cinemaincompagn 8 / 10 12/12/2025 11:14:43 » Rispondi COMMENTI A me viene un banalissimo commento: nessuno si salva da solo e che soltanto se io sono guardata, voluta bene, anche nella maniera più semplice, ce la faccio quando proprio sono sottoterra.
C'è un tema spesso negli ultimi film: i giovani che aiutano, salvano gli anziani perché c'è la scena dell'abbraccio che lo ha salvato dall'ennesima scelta radicale per cui è un tema che viene spesso deve significare qualcosa per noi. Nella presentazione che hai fatto non c'è il ragazzino eccezionale il secondo film che fa è molto bravo come attore.
La prova di eccezionale interpretazione del ragazzo (Tiziano Menichelli) mostra che recitare proviene prima di tutto dal talento naturale. Diceva Mastroianni che recitare è un giocare più che un lavoro ("Non vorrei apparire snob, ma apprezzo molto il termine che usano i francesi: per dire "recitare" loro dicono "jouer" che in italiano sarebbe "giocare". Questo è un mestiere meraviglioso: ti pagano per giocare"). Più si è bambini, più si cade nel gioco e più si riesce senza propri schemi: rivelazione principale di questo film a livello attoriale. Da lì nasce il contrasto fra una visione della vita che ti vuole in competizione e vincitore a tutti i costi e la vita vera che nell'accettazione della fragilità di ognuno di noi porta a vivere e, forse, ad aspirare anche a sprazzi di felicità che al contrario una vita basata sulla vittoria a tutti i costi non ti porta.
Favino è stato bravissimo a rappresentare, dal mio punto di vista, il dolore che non sparisce mai. Nei piccoli particolari di recitazione è riuscito a trasmettere un attimo dopo il sorriso sardonico, l'amarezza di una vita sprecata. In crisi ricomincia da capo a fare il gigione: è come se la salvezza non è cambiare atteggiamento o capire che si è sbagliato; la salvezza è realmente uno che ti stringe e ti evita di buttarti. Ha colpito la capacità di rappresentare la realtà e non c'è bisogno che cambi il punto di vista. Quella realtà può essere salvata. Non c'è bisogno che ce ne sia un'altra. Non c'è bisogno di un altro Gatti. È Gatti che si deve salvare.
La cosa bella in questo rapporto (tra Raul e Gatti) è l'incontro di due fallimenti e però si arriva a capire che il fallimento non è definitivo, nel senso che nel ragazzo è più importante capire che così è la vita: anche accettare la sconfitta. Hanno guadagnato entrambi consapevolezza che un fallimento non è la non-riuscita di quello che credi prefissato; anche nella fragilità c'è una possibilità di essere riferimento per gli altri per un altro.
Abbiamo assistito alla notizia delle gemelle Kessler e tutti esaltano che essendo il suicidio 'assistito' si salva la questione; in questo caso il ragazzo ha 'assistito' stando vicino. Per me il tema principale del film è la malattia e come viene affrontata. Lui è un ciclotimico cioè alterna momenti di allegria a momenti di depressione con una velocità impressionante e Favino rende benissimo questa alternanza di sorrisi, di pianto, di allegria sfrenata e di depressione sfrenata. È un film curato nei particolari: anche gli attori secondari sono bravi, anche la ragazza che interpreta la figlia. C'è la scena della mamma del ragazzino che ha una goccia che li cola dal naso: meravigliosa. Un'ultima cosa: la scena del bambino che gioca col papà è citazione dal libro di Andre Agassi "Open la mi storia". Il padre di Agassi ha cominciato a obbligare il figlio a sei anni a giocare a tennis e ha costruito quello che chiamava il mostro sparapalle e gli mandava una ripetizione una palla dopo l'altra perché lui le potesse prendere.
Mi ha colpito è il discorso della follia, in un certo senso stigma sulla malattia mentale. La follia è presente in tutti noi forse come lo è la ragione. Il ragazzo forse avrebbe rischiato di impazzire in quella casa se non avesse conosciuto il maestro. C'è in un certo senso lo scagionare l'idea del folle che in realtà è prima di tutto un uomo con le sue debolezze, con le sue fragilità, non necessariamente intrappolato nelle etichette di una diagnosi e magari anche di una terapia farmacologica. È estremizzato però mi ha colpito l'umanizzazione e, in un certo senso, il livellamento perché alla fine il maestro si identifica con questo ragazzo che è tra 'io ideale' e 'io reale': sogna di diventare campione perché non può deludere le aspettative; però alla fine ha certamente vissuto il conflitto la figura paterna da cui si sentiva anche un po' incastrato in uno schema, in un'immagine. Alla fine riesce a salvarsi in base alla parte più vera: alla fine anche il maestro è benvoluto da tutti e nessuno lo cambia. Partecipare a un po' di follia probabilmente permette di far venire fuori tutto sé stesso: è un po' liberatoria la follia. Grazie.