cinemaincompagn 8 / 10 12/12/2025 11:18:57 » Rispondi COMMENTI Sul finale Bollywood non sono d'accordo perché in realtà il protagonista è l'unico che non si muove e penso che si volesse dare importanza a questo e non l'ho percepito come un Bollywood necessariamente.
Il film fa pensare alla drammaticità che ancora oggi nel 2025 un ragazzo sardo deve andare a Londra a fare il cameriere per lavorare: sarà una commedia ma a me lascia l'amaro di questa drammaticità.
La strada della felicità: è questa la domanda: la Costituzione americana parla del diritto alla felicità: è un concetto vago che va riempito di contenuti. I contenuti ancora oggi non li abbiamo trovati. E se vogliamo dare un senso a questo film è quello di una domanda che ognuno di noi si deve fare e dare a questa domanda una risposta.
Cito una parte di omelia di un parroco Don Luigi Epicoco: riflettendo sulla morte propone un esercizio: supponete di dover morire fra 24 ore. Cosa fareste? Andreste a comprare la spiaggia? Prendereste la Tesla più nuova? No, il desiderio istintivo, l'esigenza elementare che ci guida è stare con le persone che ci vogliono bene. È vero: ciascuno ha la domanda di felicità e probabilmente un'ipotesi di risposta è che non c'è niente che la possa riempire né il denaro, né le mucche sulla spiaggia, né la tradizione e l'attaccamento alla terra, né il progresso e lo sviluppo; probabilmente la risposta a questa domanda di felicità che ci caratterizza tutti è un'altra.
Faccio riferimento alla citazione di Leonard Cohen "C'è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce" ("There is a crack in everything, that's how the light gets in") nella canzone "Anthem"; la fessura che può essere una possibilità di penetrare la verità, la felicità, di arrivare alla domanda, alle nostre verità. E questa fessura poi diventa una crepa, come dice Abatantuono.
Guardando il film mi ha colpito che noi abbiamo la realtà di Taranto, città bellissima costretta da una vita a decidere se morire di lavoro o morire di salute (non c'è famiglia che non abbia avuto un morto di tumore ) per cui c'è un destino di dover costringere a scegliere; quando vedo le proteste anche con posizioni radicali mi interrogo, perché è vera una cosa come è vero anche il contrario; non ho risposte, non ho un giudizio completo, però oggettivamente ci sono realtà "maledette" in cui si è costretti a decidere.
Per me il manager è illuminato, colpito dalla dignità di questo uomo che sa dire no 'abbiamo bisogno di eroi in cui identificarsi' anche se poi avere il coraggio di essere a propria volta eroe non è scontato; la figlia è di un'altra pasta …
… esempio dei figli che seguono i padri …
Anche se è una bella commedia viene la tristezza del "troppo tardi", il manager alla fine spento, le cause vinta ma il danno è fatto, il territorio è deturpato, le case sono lì che andranno in malora; la frase finale indica che non è solo la comunità non salvata, ma tanta parte del territorio abbruttita. Il concetto del "troppo tardi" è tanto italiano: le burocrazie, le cose lasciate a metà ed alla fine la bellezza non c'è più e rimane solo il brutto. Questo mi lascia una grande tristezza
Sottolineo una frase "non ci possiamo più fermare" come se il capitalismo, l'immobiliarismo anche se avesse una "illuminazione", ma ormai non possiamo più fermarci. Io invertirei la domanda di prima "cosa siamo disposti a sacrificare per il futuro?" (per i posti di lavoro dovete sacrificare un po' dell'aria pulita). Io farei la domanda a chi ha quella mentalità: "cosa sei disposto a sacrificare tu del tuo guadagno, del tuo investimento, delle tue mire espansionistiche per salvare quello che c'è di bello, e che anche riconosci come bello?". E nel finale c'è l'invito a pensare a qualcosa, ipotizzare una risposta. Si diceva che siamo come bloccati; la provocazione può essere: "ma possiamo pensare in un modo diverso?". Il personaggio non è un difensore della natura, è solamente un testardo che non ha amici, che non ha rapporti, e quindi è un asociale
Per me non è un testardo, non è assolutamente un asociale, è una persona che ha capito, che ha visto quello che è successo nella sua terra e la sta difendendo con i denti e con le unghie, a tutti i costi.
Ho vissuto il film come una favola, è una bella favola, anche molto comica, con delle belle uscite. Ci sono diversi spunti scenografici che mettono a confronto povertà e ricchezza. L'ho vissuto come una favola, perché questa realtà e quello che voleva lanciare non esiste: sull'Ilva di Taranto da quanti anni c'è questa la discussione? Continua a esserci. Io avrei fatto finire il film alla frase della figlia perché questa è la realtà. Il film è bello, interessante, ma non è reale, purtroppo. Ho vissuto il film e queste problematiche come se fossero sulla mia pelle da pugliese, perché in Puglia si sta facendo pezzo dopo pezzo lo stesso sfacelo.
A me ha colpito il senso di appartenenza fortissimo. Noi in Puglia non siamo più pugliesi e liberi di andare, di godere del nostro mare, il godere delle piccole cose: è bello il pastore sulla spiaggia che contempla e si accontenta delle piccole cose: il segreto per essere felici è accontentarsi della vita semplice, mentre tutti nel paese spendono per cose secondarie pur avendo bisogno di lavorare. Dobbiamo mantenere anche il senso, il livello di vita, perché tutti vogliamo tutto, ma c'è un prezzo da pagare.
Questo introduce una parola in discussione nei grandi consessi di economia e socialità: il downgrade, cioè rallentare, tornare un po' indietro, perché espandersi? Quindi rifacciamo la domanda: "A cosa ciascuno è costretto a rinunciare per mantenere il proprio status?". …
… costretto dalla storia o costretto dall'uomo? C'è un discrimine: se costretto dalla storia, perché c'è un limite che non possiamo sorpassare, i mutamenti climatici sono un limite che ci viene imposto da quello che abbiamo prodotto, esistono alternative a questo limite? Tecnicamente sì. Ci vogliono scelte coraggiose e persone e politiche capaci.
Non è la storia, è l'economia che guida.
Ma anche nell'economia. Prendiamo per esempio le questioni energetiche. Nell'economia ormai è chiaro che le energie cosiddette alternative sono economicamente più sostenibili di quelle che riguardano il consumo di energie come petrolio, carbone e via dicendo. Da un punto di vista economico sono molto più sostenibili. Si tratta di fare scelte che comportano una modifica degli equilibri sociali, delle situazioni sociali che non tutti sono disposti a fare. Questo è il problema. Ed è una cruna di ago che ci tocca dover passare. La situazione che viviamo nella quotidianità ci obbliga a fare delle scelte. E le scelte costano.
Il film mi ha spaventato. Quando ho visto le ruspe io mi sono sentita male.
C'è il confronto tra i nipoti che ringraziano il nonno e la figlia che insisterà con differenze di generazioni.
Su cosa siamo disposti a fare: ognuno nel proprio piccolo può cercare di fare qualcosa: il filtro del condizionatore d'aria, chiedere di spegnerli perché spegnendoli si rinfresca l'ambiente; ma questo principio non passa e se continuiamo così sarà sempre peggio.
Siamo pessimisti
C'è il rispetto della propria famiglia, dei padri, del possesso della sua casa: è il patriarcato.
Io non parlerei di povertà ma parlerei di scelte: semplicità messa a confronto con uno 'status' perché quella gente ha scelto di restare lì volontariamente però volendo potevano sfruttare il terreno intorno. Probabilmente l'alternativa è trovare risorse (invece di tenerli a casa i barattoli di pomodori li potevano esportare per far conoscere).
Non sono le ruspe che fanno paura, sono gli uomini che guidano le ruspe!
Una buona strategia fare una commedia popolare, con attori popolari e scelti bene per trasmettere un messaggio molto profondo perché molti si fermano a pensare su tante cose: sfarzo contro essenziale; territorio contro lavoro. Più efficace che se avessero fatto una cosa più seria.