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LA VOCE DI HIND RAJAB regia di Kaouther ben Hania

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Invia una mail all'autore del commento cinemaincompagn     9 / 10  12/12/2025 11:22:11 » Rispondi
Per film sulla guerra immaginiamo film con immagini di guerra, qui in effetti non abbiamo immagini di guerra. Voce, suoni prendono la parte sulle immagini. È molto efficace: io me li vedo i carri armati attorno a questa macchina, già fatta saltare, che senza senso sono fermi lì e che sparano ogni tanto.

A mio avviso questo non è un film sulla guerra. La guerra è come se fosse una cosa data per scontata. Accade da più di 2000 anni che gli uomini fanno la guerra. Il film è unico perché per me rappresenta un salto, il rischio che stiamo vivendo nei momenti attuali. Diceva un mio amico che c'è un'etica anche nel fare la guerra: i soldati uccidono i soldati. Questa non è guerra. Io percepisco da questo film in modo esplicito che la questione in gioco non è tutto quello che gli altri film sulla guerra evidenziano: potere, violenza, imbroglio, etc. Percepisco dopo questo film che in gioco c'è l'umanità nella sua essenza.

L'impotenza assoluta di fare qualcosa manda completamente in tilt chiunque, anche la psicologa. L'impossibilità di intervenire su una situazione nel tentativo di risolverla manda completamente in gioco il cervello e pian piano tutti sono andati in tilt. Sono crollati tutti.

Per rispondere alla domanda, sicuramente non è il film a cui siamo abituati, in cui c'è il cattivo, il buono, Hitler, il popolo, chiunque sia e la parte offesa. È un film in cui noi siamo protagonisti e in cui più di tutti gli altri film dobbiamo fare un'analisi anche per quanto riguarda le istituzioni e mi permetto di dire anche per quanto riguarda il ruolo della Croce Rossa. Fino a che punto sei Croce Rossa? Se ti rifiuti di intervenire, di chiamare l'esercito, di prendere l'incarico in una situazione? Sono stati benevoli nel non inserire l'audio della bimba che urla mentre viene colpita, penso anche per rispetto delle persone che non ci sono più. Penso che sia lasciato molto a noi, anche il finale che non si comprende. Penso che l'obiettivo sia fare in modo che ci sia un lavoro da parte nostra.

Evitare di mandare gli ultimi istanti fa pensare che una delle cose da preservare è la dignità, distrutta non dalla guerra, ma dalla cattiveria umana, dall'esagerare. È interessante l'osservazione: "come si fa ad uscire da questa sala e non essere cambiati?". Il tam-tam ci fa abituare, però andare in una sala a vedere questo film è un'altra cosa. Siamo implicati.

Per me è mal posta la domanda. Noi non stiamo parlando di una guerra, stiamo parlando di genocidio, di una cosa molto differente, perché non abbiamo gli eserciti. E questo tra politica, geopolitica e tante cose, cambia un po' le regole. Anche il genocidio passato, ad un certo punto è sfociato in guerra, ma noi siamo ancora in bilico in questo momento; non abbiamo due eserciti. È la terminologia sbagliata, e in questo film è particolarmente palese. Per chi l'ha visto "Tutto quello che mi resta di te", penso che quel film dia la spiegazione anche a questo arrendersi, a prescindere dal popolo palestinese, perché quello che stiamo vedendo a Gaza loro lo vivono da decenni. Quello che succede in Cisgiordania e che abbiamo visto in "No other land" non è differente da quello che stiamo vedendo qui "quello che voi avete passato noi lo viviamo tutt'oggi 'grazie a voi', ce lo fate vivere oggi". Nonostante qualsiasi spiegazione anche di arrendevolezza, per qualsiasi macchina burocratica se accettano quello che stanno per accettare, come sembrerebbe dalle ultime notizie, vuol dire che loro non hanno assolutamente nessuna speranza che qualcosa possa cambiare. E quindi, figuriamoci una croce rossa. In questo momento il messaggio che ci stanno mandando è "basta che si chiuda". Questo film ci riporta questa visione della realtà attuale. In questo caso stiamo parlando di una bambina, e quindi penso che non si possa neanche commentare, nessuna parola possa essere detta nella realtà.

Sì, infatti, siamo rimasti in silenzio. Sul ruolo della croce rossa, che qui è la luna rossa dico che è' complicato aiutare in certe situazioni. Non è facile e non è nemmeno ideale dire che bisogna intervenire. Spesso una posizione che apparentemente sembra impotente, rinunciataria, probabilmente è l'unica strada. E questo è un altro motivo di riflessione: ci interessa dire che cosa ci interroga questa realtà, a cosa ci porta. Perché probabilmente la concretezza è nemica dell'ideale. Ed è forse un compromesso quello che permette di andare avanti. Perché sembra non esserci un punto di speranza. Io mi sento interrogato nel dire, "ma qual è il mio punto di speranza? Per cui non ho paura a dire: operativamente non posso fare niente, ma io come uomo che cosa posso fare? Ed è una domanda aperta, perché secondo me lo scopo di tutta questa comunicazione che ci arriva è farci porre una domanda. Noi nei confronti della realtà, sia tragedia, bellezza, gioia è come se non riusciamo più a capire che siamo in gioco. Il film questo ottiene: i protagonisti del film sono gli spettatori, perché sono chiamati a farsi una domanda qual è il proprio punto di partenza per dire no? È un obiettivo che nascostamente sta in tutti gli altri film. Qua è magistralmente rappresentato in modo esplicito senza filtri. Gli attori sono bravi, con interpretazioni eccezionali, ma la sovrapposizione con la realtà è impressionante. Nel mix tra finzione e realtà, è come se non ci fosse distinzione. Un altro spunto è: guardatela la realtà, non fuggite dalla realtà, qualunque essa sia, ma per poterlo fare senza il burnout, senza la disperazione, uno deve avere un punto di certezza, deve avere un punto fermo rispetto al quale mantiene, non si dispera. L'invito è a capire ma cosa c'è nella nostra esperienza di tanto forte da poter guardare questo film. Abbiamo paura della realtà, però è un'occasione per poter capire, che il punto è riprendersi il senso e la propria umanità.

Più che a film di guerra, ho associato il film a "Fuocoammare", partito dalla realtà trasfigurata in parte filmica: non si tratta di guerra, ma di una fuga dalla disperazione e di quello che succede a Lampedusa quando arrivano i migranti e vengono salvati dalle persone che sono le stesse persone che noi abbiamo visto in questo contesto. Aggiungo che questo film fa capire che di quelli hanno il ruolo di coordinamento, di aiuto, nessuno di loro aveva torto; infatti muoiono altrettante persone che hanno lo stesso valore, gli stessi figli di quella famiglia nella macchina, compresa la bambina. Fa capire che noi siamo, non di fronte ad una guerra, ma di fronte ad un male oscuro che ci sommerge, ci immerge. Siamo tutti immersi in questo male oscuro che ci viene da lontano e rispetto a cui è veramente difficile dire qual è il nemico. Perché, alla fine, litigano fra di loro, ma nella disperazione comune della loro impotenza, nessuno ha torto, nessuno ha ragione; mossi da buona volontà cercavano di fare qualcosa e si rendevano conto dell'impossibilità di farlo. Pensiamoci a questa dimensione del chi ha colpa e non ha colpa e di questo male oscuro che proviene da una cosa che ci sovrasta troppo, come ha sovrastato la Shoah. Stiamo vivendo una dimensione di disperazione proprio, no? Questo film la dice tutta da questo punto di vista. Io non ho altre parole.

Aggiungo un'ultima cosa. Questa parificazione che tutti hanno torto e tutti hanno ragione, che la vita della bambina è uguale alla vita di quei due autisti di ambulanza, che quelli che stanno da una parte sono uguali a quelli che stanno dall'altra, mi fanno pensare, per quanto riguarda la mia esperienza, che l'unica voce e l'unica descrizione che può essere un punto di partenza è la "Fratelli tutti" di Papa Francesco. Nel senso che accettando (perché non è una convinzione essere tutti fratelli, è un'accettazione), cedendo al fatto che siamo tutti fratelli, è forse quel punto di partenza in cui la persona che si domanda ma che cosa ho di certo nella vita e può incontrare un altro che si fa la stessa domanda e riconoscersi, (un esempio è il film che racconta quando i nemici nella notte di Natale sospendono la guerra e festeggiano e giocano a pallone). Il punto di partenza è che uno debba domandarsi chi è e poi debba domandare all'altro chi sei.
È di una banalità totale però è l'unico punto che probabilmente può introdurre un cambiamento decisivo.