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CHARLIE SAYS - CHARLIE DICE regia di Mary Harron

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Jolly Roger     5 / 10  10/12/2024 13:27:31 » Rispondi
Charly says…Charly dice che…
ogni qualvolta che le tre ragazze della Manson Family parlano, anche dopo anni di prigione, iniziano la frase con "Charlie dice che…"
Charlie è Charles Manson. Un uomo follemente lucido, che ha cresciuto un gruppo di Hippyes sballati a propria immagine e somiglianza. "Cease to exist", smetti di esistere – questo era il motto. Distruggi il tuo Ego. Liberati da esso e confonditi nel mondo e negli altri, torna libero!
Manson voleva che i propri adepti smettessero di esistere come individui. Cambiava persino i loro nomi, li faceva rinascere sotto di lui. Parlare della propria vita precedente era proibito – la vita precedente era una prigione borghese, dalla quali ci si era finalmente liberati, congiungendosi alla Famiglia Manson.
Uccidete il vostro EGO.
Manson voleva che essi uccidessero il proprio Ego, sì, ma non per liberarli…semplicemente perché, al posto del loro Ego, voleva piazzarci il Suo. Svuotare i loro crani e riempirlo con la sua filosofia fatta di niente. Li voleva dominare, manipolare, controllare, e di fatto ci riusciva. Le sue adepte erano i giocattoli della sua libidine, la Famiglia era il braccio armato della sua voglia di rivalsa, di riscatto e di vendetta verso la società. Un musicista fallito, incapace di infiammare le folle con la propria musica, ma capace di infiammare la parte peggiore di un individui psicologicamente fragili.

Il film è un quadro abbastanza realistico nel rappresentare le dinamiche della Family e le tecniche di lavaggio del cervello utilizzate dal Manson – un essere alquanto più meschino di quanto non fosse violento: infatti i delitti non li commetteva lui. Lui li confezionava "soltanto". Ma li faceva commettere agli altri, assicurandosi "che ognuno doveva fare la propria parte" (tradotto: ognuno doveva dare almeno una coltellata). Perché l'omicidio di gruppo unisce e fidelizza chi vi prende parte. L'omicidio di gruppo rende gli assassini schiavi del mandante. Dostoevskij, nel suo libro I Demoni, illustra bene questo perfido meccanismo - e il demone Manson qualcosina doveva aver pur letto. Agli altri della Family era proibito leggere, ma lui qualcosa (poco in realtà) dimostrava di saperlo.

Ora, tutta questa rappresentazione del suo potere, del suo carisma, della sua volontà, è fatta bene…ma il film è un po' falso. Ci narra una realtà che non è fino in fondo reale, ma è costruita per supportare una tesi: si vuol far passare tutto quello che è successo come una manipolazione perpetrata dal solo Manson. Tre ragazze, Sadie, Katie e Lou, rappresentate nel film come tre ingenue provvedute che vengono soggiogate dal malvagio Manson, che come un burattinaio le conduce a fare delle cose abominevoli.
Emblematica la scena di Manson pifferaio, che, come il pifferaio magico conduceva i topi fuori dalla città a morir nel fiume, conduce il suo gregge di pecore fuori dalla civilità e dall'umanità, a morir sulla via del carcere.
E all'inizio il film mi inganna, mi sembra un racconto onesto e coraggioso. Resto colpito da queste tre donne: cinquant'anni trascorsi in carcere, una vita completamente bruciata, non vissuta. Donne con ali tarpate prima che cominciassero a volare nella vita. Mi dispiace per loro, ed empatizzo con loro. Violentate nel cervello. Erano consapevoli, sotto sotto, degli errori che stavano facendo, ma non riuscivano a ribellarsi a quel potere superiore, a quel guru malefico dallo sguardo magnetico.
Ma poi, dopo il film, vado a leggermi meglio i fatti.
Susan Atkins detta "Sadie", in una scena del film, abbraccia Sharon Tate sul divano ed osserva gli altri assassini, quasi proteggendola, guardandoli negli occhi quasi sperando che rinuncino ai loro propositi omicidi. E invece leggo che, nella realtà, quella Sadie disse a Sharon: "ascolta pu..tt..na, non mi importa di te. Non mi importa del tuo bambino. Stai per morire e non me ne frega assolutamente nulla!". E nell'omicidio LaBianca, la stessa Sadie defecò sulle scale delle vittime.
Katie, e soprattutto Lou, vengono rappresentate nel film come due persone presenti agli omicidi ma poco attive; sembra che tutto il lavoro sporco lo abbia fatto Tex. E invece, nei fatti, Lou teneva ferma Rosemary LaBianca mentre Katie l'accoltellava a morte. Katie peraltro aveva già contribuito agli omicidi in casa di Sharon Tate, uccidendo a coltellate una donna ospite della casa.
Insomma…questo film è una reinterpretazione radical chic di ciò che è accaduto realmente, è una mistificazione.
Invece io credo che non abbia senso parlare di un Manson burattinaio da una parte e di povere burattine manipolate dall'altra. La Family Manson è una cosa sola. E' vero sì che chi si è lasciato manipolare non ha le stesse colpe e le stesse responsabilità di chi ha manipolato, ma non per questo si può dipingere la situazione in modo tale da sbilanciare queste colpe e responsabilità in modo eccessivo verso quest'ultimo.
La chiave è in una scena, a cui il film dà un'interpretazione completamente diversa dalla mia. Quella in cui il motociclista che si ferma e chiede a Lou di fuggire con lui, di abbandonare Manson.
Ma lei resta.
Nel film, questa scena rappresenta il rimorso di Lou – per non essersene andata. In un universo parallelo, Lou è salita su quella moto e ha vissuto una vita normale. Con un lavoro borghesemente normale, in una casa borghesemente normale, con un paio di figli e soprattutto con la libertà.
Per me, quella scena rappresenta invece una scelta.
La scelta di Lou, e di Katie, e di Sadie, e di tutte le altre e tutti gli altri che hanno deciso di restare nella Family nonostante avesse preso un binario morto, un percorso che stava andando a distruggere vite umane e ad autodistruggersi.
Detto questo, le tre donne hanno espiato le loro colpe. Ritengo sia giusto, e umano, che le due donne che sono ancora vive possano uscire dal carcere (una di loro è uscita recentemente).