutamente, per niente, il senso del passato e del futuro, ma vive solamente l'istante presente. Il senso del tempo è quello che accade adesso, pur con la preoccupazione della figlia che rimane sola e tutta la storia passata, però il tempo è il presente. La frase "voglio vivere questi sei mesi intensamente, piuttosto che 12 mesi di me..a".
È una domanda aperta. Meglio vivere intensamente meno oppure sperare di vivere un po' di più?
Questo è un problema che io personalmente ho affrontato un sacco di volte, non tanto nel paziente anziano che comunque ha avuto il suo trascorso, ma quando capita nel paziente giovane. E lì diventa veramente difficile, perché ci sono delle terapie che sono veramente destruenti, difficili da quotare, e con prospettive a lungo termine inesistenti. È meglio un giorno da leoni o un giorno da pecora? Purtroppo lo devi affrontare insieme al paziente, non è facile, perché poi vieni in qualche modo coinvolto emotivamente, e dipende anche dalla cultura del paziente, da tante situazioni; c'è solo bisogno del supporto psicologico, perché è una decisione davvero molto molto difficile, anche per chi la deve proporre.
La malattia l'ho visto funzionale a mettere in rilievo il problema del tempo e di esprimere il suo percorso di superamento di suoi 'nodi', per esempio il non lasciarsi amare e non essere quella che tra i due amava di più e solo alla fine l'ha portata a riconoscere l'amore di lui e quindi a restituirglielo. Inoltre lei ricomincia a pattinare e supera quell'impasse che le impediva di esprimersi anche in quel talento.
Si sarebbe re-incontrata col padre arrivata alla fine.
A me ha fatto emozionare quando dovevano sposarsi e lei ha dato prova di pensare solo a sè stessa lui va ad applaudirla.
Per me una delle scene più drammatiche è stata quando lui ha buttato le partecipazioni di nozze. Metto in rilevo che, certo, guidare la malattia è drammatico ma anche la posizione drammatica di chi sta accanto a chi ha questa malattia: portarla nel modo giusto significa molte volte rinunciare a dei progetti; mi ha colpito questo aspetto che lui si diminuisce.