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SQUID GAME - STAGIONE 3 regia di Hwang Dong-hyuk

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Weamar     8 / 10  01/07/2025 23:33:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mi è piaciuta molto.
Chi guarda l'ultimo episodio di Squid Game 3 solo come un climax emotivo o un colpo di scena spettacolare rischia di perdersi il cuore stesso dell'opera. La morte di Gi-hun, il suo gesto estremo per salvare una vita innocente, non è soltanto il punto finale di una parabola personale, ma una condanna netta e definitiva a un sistema che premia chi sacrifica gli altri, e punisce chi tenta di salvarli.
Hwang Dong-hyuk torna con forza alla critica sociale della prima stagione, ma qui alza il tiro: non si limita a denunciare le disuguaglianze, le logiche predatorie del capitalismo o la spettacolarizzazione della sofferenza. Va oltre. Ci dice che l'unico modo per uscire dal gioco è rifiutare le sue regole, anche se questo significa morire. Gi- hun sceglie di non giocare, di non essere complice. E così facendo, vince non il premio, ma l'ultima briciola di umanità possibile.
La terza stagione è disseminata di segnali: il gioco finale, che prevede il sacrificio della vita per un neonato (metafora limpida del futuro), la figura del padre biologico usato come antagonista, un uomo spezzato che rappresenta l'adulto compromesso, fino alla distruzione dell'isola stessa, ordinata senza esitazione da chi muove i fili. Tutto grida un'unica, spietata verità: questo sistema si autoalimenta solo finché noi lo accettiamo.
Eppure, molti spettatori hanno ridotto tutto al "twist" finale o ai giochi più crudi. Forse perché è più comodo, più facile guardare il sangue che il contesto. Ma Squid Game 3 non vuole più essere un gioco. È un'accusa, un atto di accusa lucido, disperato e politico. Non ci chiede di empatizzare con i personaggi. Ci chiede di guardarci allo specchio.
E allora, per me, questa stagione, pur con i suoi momenti più frenetici o narrativamente affrettati, è forse la più necessaria. Perché mette fine al gioco, ma non alla domanda che ci lancia addosso: fino a che punto siamo disposti a restare spettatori?