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Dopo dieci anni da "Inland Empire" con cui aveva raggiunto la terra di nessuno dei grandissimi cineasti, Lynch torna, e riporta tutti a Twin Peaks, dopo venticinque anni. Se la prima stagione era stata fantastica, mentre la seconda un po' si perdeva per strada, questa terza stagione è un fantastico perdersi per strada. Sin dall'inizio tutto è completamente folle, puri significanti che sembrano respingere ogni tentativo di significazione. Poi, pian piano, i pezzi di questo assurdo puzzle sembrano ricomporsi fino a quello che è una sorta di scontro finale, che è, invece, solo l'inizio di un altro puzzle più ampio e più complicato. L'urlo finale è un vagito, un pianto neonatale su cui sbizzarrire le più assurde teorie, alla ricerca di una costruzione di senso che è lasciata al pubblico. Lynch cura ogni dettaglio in maniera maniacale e la sua messa in scena è sontuosa, come pazzesca è la sceneggiatura assurda scritta assieme a Frost. Si potrebbe dire molto su questa serie, ma ogni cosa detta può essere contraddetta. Meglio abbandonarsi all'esperienza visiva di una serie follemente unica.