BV (Ryan Gosling) è un musicista che cerca il successo con l'aiuto della compagna (Rooney Mara) e del suo produttore Cook (Michael Fassbender). Tra i tre si stabilisce un legame che va oltre il semplice rapporto professionale e che coinvolge presto anche la giovane cameriera Rhonda (Natalie Portman). Nasce così una relazione intima e passionale in continuo bilico tra amore e tradimento.
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Ho resistito 7 anni dagli intenti masochisti ma poi come sempre la curiosità ha vinto. Pienamente nelle aspettative, non mi aspettavo nulla di diverso da questo coacervo di immagini senza senso. Ovviamente siamo distanti anni luce da "La rabbia giovane" (e d'altronde, sono passati più di 50 anni...)
Fuffa alla massima potenza con il marchio di fabbrica doc di Malick che con la sua inconfondibile regia si insinua tra dialoghi e pensieri ridicoli, balli scimmieschi e accenni di canto stonato del peggior attore di Hollywood, evidentemente non ancora satollo di averci già nauseato con La La La Land
Approcciarsi ad un film di Malick non è mai semplice e non solo perchè Malick è uno dei pochi che può dire di essere unico in ciò che fa, ma perchè ciò che fa non è facilmente digeribile da tutti. Non lo era il suo cinema più canonico come "La rabbia giovane" e "I giorni del cielo", tanto più non lo è la sua ultima produzione, in particolare da "The tree of life" in poi. "Song to song" non sfugge: Malick torna a raccontarci dei personaggi facendoli parlare 4 volte e utilizzando moltissimo (come da carriera) la voce fuori campo come "stream of consciousness": perchè i suoi personaggi sono spigolosi e pieni di cose non dette, come se Malick volesse farci entrare nella loro coscienza per raccontarci quello che è paradossalmente un film sull'angoscia, la paura e la difficoltà di amare con tutto se stesso. In tale altissima visione del cinema, le immagini svolgono un ruolo fondamentale e se anche posso capire che ritiene l'ultimo Malick ammorbante (io ho detestato "To the wonder"), nessuno può mettere in dubbio l'unicità poetica della immagini di Malick, che ha una capacità veramente unica di ricerca dell'immagine, coaudiuvato da un maestro della fotografia come Lubezki. Più di "Knight of cups", l'ultimo film di Malick ci porta in un mondo interno a personaggi che non vogliono essere raccondati, ma eviscerati dei loro pensieri. Un mondo ostico, ma straordinario.
Malick ormai da tempo sta girando intorno al suo piu' grande successo "The tree of life" girando film a raffica (cosa che non faceva prima) piu' o meno nello stesso modo. Ma almeno fino ad'ora aveva raccontato storie diverse... Adesso invece ci propone un film che per tematiche e personaggi risulta molto simile al precedente "Knight of cups", che guarda caso ha girato insieme a questo. Abbiamo gia' sparato addosso alla Hollywood bene, il mondo della discografia non è tanto distante. Sicuramente molto stile, ma che stavolta annoia a dismisura.
Farà strano a molti, ma personalmente ho avuto uno "scatto" verso Malick quando vidi Knight of Cups. Venuto a conoscenza di un nuovo film da parte di questo eccezionale regista non potevo che sperare assomigliasse il più possibile al film con Christian Bale. Ebbene è così! Per me si è trattato ancora una volta di una goduria lunga 2 ore. Malick regala un altro spettacolo audio-visivo...ha certe invenzioni visive/di movimento davvero geniali (il personaggio in scena si muove in un certo modo, fa certe espressioni, etc).
Gli attori sono tutti in forma, a partire dallo straordinario trio Rooney Mara, Cate Blanchett e Natalie Portman. Per non parlare di uno scatenato Michael Fassbender. Malick permette agli attori di esprimersi e recitare come non è possibile in nessun altro film, "imprigionati" in personaggi e sceneggiature bloccate. Non è possibile vedere Fassbender in queste vesti in nessun film, neanche in un Bastardi Senza Gloria di Tarantino.
Tutti gli elementi che ho apprezzato in Knight of Cups sono presenti anche in Song to Song: i personaggi si guardano, si toccano, passeggiano insieme, stanno in silenzio, scherzano, si muovono nei vari ambienti e interagiscono con esso e con le persone. Insomma tutta quella serie di caratteristiche con cui nascono gli esseri umani (socialità, curiosità, espressione di sè per mezzo di comunicazioni verbali e ancora prima NON verbali) che sono magnificamente riportate nei film di Malick, a partire da un neonato (Tree of Life) fino agli adulti.
Molto spezzato , frammentato , pieno di silenzi e con dialoghi assurdi . Malick è troppo introspettivo per me , nonostante il grande cast gira una pellicola rindondante per due ore e il prodotto è pesante e non appassiona . Si salva solo qualche piano sequenza
Dando per buoni i motivi per cui un film che parla di storie d'amore altalenanti con ragioni e conseguenze sentimentali particolarmente insipide vada raccontata attraverso le sensazioni non verbali dei protagonisti, la forma rimane ancora una volta l'unica cosa concreta di un Terrence Malick banalmente interessato alla fragilità o alla soddisfazione amorosa di una coppia, e basta. Viene immediato chiedersi cosa possa lasciare la visione di una pellicola come SONG TO SONG, del quale va considerato un moralismo fastidioso, monolaterale e ricco di conati emotivi, e la risposta dà poca soddisfazione.
Il percorso di Malick dopo The Tree of life sembra essersi apparentemente appiattito. I suoi film sono quasi delle varizioni di uno stesso film ed anche questo Song to Song sembra farne parte. La scena musicale di Austin è lo sfondo per le storie di tre personaggi alla ricerca della loro dimensione, di uomo e di musicista. Al cospetto di un mondo tanto agognato quanto respingente nei suoi meccanismi, i personaggi si allontanano e si riavvcinano in maniera graduale. Un distacco formativo che li porta a nuove esperienze, nuovi o vecchi errori e maturità. Sicuramente il modo di girare di Malick piace molto agli attori. I momenti catturati dal regista sembrano più improvvisati che studiati, quasi che il regista voglia cercare quel momento particolare. Mi è piaciuto a tratti, ma non è Malick di una volta. Vorrei tanto sbagliarmi.
Frammenti, micro piani sequenza, montati, smontati, inquadrature ravvicinate, grandangoli estremi, pance, mani, gesti, sguardi e paesaggi, architetture eleganti, lusso, euforia (immotivata) e dramma, la vita che avanza, le storie procedono, si sviluppano, a volte si interrompono, a volte bruscamente, a volte ritrovano la strada (lungo il fiume). La natura sempre presente, questa volta il sonoro lascia spazio alla musica, ma lo stile di Malick è riconoscibilissimo (troppo). Non riesco ad apprezzare il messaggio (trito e ritrito), non reggo la lunghezza (con questi ritmi), ma riconosco l'arte, la poesia, l'originalità ...; oddio, originale poteva essere "Tree of life", ma già "To the wonder" ....qui siamo alla riproduzione seriale dello stesso stile (Fontana tagliando la tela fece un capolavoro, poi solo mercato). Credibili i 2 belli, meno credibile la musa Rooney Mara. Cast all'altezza.
Film troppo lento, troppo concettuale, troppo presuntuoso, troppo. Bravi gli attori, bella la fotografia, ma davvero una visione pesante ed esageratamente introspettiva.
MA COSA VUOI DIRE DI MALICK?????.....PER UN REGISTA (SE COSI' LO VOGLIAMO DEFINIRE) DEL GENERE SI ADATTA PERFETTAMENTE LA FRASE DI WANNA MARCHI....NOTA IMBONITRICE DELLE TELEVENDITE FINITA COME SAPPIAMO......"IL MONDO E' PIENO DI QUAGLIE"!!!!!! E CON QUESTO HO DETTO TUTTO
Un esperienza terribile...ovviamente conosco bene il cinema di Terrence Malick e quindi non e' che sia sorpreso, ma qui si e' superato trasformando un film in un qualcosa di indefinibile e sinceramente di inguardabile. Sono arrivato alla fine con un senso di disgusto per tutta l'inutilita' che ho visto in quasi 125 minuti di cose nonsense. Lo sconsiglio a tutti pure agli amanti dei primi film di Konchalovsky.
MI inserisco nel mezzo rispetto ai commenti precedenti. Diciamo che è un film tecnicamente valido,come tutti i film di Malick,con ottimi attori e una buona regia.Per riuscire ad apprezzarlo pienamente deve però piacervi lo stile di questo regista,dilatato,lento e introspettivo.
Film ambiziosoe e alienato, concettualmente intricante, esistenziale... tutto quello che volete.. ma troppo, troppo lento e faticoso da seguire fino alla fine... due ore che sembrano tre..... sono uscito col mal di testa......non riesco a dare la sufficienza.
Song to Song, una delle opere più belle degli ultimi anni al cinema, elogio del vivere, del voler vivere, qualunque esperienza meglio di nessuna esperienza. È un circo inferno di dubbi e auto-manipolazioni della mente segregata fuor dall'anima, del come voler vivere liberi un'idea di libertà, del sesso, mezzo di degrado lirico per s\familiarizzarsi dalla prigione natale, e sesso, dicevo, poetrificato da Malick a forza di rintocchi di mani dietro le vetrate e pance accarezzate e schiene e colli svelati dietro capelli multicolori e lenzuola e capezzoli accennati e questo capolavoro è tutto un vivere di ammucchiata poetica, di canzone in canzone, di treccia in intreccio e tacchi e di neon umidi e pantaloni slacciati, e poi c'è la piscina, a pelo d'erba, e loro due, la scimmia malvagia posseduta da un dolore sordo e irragionevole di dollari e lacrime, e l'altro, e davanti un palcoscenico acqueo, quello del tutto in vendita, del tutto in caduta libera, del tutto, del dammi e avrai, dell'orgiastico capitalismo genitale dello spettacolo. E invece ami il dolore, tu, meraviglia errante senza pace, perché ti fa sentire viva, e allora sì, è strano sapere fino a cosa riesci ad abituarti, velocemente, che è la chiave dei passaggi di coppia, velocemente chiavi e velocemente mostri case chiavi in mano, scomparsa e comparsa e passeggera veloce, sintassi di funerali, le urla contorte dai parcheggi, la sintesi di pogarsi l'anima addosso in ogni rappresaglia del corpo (la scena iniziale, una magia polverosa di polpacci), e una meravigliosa Patti, santa guerrigliera dal cuore sdentato, e Iggy, capolavoro umano di nervi rock, e poi divani e letti sfatti e cuscinate e sorrisi e fiori strappati e Chiese e Texas, e la morte, quella dell'approssimarsi, la più venduta, la più temuta, quella di un genitore, il lungo perdono in prova che ha il suono muto dell'addio e del - ehi, è tutto diverso da come ce lo aspettavamo - e poi miracoli sull'intonaco e nell'erba, solletico, nocche che accarezzano porte, lacrime scendere sulle finestre, e redenzione, e qui Malick rallenta, sommo, l'ho capito meglio alla seconda missione cinematografica, giunto ad Ovest capovolge il nastro, ci ricorda che la fine è scritta nel principio, ci rammenta la violenza della poesia quando ti apre gli occhi, la necessità del tornare indietro (il Kaspar Hauser e tutto il resto di Herzog, Synecdoche NY di Kaufman e ancora Ratatouille della Pixar), e quindi rallenta Terry, nelle mani che si sporcano primordiali e sui pozzi e nel fango e accanto a torri che si stagliano nel cielo accecandoci di bellezza come bagliori metallurgici e poi, travalicando ogni oltre d'immagine - l'erba (autocitandosi), un inizio, un nuovo inizio sul finire del giorno al tramonto, sul finire dell'impero del male ecco il nuovo mondo: tornano le cose semplici e il film rallenta ancora, perché lei dice, finalmente - "più lenta - è una storia d'amore". E allora lo abbiamo capito lì Terrence, quel punto fermo, quel tornare a piedi, o a remi, sul fiume, senza più cadaveri al neon di nemici che abbiamo semplicemente dimenticato, quel calmarsi del realizzare e della misericordia e del suo averne bisogno, quel tornare al ritornare e al ricominciare daccapo, come un bambino, e del perdono di se stessi quando non fa più paura perdonarsi, con la lentezza dell'amore, perché se gli innamoramenti riempiono i posacenere del mondo, l'amore conosce il perdono, il nonostante tutto, il nonostante te, il nonostante me.