this must be the place regia di Paolo Sorrentino Italia, Francia, Irlanda 2011
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this must be the place (2011)

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locandina del film THIS MUST BE THE PLACE

Titolo Originale: THIS MUST BE THE PLACE

RegiaPaolo Sorrentino

InterpretiSean Penn, Frances McDormand, Tom Archdeacon, Shea Whigham, Harry Dean Stanton, Joyce Van Patten, Kerry Condon, Judd Hirsch, Seth Adkins, David Byrne, Eve Hewson, Simon Delaney, Gordon Michaels, Robert Herrick, Tamara Frapasella, Sarab Kamoo

Durata: h 1.58
NazionalitàItalia, Francia, Irlanda 2011
Generedrammatico
Al cinema nell'Ottobre 2011

•  Altri film di Paolo Sorrentino

Trama del film This must be the place

Cheyenne, rock star ormai ritirato dalle scene, parte alla ricerca del persecutore di suo padre, un ex criminale nazista ora nascosto negli Stati Uniti. Nel cuore dell'America, inizia così il viaggio che cambierà la sua vita. Dovrà decidere se sta cercando redenzione o vendetta.

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Voto Visitatori:   6,78 / 10 (187 voti)6,78Grafico
Voto Recensore:   7,00 / 10  7,00
Migliore sceneggiatura (Paolo Sorrentino, Umberto Contarello)Migliore fotografiaMiglior truccoMigliori acconciatureMiglior colonna sonoraMiglior canzone (If It Falls, It Falls)
VINCITORE DI 6 PREMI DAVID DI DONATELLO:
Migliore sceneggiatura (Paolo Sorrentino, Umberto Contarello), Migliore fotografia, Miglior trucco, Migliori acconciature, Miglior colonna sonora, Miglior canzone (If It Falls, It Falls)
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Voti e commenti su This must be the place, 187 opinioni inserite

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Woodman  @  16/07/2013 18:11:54
   8½ / 10
Devo dire che anche io mi univo alla schiera di detrattori di Sorrentino, lo ritenevo un parruccone esaltato, presuntuoso, velleitario. Poi vidi "Le conseguenze dell'amore". Ascoltai quindi diverse sue interviste, lo sentii parlare. Ombroso, irresistibile. Parlare di amore e ossessione per il cinema, parlare di attori e provini, di stima nei confronti di Herzog, di scarsa considerazione per la cinefilia, di amore per la scrittura cinematografica, di amore per la letteratura. Sono davvero rimasto colpito da questo nuovo, piccolo, grande artista refrigerante e visionario, mi sono dovuto ricredere. Sorrentino è di fatto la nuova, vera speranza di rinascita per il Cinema italiano. Si sorvoli il primo film, quello che mi fece incazz.are, "L'uomo in più", e si passi quindi al memorabile "L'amico di famiglia", poi a "This must be the place". Questo suo esordio oltreoceano. Non concordo con chi lo definisce troppo americano o troppo italiano. E' un film dalla struttura narrativa lineare, semplice, con una scelta e un rigore stilistico davvero ammirevoli. Un gioiello. Il Cheyenne di Sean Penn (che conferma la sua duttilità e la sua grandezza) si pone come uno dei più magici personaggi del cinema degli ultimi 20 anni, ma in generale, credo che trovi spazio nell'immaginario collettivo ad uno sguardo globale su tutta la storia del Cinema, e non esagero.
Trovo che il reparto di contorno sia tutto splendidamente azzeccato, non solo fra le giovani promesse.
Menzione per la sempre grande Frances Mc Dormand, per il ritrovato Hirsch e per quel mostro sacro di Harry Dean Stanton (doppiato da Carlo Valli).
Grande colonna sonora, mitico Byrne.
Il compimento della sottile vendetta poco prima del finale è da brividi, nella sua semplice costruzione. L'ermetismo di fondo, necessario per ogni racconto psicologico che si rispetti e cerchi di salvarsi dalla superficialità, è accompagnato da una di quelle strane malinconie puramente cinematografiche, e secondo me basta tanto per farlo rientrare tra i classici.
Difficile parlare di questo film così apparentemente semplice.
E' la magia di Sorrentino, la sua simmetrica poetica, senza pretese o facilonerie, pulitissima e luminosa. E' il cinema ritrovato, letteralmente.
Applausi.

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Ultima risposta 17/07/2013 20.11.08
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Scuderia2  @  25/08/2012 10:44:13
   10 / 10
C'era una volta un cantante in letargo.
Viveva tranquillo a Dublino,nella sua grande e bella casa,in compagnia della moglie.
Si vestiva e si truccava come quando era famoso.Anzi,come quando cantava.Perché famoso lo era ancora,e la gente lo riconosceva.
L'eroina e l'alcool della gioventù l'avevano scarabocchiato.
La sciatica lo faceva camminare come uno con una ramazza nel sedere.
Ma era simpatico e saggio.
Una bibita gassata da bere rigorosamente con la cannuccia.
Un carello della spesa o un trolley da trascinare.
Le quotazioni di borsa da controllare.
La pelota basca rivisitata.
Qualche rimorso.
Questa era la sua vita.
Poi un giorno arrivarono brutte notizie dall'America e lui dovette partire.E scoprire.
Perché se sei ebreo,prima o poi, i conti con una certa terribile Storia li devi fare.
Cheyenne,questo era il nome del protagonista di questo racconto,inizió allora un viaggio on the road attraverso gli Stati Uniti,deciso a portare a termine ció che il padre non era riuscito a completare
E per far questo,Cheyenne pensò che forse era il caso di comprare la pistola piú grande del mondo.
Cheyenne partí in nave e torno' in aereo.
Partí Cheyenne e torno' John Smith.
Partí bambino e torno' uomo.
Facile quasi come fumarsi una sigaretta.

Una favola favolosa.

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Ultima risposta 27/08/2012 22.01.43
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Hakeem  @  13/06/2012 16:40:50
   4½ / 10
L'aggettivo che mi viene in mente per descrivere questo film è uno solo: fastidioso. Fastidioso, ai limiti dell'insopportabile, è il personaggio interpretato da Sean Penn. Fastidiosa è la lentezza del film, a tratti esasperante e spesso ingiustificata. Fastidiose sono le forzature a livello di trama (la ricerca dell'ufficiale nazista cattivo, a tal proposito, è tanto superflua quanto imbarazzante). Fastidioso, è più in generale, il modo di fare cinema di Sorrentino (regista sopravvalutato da critica e pubblico come pochi altri).
Salvo questa storiella (una via di mezzo mal riuscita tra The Wrestler di Aronofsky e Una storia vera di Lynch) da un'insufficienza più grave, poiché complessivamente ben confezionata (fotografia e ambientazioni ottime); ma del resto che non è il talento che manca a Sorrentino, ciò che manca, purtroppo, sono i film stessi.

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Ultima risposta 24/10/2012 22.43.20
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andreapau  @  29/05/2012 13:40:47
   7½ / 10
Cheyenne è naif come nemmeno un bambino potrebbe essere.
Rockstar in baby-pensione, disoccupato di lusso, assoluta nullità artistica e umana, trascina stancamente il baraccone, imbellettato e cotonato.
Trucco e parrucco sono forma che si è fatta sostanza, seconda pelle che si è fatta scafandro protettivo senza il quale Cheyenne nemmeno esisterebbe.
Ma sotto la cenere una fiammella continua ad ardere, bisogna soltanto soffiarci sopra per ravvivare il fuoco, il guizzo selvaggio del rocker di pelle vestito.
Arriva il vento giusto, quello che permette a Cheyenne di mollare gli ormeggi e avventurarsi verso dove mai avrebbe immaginato.
E' un vento aspro quello della vendetta, ma che lo riporta a casa in una navigazione sicura e spedita, su una nave via via piu' leggera e priva di zavorra.
Sbarca un uomo che non è piu' Cheyenne, o forse è soltanto il vero Cheyenne...chi lo ama lo riconosce e risponde al suo sorriso.

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Ultima risposta 31/05/2012 11.20.43
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73  @  17/04/2012 10:53:09
   8 / 10
Lontano dalle scene Cheyenne continua a truccarsi come una rockstar che non ha più senso di esistere.Si gode i lauti guadagni della passata carriera nella sua bella dimora e passa le giornate in compagnia della dark amica Mary (Eve Hewson,figlia di Bono e volto molto interessante) e con la moglie,una sempre sfolgorante Frances McDormand con cui Sorrentino cala subito il carico pesante,andando a tracciare un rapporto che pur privo di smaccate effusioni giganteggia nitidamente in delicatezza e solidarietà coniugale,punteggiato da affettuose scaramucce e da una comprensione reciproca che è manifesto eloquente di quell'amore che per i più resta solo immaginario.
Un po' annoiato e forse anche "garbatamente" depresso Cheyenne parte per gli Stati Uniti a causa dell'improvvisa morte del padre.Venuto a sapere dell'ossessione del genitore,ai tempi di guerra deportato nei lager nazisti e da decenni sulle tracce del suo aguzzino, decide di soddisfare quel desiderio di vendetta ,in segno di inconsapevole rispetto verso quell'uomo che in realtà non ha mai davvero conosciuto.Sarà un modo per riscoprire le gioie della vita,in solitaria attraverso i grandi spazi americani questo clone a metà tra un Robert Smith caricaturale e un meno irruento Ozzy Osbourne,costruirà l'indagine sull'incontro e le relazione con il prossimo toccando luoghi e personaggi più o meno eccentrici che finiranno con il condurlo alla meta.
Di primo acchito potrebbe sembrare una soluzione straspremuta quella del viaggio on the road come mezzo di conoscenza e crescita intima,ed invece Sorrentino ammanta il tutto della sua sottile ironia applicata ad una prospettiva cinematografica fatta di idee spiazzanti e di contenuti intrinsecamente toccanti e scandita da una colonna sonora da urlo.Poi c'è l'umanità di personaggi sopra le righe eppure mirabilmente genuini.Sprizza delicatezza da ogni fotogramma l'incontro con la giovane cameriera e il suo figliolo dalle indiscutibili doti canterine,è tutto da godere il confronto col grande vecchio Harry Dean Stanton,ed il film scivola tra vari aneddoti con grazia senza mai svoltare nel ridicolo sebbene si debbano fare i conti con un protagonista quasi clownesco.
Sorrentino rende poetico ciò che in altre mani sarebbe stato probabilmente un memorabile scult ,tira fuori un lavoro magari discontinuo ma profondamente vivo.Ovviamente avvalendosi di un super Sean Penn,fantastico e per nulla imbarazzato nel trasformarsi con parrucca corvina e rossetto battonesco da eccentrico e malandato vip di provincia a uomo nuovo,finalmente pronto a voltar pagina.

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Ultima risposta 17/04/2012 13.00.50
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR oh dae-soo  @  15/04/2012 13:17:44
   8 / 10
"Questo deve essere il posto" avrà pensato Aloise Lange dopo aver scoperto chi era quella specie di relitto umano che gli si è presentato davanti. La neve del resto la vedevano anche loro dall'altra parte del filo spinato, la giovinezza e la spensieratezza, in quella neve, la persero tutti, buoni e cattivi. Non c'è posto migliore di questo, freddo, innevato, sperduto, fatale.

"Questa deve essere l'ora" avrà pensato Aloise Lange, perchè si può scappare un'intera vita da qualcosa o da qualcuno, anche da se stessi, e Aloise Lange questo lo sa, ma poi l'ora arriva e forse in questo caso meglio tardi che mai anche se Cheyenne pensa che tardi è sempre e semplicemente tardi. Questa è l'ora, inutile combattere, e se non è stato lui a trovarmi è giusto che l'abbia fatto Cheyenne.

"Questo deve essere il modo", ecco, questo Aloise Lange non l'ha pensato di certo, perchè in situazioni come queste più che pensare una certa cosa la si spera proprio, si spera che parta quel colpo di pistola a cancellare per sempre un'esistenza che, colpevole o no, ha un peso troppo grande su spalle troppo piccole, si spera che il cerchio si chiudi in maniera definitiva, che i pensieri fuggano per sempre. Lange apprezza l'inesorabile bellezza della vendetta, la perseveranza che porta alla sua grandezza. Ci sono però vendette più ironiche ma infinitamente più terribili, vendette che chiudono il cerchio in maniera ancora più perfetta, e il Giotto in questione è Cheyenne, che un colpo lo spara, da una macchina fotografica però, e poi manda quel corpo rinsecchito a camminare nel freddo contrappasso dei ricordi. A volte si può esser nudi per mettersi nei panni di qualcun altro.

"Questo deve essere il mio nuovo inizio" avrà pensato Cheyenne, che per 40 anni ha portato i propri 15 anni sotto chili di cerone e rossetti che reggono un giorno intero.
Perchè un conto è sentirsi bambini per sempre, un altro esserlo davvero.
Questo è il mio nuovo inizio, lo sa Cheyenne che fuma la sigaretta della maturità, che torna quel figlio che aveva dimenticato di essere, che quel cerone, barriera di una vita, ora può toglierselo di dosso.

E se Sorrentino in ogni inquadratura, in ogni movimento di macchina, in ogni musica rasenta così la perfezione da sembrar finto a me non frega nulla.
Se Messi fa per la 35° volta le sue serpentine io non dico "che palle", io godo.
E godo di Sorrentino anche se tante volte quelle serpentine, quegli uno due straordinari, quei cucchiai magnifici, non portano a nulla.
Come con la terribile scena di David Byrne, quasi una decina di minuti completamente fuori dal resto, una marchetta terribile.
O come quell'indiano che sale e scende dal pick up come Dìo solo lo sa.
O come quel meraviglioso ma quasi inconcepibile finale che in maniera troppo brusca e forse semplicistica ci regala un altro uomo cancellando in un amen decenni della propria vita. Ma il figlio mai stato figlio prima o poi doveva tornare, i cerchi, l'abbiamo detto, si chiudono sempre. Meglio tardi che mai, stavolta anche Cheyenne sarà d'accordo, perchè quel sorriso, alla fine, esce fuori anche a lui.
Cheyenne chiude tutti i cerchi, quelli che ha cominciato lui e quelli che ha dovuto solo finire.
Tutti piccoli cerchi di piccole storie perchè quello più grande, quello della Storia, non si chiuderà mai.
"Questo doveva essere il mio destino" avrà pensato probabilmente l'ex bambino che ha saputo suonare la chitarra.
Forse si può ancora recuperar tutto.
Una madre.
Una sorella.
Una moglie.
Sè stesso.
Meglio tardi che mai John Smith.
E lascia perdere quella specie di pelota spagnola.
Metti l'acqua in quella piscina e non aver paura di tuffartici dentro.

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Ultima risposta 31/05/2012 09.39.03
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The BluBus  @  30/03/2012 00:38:12
   8 / 10
Davvero ottimo, non capisco i numerosi voti bassi..
Dialoghi ottimi, Penn perfetto, e grande fotografia.

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Ultima risposta 07/05/2012 23.38.24
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RHCP  @  31/01/2012 10:04:35
   7½ / 10
Ho letto e sentito lamentele circa quest film: "la trama è inesistente", oppure "sta in piedi solo grazie a Sean Penn".
Beh...se non amate film introspettivi, nei quali la caratterizzazione dei personaggi prevale sulla trama, allora NON andate a vedere questo film!
La trama, in questo film, non è fondamentale. E' solo un pretesto per tante citazioni sulla vita, per tanta buona musica, per un'ottima fotografia e per una magistrale interpretazione di un formidabile attore.
La colonna sonora è davvero coinvolgente!

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Ultima risposta 15/02/2012 00.41.49
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cultmovie  @  14/12/2011 04:25:38
   5 / 10
film mediocre e piuttosto sconclusionato, troppa carne al fuoco ma poca sostanza...si salva solo la fotografia e qualche scena, recitazione di Sean Penn sottotono.
in poche parole RIDICOLO potrebbe piacere a qualche teen-ager

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Ultima risposta 31/01/2012 11.19.46
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barone_rosso  @  03/12/2011 23:36:16
   5 / 10
Me ne avevano parlato molto bene, ma è stata una delusione. Film vuoto come una zucca vuota, il modo di fare Osbourne-style di Sean Penn annoia dopo i primi 10 minuti...

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Ultima risposta 14/12/2011 04.26.57
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Regista Ricky  @  26/11/2011 10:56:57
   4 / 10
la mia sensazione quando l'ho visto fortunatamente gratis.

A: di che cosa parla i film?
B: Sean Penn è bravo.
A: Davvero? Ma che succede?
B: E c'è Sean Penn.
A: Si ma la trama?
B: E c'è Sean Penn che vaga per l'America e parla con altre persone.

e potrei andare avanti. detto tutto.
DELUSIONE.

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Ultima risposta 04/03/2012 12.11.09
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Peter Lyman  @  09/11/2011 00:21:28
   10 / 10
Stupendo, senza ombra di dubbio. Un personaggio straordinario quello interpretato dal grande Sean Penn, visibilmente e palesemente rifatto alla carismatica figura di Robert Smith. Alcuni, ho letto, associano in modo negativo questa pellicola al film "Into the Wild", causa uno dei temi principali, ovvero il viaggio. In risposta a tali commenti dico che per me è un accostamento banale e privo di senso: quì non abbiamo un biondino figo che brucia i soldi, abbandona la famiglia e legge Thoreau davanti a un falò in mezzo alla natura (scusate ma provo una certa insofferenza per Alexander Supertramp, non so nemmeno io perchè), quì c'è un uomo, ormai vittima della vecchiaia imminente che inconsapevolmente riesce finalmente a trovare un rimedio alla sua grande tristezza. Questo rimedio è togliersi "la maschera". Guardare al di là di essa e non attraverso essa. Le immagini scorrono davanti ai nostri occhi e noi ci sentiamo sempre più partecipi e coinvolti in quella che è metaforicamente una delle più brutali e angoscianti condizioni dell'animo umano: essere tristi e non fare niente per cambiare tutto ciò.

Inutile dire gran colonna sonora..gran scenografia..gran dialoghi (grande tenera saggezza)..gran tutto.

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Ultima risposta 10/11/2011 19.39.31
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devis  @  01/11/2011 23:24:45
   4 / 10
Veramente un brutto film. Noioso, lento e di una depressione incredibile. E dire che lo avevo scelto vedendo la media alta. Non consigliabile!

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Ultima risposta 02/11/2011 13.41.28
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR jack_torrence  @  30/10/2011 15:00:36
   7 / 10
Mentre praparo la recensione di questo film rileggo i vari commenti che nel frattempo, tra la mia visione e adesso, si sono accumulati...
Difficile aggiungere elementi che non siano già stati colti; tuttavia forse posso fare una sintesi (come sarà la recensione stessa).
Per me questo film di Sorrentino non è vuoto e narcisista, non è solamente ridondante (anche se è ridondante, ma non per difetto). E' una sfumatura nuova, in un percorso non ancora non giunto a piena maturità probabilmente, di una poetica incentrata sull'eccentricità e sulla solitudine.
Per la prima volta però l'alterità rispetto al mondo sa trovare una strada, uno sbocco.
E' un percorso di formazione attraverso un viaggio e l'incontro con il mondo e i suoi vari "tipi" umani, non meno eccentrici del protagonista, in fondo.
C'è tanto cinema (troppo?) in questa pellicola. Ma forse l'autore che più mi ha ricordato Sorrentino con questo film è Jim Jarmush.

Dopo la (ben riuscita) descrizione statica denarrativizzata dell'esilio dublinese di Cheyenne, si salpa per le praterie americane, dove la vaghezza dell'errare (senza una meta che distolga, durante il percorso, dal viaggiare guardandosi attorno - anche per questo la meta è soltanto un pretesto) può arrivare a suggerire la rigenerazione di un'identità dispersa.

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Ultima risposta 21/11/2012 00.59.37
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Gruppo REDAZIONE amterme63  @  29/10/2011 19:28:46
   7½ / 10
Di Sorrentino ho visto solo "Il Divo" e devo dire che ho trovato molti punti stilistici di contatto fra il film su Andreotti e "This must be the place". Entrambi sono basati sul tentativo di indagare un unico personaggio, protagonista incontrastato del film. In entrambe le opere si indagano personalità che sono state molto conosciute in passato, hanno svolto un ruolo significativo e che adesso si trovano fuori dal giro, a fare i conti con il vuoto intorno, una profonda crisi d'identità e ricadute a livello di nevrosi. Devono affrontare poi l'ingombrante e impietoso confronto del presente con il passato, trovandosi a fare amari bilanci.
Se con "Il Divo" Sorrentino mirava a fornire indirettamente anche un quadro politico ed etico della società italiana (riuscendoci), con "This must be the place" punta ad ampliare il ragionamento su di un piano esistenzialistico universale (riuscendoci in parte solo nel finale).
La tecnica di approccio ai due personaggi-protagonisti coincide nei due film e consiste nello sguardo "nouvelle vague". In altre parole si preferisce concentrarsi su momenti apparentemente insignificanti e banali della giornata ma che in realtà diventano molto significativi per conoscere il carattere, la personalità, le abitudini, il modo di vivere e pensare che ha il protagonista. Questo comporta in "This must be the place" che per la prima metà del film non esista in pratica trama o azione, solo un montaggio non conseguente di vari momenti di vita, avulsi da logiche di tempo e luogo. Qui il carattere di Cheyenne troneggia con tutte le sue singolarità, i suoi tic, le nevrosi, le abitudini, le peculiarità. C'è da dire che sia Sorrentino con la sua sceneggiatura che Penn con la sua interpretazione riescono a caratterizzare alla perfezione il personaggio, a farlo sembrare una persona vera, come fosse veramente esistito e non un parto della fantasia.
Anche qui attraverso lo sguardo su Cheyenne si cerca di riprodurre il simbolo di un'epoca, come aveva anche Andreotti. Cheyenne in sé riassume vari personaggi della scena musicale e di costume degli anni 70-80. Esteriormente richiama il cantante dei Cure, anche se come età anagrafica e come tipo di musica (pop a sensazione) vengono in mente le New York Dolls (e si spiega l'amicizia con David Byrne). Il personaggio ha poi l'aspetto estraniato e vissuto del tardo Iggy Pop (citato con la sua splendida "Passenger"), mentre alcuni episodi (i ragazzi morti seguendo lo spirito delle canzoni) fanno riferimento a Lou Reed (accusato di avere propagandato l'uso di droghe con le sue canzoni-stile di vita).
Il bilancio sembra essere negativo. Cheyenne vive, anzi non vive, in un ruolo non più esistente, in un aspetto esteriore che ha perso qualunque senso. Quello che lo salva è l'ironia, il distacco da se stesso, il rifiuto di quello che era per qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo, la voglia di essere utile agli altri, di alleviare dolori altrui.
Molti hanno messo in rilievo l'assurdità dell'episodio motore della seconda parte (la caccia al criminale nazista). Nel contesto della storia (pseudo-realistica) però non è assurdo. E' semplicemente un espediente artistico per poter porre il protagonista di fronte al mondo, a confrontarsi con il suo rimosso e con personalità e situazioni diverse dalle proprie. Il raffronto con "A Straight Story" di Lynch è certamente pertinente. Solo che il film di Lynch è infinitamente più lirico e profondo rispetto agli incontri piuttosto superficiali fatti da Cheyenne negli Stati Uniti.
Comunque questa seconda parte, anche se non all'altezza di Lynch, è certamente quella più bella, quella più coinvolgente, quella con il messaggio universale. Si vuole comunicare l'idea che quello che conta non è tanto ciò che siamo per noi stessi, ma ciò che siamo per gli altri. Ed è così che Cheyenne alla fine accetta di rinunciare a se stesso per trasformarsi in un'altra persona, questo per lenire il dolore profondo di qualcuno che si ha a cuore. Essere per gli altri è l'unico modo per trovare una gioia nella vita, questo sembra suggerire la scena finale.
Rimane sullo sfondo però lo stesso difetto di "Il Divo". Nonostante lo sguardo molto insistito su Cheyenne (come su Andreotti), la sua interiorità ci rimane sempre estranea. Ci mancano i perché approfonditi delle sue scelte, soprattutto quelle del passato. Ma anche nel presente quello che viene fatto non viene adeguatamente espresso a livello interiore. La storia si regge quindi sull'interazione di Cheyenne con gli altri, piuttosto che nell'espressione significativa del suo intimo. E' il grande limite del cinema di Sorrentino, anche se con questo film si sono fatti molti progressi rispetto alla chiusura interiore (voluta) del personaggio di Andreotti.
Per il resto Sorrentino mi sembra uno dei pochi Registi con la R maiuscola in circolazione. Nessuna inquadratura banale o fuori posto, molto fantasia e varietà nei punti di vista, grande senso dell'immagine. Le ambientazioni molto curate partecipano all'atmosfera e al messaggio del film. Una festa per gli occhi, non c'è che dire.
Tutto sommato un'interessante e bella visione. Vale la pena guardarlo.

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Ultima risposta 16/04/2012 20.45.02
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Gruppo COLLABORATORI Gabriela  @  28/10/2011 12:45:27
   8 / 10
- Passiamo senza farci troppo caso dall' età in cui si dice “un giorno farò così”, all'età in cui si dice “è andata così” ...

Sicuramente non è il miglior Sorrentino e con questo film forse aveva ansia da prestazione.
Ma non posso dare meno di 8 perchè a me è piaciuto.
Sicuramente la prima parte merita parecchio forse la seconda un po' troppo lenta e prolissa.

Ma si sa il mio voto è troppo di parte I LIKE SCIONPENN!!!

p.s. chissà se Robert Smith vedrà questo film e si chiederà:
"quando smetterò di suonare la mia vita diventerà così?"

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Ultima risposta 13/03/2012 16.21.42
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patt  @  27/10/2011 09:29:37
   7½ / 10
Nonostante fossi un po' prevenuta dalla super pubblicità anche stavolta Sorrentino non mi delude. E' oggettivamente bravo, accattivante, è un artista capace di intessere immagini, musica e regia in un tutto che stupisce e colpisce sempre, il risultato finale è comunque buono, c'è da dire che in questo lavoro arriva ad un limite che sfiora la ridondanza, 15-20 minuti in meno avrebbero giovato a questa sua avidità scenica che rischia l'eccesso e la dispersione.
Le musiche sono sempre bellissime e Penn in questa veste mi piace assai, in un primo momento mi irritava un po' quel doppiaggio da voce biascicata, ma in effetti è perfettamente in linea con il personaggio.

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Ultima risposta 28/10/2011 17.48.54
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Gruppo COLLABORATORI Marco Iafrate  @  26/10/2011 19:20:43
   8 / 10
Non devono aver letto bene il titolo del film i due distinti signori, marito e moglie, che arrivati con un discreto ritardo in sala hanno fatto alzare 18 (dicasi diciotto) persone per attraversare tutta la fila da destra a sinistra . Avendo loro assegnati i posti numero 19 e 20 (gli ultimi due a sinistra) della fila G hanno pensato bene di iniziare il loro percorso dalla poltrona G1 (la prima a destra) per conquistare l'agognata sedia imbottita, attraversando in largo l'intera sala, un viaggio durato una decina di minuti tra discussioni e incomprensioni, intanto le immagini del film continuavano a scorrere, hanno creato un panico tale che il mormorio venutosi a creare è definitivamente scomparso solo alla fine del primo tempo, era sufficiente fare il giro e sedersi comodamente senza far muovere un muscolo ad alcuno, tant'è che sia loro che passavano che i poveri cristi che si alzavano non avevano capito bene cosa stesse accadendo, ad un certo punto ho come avuto l'impressione che Cheyenne nel suo torpore annoiato, con quella voce in falsetto che ha contraddistinto poi il film, stesse per intervenire con un laconico: "Signori, adesso avete rotto i c.oglioni, mettete il c.azzo del vostro c.ulo a sedere e fate godere dello spettacolo tutti i presenti che avendo pagato regolare biglietto ne hanno il sacrosanto diritto".
Immaginate il mio approccio al film, la domenica era partita male con la scomparsa del povero Sic, sono un appassionato di moto gp e questa nota triste me la sarei proprio risparmiata, ho deciso allora di andarmi a vedere un bel film, adoro il cinema di Sorrentino, non mi dispiace Sean Penn, la scelta è obbligata, il desiderio era di goderselo in religioso silenzio, è il bello del cinema. Impresa fallita. Passiamo al film:
Il coraggio premia. Sempre. Pellicole come questa il nutrito esercito di registi nostrani preferiscono farle girare a colleghi che parlano un'altra lingua, meglio assicurarsi il successo con le solite storie di intrighi familiari, tradimenti, incomprensioni , è tutto già collaudato, se si escludono le poche pellicole di nicchia, più rare del quadrifoglio, il panorama cinematografico italiano oggi è quello che è, povero di idee e di coraggio, ben venga quindi la sana ambizione di Sorrentino di sfidare la critica d'oltreoceano, l'America è stata attraversata in lungo e in largo da decine di macchine da presa, road movie che hanno accompagnato lo spettatore lungo rettilinei interminabili affiancati da terra, roccia, erba e boschi, la musica a fare da cornice, "da dove è venuto fuori questo regista spaghetti e mandolino che osa tanto? Con uno dei nostri migliori attori del momento? Una ex rockstar, l'Olocausto, i Talking Heads, David Byrne, che storia è questa?
Lynch: una storia vera, un uomo, Alvin, il viaggio, la malinconia, i colori della natura, distese di erba, cieli azzurri, pioggia, la vita. Sorrentino: un'altra storia, un altro uomo, Cheyenne, un altro viaggio, altra malinconia, altri colori della natura, altre distese di erba, altri cieli azzurri, altra pioggia, un' altra vita.
Ispirarsi a qualcosa che appartiene ad un mostro sacro contemporaneo è un atto di coraggio, tutto il film è un atto di coraggio, la sfida al mercato americano, la carta Sean Penn, la storia analoga, il delicato tema dell'Olocausto, il cameo Byrne, ad avercene.
Cheyenne affronta un viaggio materialmente attraverso il New Mexico e l'Utah e spiritualmente attraverso la sua anima, un ‘anima rimasta bambina, apparentemente non ostacolata dai drammi dell'esistenza, la noia a fare da pendolo alle giornate, una moglie che pensa a tutto, una giovane fan per sentirsi padre ed un padre che è mancato a lui e che il destino, con il suo abbraccio mortale, offre l'occasione di riscoprire. Eri così lontano, cos'è la morte? Chi ti ha fatto soffrire in vita? Conosco l'Olocausto? Vagamente. Devo porre rimedio.
E' un riscatto il viaggio di Cheyenne, un lento percorso di redenzione, durante il quale frammenti di vite si susseguono a testimoniare le esistenze: la cameriera di un ristorante, l'indiano autostoppista, l'inventore del trolley, le ragazze del supermercato, tutto a condire un piatto semplice ma riuscito maledettamente bene. Sta tutta qui la bravura del regista, non ho notato una battuta di arresto dopo film come "IL divo" o "Le conseguenze dell'amore", mi ha lasciato le stesse piacevoli sensazioni, c'è chi non le ha sentite, è normale, tutto quel che accade fa parte della vita.




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Ultima risposta 03/11/2011 22.54.05
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento Aliena  @  25/10/2011 19:43:45
   7 / 10
mah boh non so forse que sarà sarà perhaps maybe i don't care pimpiripettenusapimpiripettepam

Forse,
lo stadio di sospensione del giudizio ed incertezza che accompagna lo spettatore dopo i titoli di coda,
è l'obiettivo di questo film.
Diversamente non so davvero come spiegarmi il senso di vacuità che mi ha lasciato questo prodotto cinematografico dal dubbio stile.
No vabbè uno stile c'è.. me è
dark gothic punk + dottorstranamore con castagna
momento di crescita per la morte del padre
e poi Wakantanka hoka hey hoka hey
e c'è pure la donna bisonte bianco, quella che dona la pipa ai lakota (questo spiega la sigaretta?)
ah poi aggiungi anche i nazisti che fanno sempre la loro bella figura del male che più male non si può
ma non dimenticare che i bei sentimenti vanno proclamati prima di tutto ciò
per l'esattezza davanti ad una piscina vuota
che banalmente rappresenta l'esistenza vuota no?
un'esistenza che andrebbe riempita, come dovrebbero fare tutti gli uomini, poi però si tralascia la ricerca del senso della vita e si compra un cane, che è anche simbolo di fedeltà è vero, però ha il collarino da paziente post operazione ai testicoli
quindi la fedeltà è castrare il cane
perciò se vuoi riempire la tua vita e smetterla di essere fedele a tua moglie con cui in quell'esistenza ti limiti a giocare a squash
invece a quella della figlia del figlio il cui padre ha ucciso gli ebrei la riempi

si vabbè
vale la pena forse vederlo perché scion penn è vestito e truccato come mia zia dorotea e spiega come mantenere più alungo il rossetto sulle labbra
e perché l'hanno sponsorizzato tanto
e anche perché il regista è italiano

amen

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Ultima risposta 05/11/2011 00.38.02
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Gabo Viola  @  25/10/2011 00:22:02
   2 / 10
Dopo Muccino anche Sorrentino goes america. Preferisco senza dubbio il primo al secondo perchè almeno non si ammanta di qualsivoglia autoralità. Preferisco un clown, un imbonitore di massa ad un regista che vuole "oh oh far vibrare le corde del cuore". Sorrentino è tutto questo, lezioso, accademico, petulante. Aspetto i commenti dei suoi fan a cui propongo, vista la fede cieca, un gemellaggio con il Santo di Pietralcina: Padre Pio.

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Ultima risposta 04/11/2011 00.26.56
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR ferro84  @  24/10/2011 23:51:04
   5 / 10
Un Sorrentino affetto da ansia da prestazione confeziona uno dei suoi film meno riusciti perdendo ahimè l'appuntamento più importante della sua carriera.
Un vero peccato ma si deve dire che This must be the place è un film pasticciato e di maniera purtroppo del tutto inconcludente.

Sorrentino ce la metta tutta per mettersi in mostra: carrellate, piani sequenze, campi lunghi, citazioni, si lascia andare ad una bulimia stilistica tralasciando il resto e perdendosi totalmente nei dettagli.
In questo tripudio stilistico, sterile e di maniera, gli attori sebbene bravissimi cadono vittime del narcisismo registico che interrompe il filo narrativo introducendo personaggi inutili o diluendo scene in maniera irritante.
Dedicare sei minuti alla canzone This must be the place è un delitto che non trova altra giustificazione qualche favore a David Byrne visto anche il cameo che gli dedica.

Certo non mancano momenti di ottimo cinema così come dialoghi meravigliosi però il senso di disorganicità è notevole anche per il fatto che Sorrentino si dimostra essere unico nella rappresentazioe e nel racconto dei personaggi ma assolutamente inadeguata è la sua capacità narrativa complessiva. Non a caso il suo capolavoro è Il Divo, film dove la (S)storia è del tutto tralasciata e dove l'elemento che conta è il racconto dei personaggi politci.

Il cinema americano è pieno di road movie formativi di grande spessore e purtroppo questo film non regge il paragone-
Quando David Lynch decise di girare Una storia vera, tutti si aspettavano qualcosa di molto personale e invece Lynch seppe abbandonare il suo stile adottando uno stile classico perfettamente congeniale al tipo di racconto stesso e il risultato fu un capolavoro.
Sorrentino dichiara di ispirarsi a Una storia vera ma perchè non l'ha fatto fino in fondo?

Purtroppo una bellissima occasione persa e spiace veramente, sebbene il film alterni momenti riusciti ad altri meno il dato complessivo è negativo, nella speranza che a Sorrentino sia concessa una prova di appello This must be the place sia un'occasione per imparare dagli errori.

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Ultima risposta 16/12/2011 19.03.14
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR foxycleo  @  24/10/2011 16:54:06
   8 / 10
Da un regista che ormai non è più una promessa ma una consolidata garanzia un film complesso, originale, spiazzante.
La storia, on the road, di Cheyenne è una storia di vita e come tale è complessa, delicata, fatta di emozioni e di frasi spezzate.
Grandiosa performance del sempre ottimo Sean Penn, plauso anche per la sempre bravissima ( e che personalmente vorrei vedere ancora più frequentemente) Frances McDormand.
"Home is where I want to be".

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Ultima risposta 24/10/2011 19.42.05
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Invia una mail all'autore del commento Andrea Lade  @  23/10/2011 03:34:19
   2 / 10
Uno dei film più noiosi che abbia mai visto. Lento,lento ed ancora lento. L' operazione cinematografica ruota attorno al talento attoriale di Sean Penn, ridicolizzato da un costume un po' fuoritempo e da una voce-falsetto molto tediosa e a mio avviso irritante. La sceneggiatura è praticamente assente e il racconto della ricerca di un cacciatore di ebrei fa da sfondo ad una serie di piccoli episodi pseudo-familiari che non si integrano con il tema del film . Finale fortemente simbolico ma moralista ed esteticamente fastidioso.

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Ultima risposta 25/10/2011 02.35.34
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Freddy Krueger  @  21/10/2011 23:46:01
   6 / 10
È uno di quei film di cui se guardi la copertina hai praticamente visto l'intero film... mi spiego meglio, se vuoi vederlo lo fai per Sean Penn che ti assicura un'interpretazione straordinaria, si capisce dalla sua espressione nella locandina. Che comunque questa sarà l'unica sua espressione facciale in tutto il film. Non fraintendetemi, Penn è un grande e qui dà il meglio di sé, il personaggio però scende un po' spesso nel grottesco forzato.
E' vero che Sorrentino è bravo, tecnicamente è capacissimo, però come contenuti questo “This must be the place” non è eccellente. La trama si è vista mille volte (un uomo alla ricerca di sé stesso, che incontra decine di personaggi stravaganti durante il suo viaggio, in una sorta di road movie) e approfondisce poco.
Ma una cosa è certa: l'immagine di Cheyenne truccato così mi rimarrà impresso nella memoria a lungo.

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Ultima risposta 27/10/2011 17.13.40
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Satyr  @  21/10/2011 12:15:11
   6½ / 10
Perdersi nelle lunghe carrellate di Sorrentino è un piacere senza precedenti, ma This Must Be The Place è un film narrativamente discontinuo, costruito su molte buone idee capaci di salvarlo da una pesante bocciatura. Idee che non vengono però amalgamate nella maniera più efficace.

Non mi ha convinto la sottotrama dell'olocausto - la caccia al nazista di turno garantisce una presa diretta sul pubblico ma a conti fatti ha un pò stufato dai - così come non mi sono emozionato nel percorso interiore del protagonista, contornato da personaggi privi di spessore e da sequenze - vedi su tutte il cameo di David Byrne - visivamente meravigliose, a conti fatti inutili.

E'il film meno riuscito di Sorrentino, la struttura non è coerente e Sean Penn funziona da paracadute fino a un certo punto: tralasciando Robert Smith e Ozzy Osbourne, io ci ho visto parecchio " Mi Chiamo Sam ". 6.5 alla confezione, niente di più.

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Ultima risposta 22/10/2011 13.43.50
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  19/10/2011 01:48:30
   7½ / 10
Preferisco tagliare la torta a metà. Sodalizio irrinunciabile tra Sorrentino e l'America, con uno script imperfetto e un pò affettato al quale sembra che in ogni singola parte vengano aggiunte idee strabilianti (ma anche superflue) per gonfiare un risultato comunque di tutto rispetto. E' il caso del misterioso montaggio: lunghi piani sequenza insieme ad altri di brevità assoluta, quasi menomati dal loro sviluppo narrativo. Scelta calibrata o impotenza produttiva? Ci dice che l'unico film al quale si è ispirato è "The straight story" di Lynch, ma mente spudoratamente. Quanto Wenders in queste lunghe immagini (esplicito il cameo del meraviglioso Harry Dean Stanton)... e quanto Van Sant, sììì ma senza l'esibizione onirica e "distante" (dallo spettatore) delle frustazioni metaforiche del controverso regista.
A dire il vero c'è molto Altman (l'ossessione quasi teatrale per gli interni), molto Jarmush, qualcosa di Sofia Coppola.
E' un mondo di difficoltà e impotenza quella che dipinge (magnificamente) Sorrentino, di personaggi bizzarri e amari che quasi quasi fanno sembrare sobrio Cheyenne e il suo make-up. Uno strano incrocio tra Ian Hunter, Robert Smith e il Terence Stamp di "Priscilla". Il suo sarcasmo dovrebbe essere "punk", come un'invettiva sociale ben definita, ma l'impressione è che Sorrentino abbia creato il suo freak da laboratorio per paura di essere frainteso.
"Anche se bisogna scegliere una volta nella vita, anche solo una, in cui non avere paura" suggerisce il film, e forse è la paura che attanaglia questa prova di Sorrentino. Il tramonto della rockstar decadente e depressa, quasi un trattato da Lester Bangs, stride con il racconto della ricerca di un criminale nazista, con la mano calcata sul senso di "umiliazione" e con il bisogno legittimo o meno di vendetta. Ho avuto l'impressione che davanti a certi grandi temi la novità del film sia l'indubbia capacità di Sorrentino non di affrontarli - a parte il primo epilogo della "vendetta" ma il talento stilistico nel mascherarli.
Un film per certi aspetti "dadaista" nel suo impetuoso ritratto di maschere e nudità riflesse nello spazio di un'universo gigantesco e al tempo stesso minimo come quello della pianura americana.
Credo proprio che questa sorta di universalità ridotta made in Usa sia una delle cose migliori del film, insieme alla moglie di Cheyenne e al fantasma impotente e cmq. forte della figura paterna, in una dimensione dove il tempo non può mai assorbire il dolore ("Ci sono diversi modi di morire, il peggiore è rimanere vivi").
Meno convincenti la figura del cacciatore di nazisti, personaggio del tutto superfluo, o quello stesso inesorabile cammino di sopravvivenza del protagonista che, tra persone scomparse e movimenti no-tav, sembra persuaderci della sua eterna precarietà.
L'omaggio ai Talking Heads è un orpello in più, ma il non-luogo, dove si rappresenta l'involuzione di una società di comparse e illustri estinti racconta comunque un mondo dove è banalmente impossibile credersi redivivi reducisti

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Ultima risposta 05/11/2011 00.13.15
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Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  18/10/2011 16:40:32
   10 / 10
Uno di quei film invotabili e incommentabili. Un'esperienza più che altro. Visto in lingua originale (che merita sicuramente di più del comunque buon doppiaggio), questo ultimo internazionale capolavoro italiano è una rara commistione fra musica, sentimento, ironia e tanta sapienza cinematografica. Il film è una storia meravigliosa. Una redenzione dall'Inferno. In molte cose Sorrentino non stupisce per l'originalità. E su questo non ci piove. Sostanzialmente è una ripresa della miglior filmografia coeniana. Ma che un italiano abbia anche solo potuto pensare un film di tale grandezza è commuovente. Paolo Sorrentino è l'unico davvero che sappia pensare in grande. È al merito che do dieci. Poi è chiaro che l'opera mi ha preso tantissimo, oltre ad avermi preso Cheyenne. Sean Penn è un attore che mi è particolarmente congeniale, sebbene il suo stile sia difficile da digerire. Questo film è difficile da digerire. Ma a fine proiezione continui a stupirti di quanta roba, di quante storie ci siano in questo film. E di quanto Paolo sia riuscito ad amalgamarle in modo perfetto. Sorrentino non è un artista, è un lavoratore. E il suo lavoro è il Cinema. Di0 l'abbia in gloria.
"Il problema Rachel è che si passa troppo velocemente da quando si dice "la mia vita andrà così" a quando si dice invece "è andata così"". Ora non è la frase in sé che colpisce, ma il fatto che l'abbia tirata fuori da un hamburger troppo cotto. E lo sguardo angosciato di lei è un po' lo sguardo di tutti noi.
È sicuramente un'opera di buoni e intelligenti sentimenti, ma non ne sminuisce la carica artistica di altissimo livello. Moltissime cose, frasi, inquadrature, sguardi hanno parlato alla mia vita in modo personale, come se il film fosse fatto per me. Commovente la scena in cui suona "this must be the place" al bambino.
Ma ciò che più mi ha sconvolto è stato il finale, e
"mamma mi ha detto che il dolore non è la destinazione finale. Io so che ci sono persone che vanno via, è andato via mio fratello, sei andato via tu.."
Mi rendo conto dell'approccio ingenuo che ho nei confronti dei film, ma di fronte a questo non posso che levarmi il cappello e dire grazie.

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Ultima risposta 19/10/2011 20.41.13
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Invia una mail all'autore del commento logical  @  18/10/2011 01:47:12
   4 / 10
Sorrentino non aveva ancora sbagliato un film ma il look di Sean Penn mi aveva fatto temere il peggio. L'abbraccio del grande Cinema Americano aveva già lasciato parecchi cadaveri tra i registi europei e non, da Wim Wenders a John Woo e mi aspettavo qualche pesante influenza.
Non fino al punto di lobotomizzare un film alla sua radice, sia con le riprese con dolly perpetui vertiginosi che con una sceneggiatura balbettata e uniforme come una farsa triste.
Ci sono altre conseguenze, legate probabilmente ai finanziatori del film, che condizionano in modo estremamente sgradevole una storia che non avendo alcun appeal deve trovarsi un dramma tascabile per darsi un contegno. E cosa c'è di meglio della classica caccia al nazista - anche se più volte sottolineato - ampiamente fuori tempo massimo? Altri penosi quadretti-marchetta quello con il tributo 'artistico' a David Byrne, che ne sembra persino imbarazzato o la petulantissima insistenza tabagista, ormai bandita da tutti i film 100% USA e che qui cerca di avere persino un posto catartico nella sceneggiatura come annunciazione della maturità.
Non si può credere che sia lo stesso sceneggiatore della lucida depravazione di Titta Di Girolamo. Spero solo che questo film sia la necessaria vessazione per potere accedere a capitali e distribuzione americana e che si riprenda al più presto. Servillo, fosse anche solo per la parrucca, non l'avrebbe mai fatto.

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Ultima risposta 18/10/2011 20.51.37
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Gruppo REDAZIONE K.S.T.D.E.D.  @  17/10/2011 18:13:21
   6½ / 10
Fuori dai confini nazionali, Sorrentino sembra perdere di vista il suo cinema, o meglio quell'aspetto del suo cinema che gli ha nel tempo permesso di girare pellicole riconoscibili e intrise di una personalità così coinvolgente da costringere occhi e cuore a non staccarsi dallo schermo per l'intera durata delle stesse. Ci si riferisce alla capacità di rendere viva la parte più intima della pellicola, di portarla in primo piano con facilità disarmante, palesando tutte quelle emozioni che lo spettatore, a quel punto, non deve far altro che far sue.

Commento più ampio sul mio nuovo bellissimo blog: http://houndolcettoentra.blogspot.com/

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Ultima risposta 29/10/2011 12.45.54
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kerkyra  @  16/10/2011 12:06:43
   5½ / 10
Mi ha delusa, il talento di Penn qui non è stato adeguatamente contenuto.
Penso che sia il solito road-movie che puntualmente il regista europeo ci propina ogni volta che va negli States...
Peccato... una bella occasione sprecata...

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Ultima risposta 24/10/2011 10.55.00
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Gruppo REDAZIONE VincentVega1  @  16/10/2011 01:53:54
   6½ / 10
Il cinema di Sorrentino, con un inutile movimento di macchina, precipita nel vuoto assoluto, ma in maniera disgustosamente deliziosa.

Sean Penn interpreta il paracadute. Basterà?

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Ultima risposta 27/10/2011 20.15.01
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The Legend  @  15/10/2011 20:29:37
   2 / 10
E' difficile riconoscere dietro a un filmetto così insulso la mano dello stesso regista delle Conseguenze dell'Amore. Mio dio, come può essere lo stesso Sorrentino ?

This must be the place è un guscio vuoto che non trasmette emozioni, personaggi troppo deboli e una storia priva di spessore che non si sa dove vuole andare a parare.

D'accordo: negli altri film c'era Servillo che praticamente reggeva da solo la baracca, ma qui mancano anche le musiche speciali di Sorrentino, le sue battute fulminanti, le trovate sceniche sorprendenti che avevano fatto di questo giovane regista (meritatamente) la nuova stella nascente del firmamento italiano.

Paolo mio, non è che hai tirato di coca anche tu prima di incominciare le riprese ?

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Ultima risposta 04/11/2011 00.34.33
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PabloScott  @  15/10/2011 12:16:36
   6 / 10
Il personaggio del cantante meledetto ormai invecchiato non è una novità. Ricorda troppo Ozzy via diciamolo.Si poteva aggiungere qualcosa di più. La trama è banale e sviluppata poco bene a mio avviso.Ci sono personaggi che inizialmente sembrano essere importanti e che poi scompaiono del tutto.La lentezza in un film a me non dispiace quando serve a sottolineare qualcosa o qualcuno ma qui si esagera.Le note positive sono la recitazione la regia e le musiche che sono impeccabili.

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Ultima risposta 15/10/2011 14.15.19
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