cinemaincompagn 8 / 10 12/12/2025 11:23:59 » Rispondi Commenti Due note. È vero che siamo noi a rovinare il mondo con l'inquinamento e tutto il resto, oppure il mondo finirà perché naturalmente segue la tua storia come viene riportato nel film? Un'altra teoria è che siamo tutti collegati. Nel film ciascuno è collegato all'altro.
Tra l'altro il mondo finirà per la matematica, nel senso che è matematico che il mondo finirà.
Mi colpisce l'affermazione che l'universo non esisterebbe se io non lo percepissi. Secondo me l'universo esiste anche se io non lo percepisco, ma se non lo percepisco io sembra quasi che l'universo non serva a niente: vedevo questo nella seconda parte.
Sembra come un viaggio tra passato e presente. Tutto si ripete. Per esempio l'insegnante.
Secondo me il terzo atto all'inizio è vissuto tutto nella mente di Chuck in coma. L'universo è la mente di Chuck. Quindi è come per dire che tutto ciò che abbiamo dentro è anche tutto ciò che abbiamo fuori. C'è una specie di correlazione tra fuori e dentro (la maestra lo spiega in qualche modo). E tutti personaggi nel secondo e primo atto è come se fosse che sono delle marionette nella sua mente che recitano delle parti diverse rispetto a quello che effettivamente erano nel suo passato. Li ricrea nel suo universo, nella sua mente che poi si sgretola man mano.
Facciamo parte tutti di un universo e ognuno è un universo.
Le recensioni riportano il significato dell'autore: la vita, sia pur breve e fragile, va vissuta in ogni istante guardando al futuro senza recriminare al passato.
Aggiungo una mia considerazione. Manca il presente. Secondo me l'io, cioè Chuck, coincide con il tutto. Ma negativamente ho percepito che non c'è bisogno di domandarsi il perché. "Perché ti sei fermato? Perché ti sei messo a ballare?". (N.B.: lui si riferma nei luoghi indicando l'importanza dello spazio: dove è morta la nonna, la soffitta segreta che è uno spazio vuoto, è lo spazio), Però non c'è bisogno di domandarsi perché. Accade.
Nel momento in cui lui si è fermato a ballare era già malato. Aveva 9 mesi di vita ancora. Fin la malattia era già davanti. Era dalla nonna che lui aveva imparato ad apprezzare il ballo. Quindi in quel momento, da adulto, forse non ricordava, anche per la malattia; perché noi portiamo dentro tante cose che abbiamo avuto nell'infanzia, dai rapporti con i genitori, con i nonni, con i figli. Per cui non serviva a chiedersi perché non sarebbe cambiato niente. Cioè lui lo stesso avrebbe continuato a ballare. Mi sono chiesta perché nel terzo atto l'unica cosa che emerge è questo ringraziamento a Chuck. "Grazie Chuck". Che cosa significa? È come il grazie a ciascun essere che rappresenta un po' tutti noi, ciascuno di noi, perché ha vissuto, perché ognuno di noi ha fatto il suo contributo all'universo, alla vita della famiglia, con le tante persone che ha incrociato: siamo tutti legati. I personaggi che si ripetono indicano come un flusso circolare.
Pensavo che non è un film "da fazzoletto" perché c'è una grande leggerezza che sovrasta. C'è tutta questa musica, il ballo che la voce narrante indica come il momento che ricorderà di più, quasi esplosivo. In tutto questo c'è un filo di luce un po' angosciante, però poi c'è questa leggerezza.
È un film distopico?
No, molto allegro. La parte musicale è molto bella, il ballo da adulto e da ragazzo, devo dire che è leggero.
Mi aggancio ad alcune considerazioni emerse. Il film sviluppa un concetto che non è un concetto originale, quello di microcosmo, di cui già si parlava durante l'Umanesimo: macrocosmo al di fuori di noi e microcosmo all'interno di noi. Ripreso poi in chiave leopardiana con l'infinito della natura e dell'universo, ma è anche l'infinito all'interno delle persone. La prima parte è la fine del suo microcosmo, l'universo non è altro che il cosmo dentro di sé che piano piano si sgretola in pezzi. E tutto ciò che lì abbiamo visto che fa parte del suo microcosmo, non sono le persone, ma sono proiezioni, speranze, sogni, impressioni, immagini, sensazioni, piano piano proiettate sulle persone viste anche solo sporadicamente, e che in qualche modo rimangono fino alla fine, quando poi l'universo crolla, perché sopraggiunge la morte. E quella stanza chiusa per tutto il tempo, nella mia visione non è altro che la fredda e pura dimensione razionale dell'essere umano. Perché la ragione sa che tutto finisce, sa che le persone muoiono, sa che il momento finale arriva. Nonostante questo, la scelta finale del personaggio è quella di vivere, di coltivare tutto quanto, tutto questo micromondo, queste moltitudini che si ritrovano all'interno di sé e che rimangono accanto alla persona stessa, fino a quella fine che poi purtroppo non può non arrivare.
L'identificazione del bip della macchina che si ferma con la fine dell'universo, indica che non esiste altro all'infuori di me. È un'irreligiosità.
Quando Proust dice che l'uomo è come un albero che ha nelle sue radici tutto ciò che gli serve: il nutrimento spirituale.
Per cui è il nulla: se si spegne la mia vita, si spegne tutto. Ciò che regge il dramma con leggerezza è la relazione (l'abbraccio dei tre che hanno ballato, l'anziano meteorologo non realizzato, la ragazzina sui pattini, la ex compagna, la moglie), unico elemento che colgo come possibilità perché se dovesse essere tutto il mio microcosmo esso finisce e quindi c'è il nulla.
Però c'è sempre lo sguardo alle stelle, al cielo; è un motivo ricorrente guardare le stelle: secondo me è il desiderio dell'uomo di trovare una ragione, un infinito.
Il cartellone "Grazie Chuck" secondo me è un grazie alla vita in generale che vale per tutti. Comunque la vita ha un inizio e una fine, c'è la coscienza di questo. Però c'è un ringraziamento all'umanità, all'essere, all'esistere comunque vada e sarà sempre una bella esperienza, anche se ridotta, finita, breve nel suo caso.
Non se concordiamo: il concetto è che la vita è quella biologica. Non esiste un livello ulteriore. Cioè Dio non esiste.
C'è lo sguardo al cielo però...
Ma si spegne il cielo! Quindi quello sguardo al cielo che poeticamente può essere un richiamo ad alzare lo sguardo però anche quello si spegne. Anche l'anelito che potrebbe essere il sentimento di qualcosa d'altro da me, drasticamente, con il bip, si spegne.
A me ha trasmesso un senso di angoscia; questa 'presenza' di solitudine assoluta; una persona che non basta a sè stessa, non ce la fa perché è sola, non ci sono relazioni, non c'è nulla. È tutto molto spento, angosciante.
Non è consolante.
A me ha colpito che l'ultima parola sul nulla che inevitabilmente arriva, è "ti amo", l'amore.
Volevo sottolineare la fotografia e scenografia. Mi ha ricordato "The Truman Show". Quindi un elemento finto, come se fosse tutta una recitazione.
È vero. È una scelta stilistica. La prima parte (il terzo atto) scenograficamente è molto più realistico. È come se la vita parte da un sogno, ma poi, anche scenograficamente, l'evento finale è come se fosse il più realistico.
È un uomo che sta morendo e sicuramente crea angoscia. Certo. Ultima parola.
Il film inizia con la poesia di Withman. Io sono moltitudini. La maestra spiega più o meno che sono tutte le persone nella tua mente che continuano a crescere ed il film, secondo me, si basa su questo: sulle moltitudini che raccoglie nella sua mente.
L'universo interiore.
L'ultima parola che lancio è l'attesa che fa paura. Non è tanto ciò che accade. (a 17 anni sa che morirà in quel modo): la vita è attesa di una cosa che sa già, però, vivrò lo stesso.