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UNA BATTAGLIA DOPO L’ALTRA regia di Paul Thomas Anderson

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AleWiseGuy     5 / 10  26/09/2025 08:19:28 » Rispondi
P.T. Anderson fa un po' i Coen ma il grottesco non gli riesce molto bene, fa anche Tarantino ma gli riesce peggio.

Opera abbastanza deludente perchè, nonostante abbia velleità di critica sociale verso i meccanismi di ribellione-repressione della contemporaneità americana, non riesce ad andare in profondità: è un film orizzontale, senza la potenza espressiva a cui Anderson ci aveva abituato, con un ottimo ritmo da film d'azione ma assente di dialoghi minimamente significativi, in questo caso necessari per sviluppare adeguatamente il soggetto narrativo.

Ci sono essenzialmente tre livelli: i rivoluzionari, perlopiù sbandati alla deriva animati da una foga violenta colorata di iper-sessualità volgare; l'apparato repressivo, raffigurato da reparti di polizia in assetto militare (tanto per far capire che il territorio Usa è ormai interamente militarizzato), e la loggia massonica segreta di suprematisti bianchi ("I Pionieri del Natale", nome dallo sfottio palese), che detengono il vero potere.

Non esistono personaggi strutturati degni di identificazione, nemmeno il frutto della speranza ribelle e rivoluzionaria, la figlia di Di Caprio, suscita una qualche empatia che vada al di là della sua impetuosa freschezza giovanile. Inverosimile poi la sua indole di guerriera sedicenne che picchia, spara e uccide come se fosse nata già pronta per farlo.

Sean Penn si impegna al massimo nella rappresentazione dell'ottuso e fanatico colonnello, l'impressione che si avverte però è che abbia più che altro passato mesi a studiarsi la postura e la camminata del personaggio (come da efficiente tradizione U.S. actors studio), rendendolo però eccessivamente surreale e dimenticabile. Di Caprio funziona bene sia per il suo consolidato talento attoriale sia perchè è l'unico personaggio che mostra qualche fragilità, donando un minimo di sfumatura recitativa...ma il risultato finale è comunque scadente. L'apparizione di Benicio Del Toro è troppo fugace per riuscire a rappresentare esaustivamente l'organizzazione sotterranea dei migranti clandestini messicani.

All'uscita dal cinema si è così presi da un vago senso di delusione, di smarrimento.. forse dettato anche, lo ammettiamo, da un'eccessiva aspettativa verso l'ultima opera di quello che comunque rimane uno dei registi più importanti della sua generazione.