BV (Ryan Gosling) è un musicista che cerca il successo con l'aiuto della compagna (Rooney Mara) e del suo produttore Cook (Michael Fassbender). Tra i tre si stabilisce un legame che va oltre il semplice rapporto professionale e che coinvolge presto anche la giovane cameriera Rhonda (Natalie Portman). Nasce così una relazione intima e passionale in continuo bilico tra amore e tradimento.
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Song to Song, una delle opere più belle degli ultimi anni al cinema, elogio del vivere, del voler vivere, qualunque esperienza meglio di nessuna esperienza. È un circo inferno di dubbi e auto-manipolazioni della mente segregata fuor dall'anima, del come voler vivere liberi un'idea di libertà, del sesso, mezzo di degrado lirico per s\familiarizzarsi dalla prigione natale, e sesso, dicevo, poetrificato da Malick a forza di rintocchi di mani dietro le vetrate e pance accarezzate e schiene e colli svelati dietro capelli multicolori e lenzuola e capezzoli accennati e questo capolavoro è tutto un vivere di ammucchiata poetica, di canzone in canzone, di treccia in intreccio e tacchi e di neon umidi e pantaloni slacciati, e poi c'è la piscina, a pelo d'erba, e loro due, la scimmia malvagia posseduta da un dolore sordo e irragionevole di dollari e lacrime, e l'altro, e davanti un palcoscenico acqueo, quello del tutto in vendita, del tutto in caduta libera, del tutto, del dammi e avrai, dell'orgiastico capitalismo genitale dello spettacolo. E invece ami il dolore, tu, meraviglia errante senza pace, perché ti fa sentire viva, e allora sì, è strano sapere fino a cosa riesci ad abituarti, velocemente, che è la chiave dei passaggi di coppia, velocemente chiavi e velocemente mostri case chiavi in mano, scomparsa e comparsa e passeggera veloce, sintassi di funerali, le urla contorte dai parcheggi, la sintesi di pogarsi l'anima addosso in ogni rappresaglia del corpo (la scena iniziale, una magia polverosa di polpacci), e una meravigliosa Patti, santa guerrigliera dal cuore sdentato, e Iggy, capolavoro umano di nervi rock, e poi divani e letti sfatti e cuscinate e sorrisi e fiori strappati e Chiese e Texas, e la morte, quella dell'approssimarsi, la più venduta, la più temuta, quella di un genitore, il lungo perdono in prova che ha il suono muto dell'addio e del - ehi, è tutto diverso da come ce lo aspettavamo - e poi miracoli sull'intonaco e nell'erba, solletico, nocche che accarezzano porte, lacrime scendere sulle finestre, e redenzione, e qui Malick rallenta, sommo, l'ho capito meglio alla seconda missione cinematografica, giunto ad Ovest capovolge il nastro, ci ricorda che la fine è scritta nel principio, ci rammenta la violenza della poesia quando ti apre gli occhi, la necessità del tornare indietro (il Kaspar Hauser e tutto il resto di Herzog, Synecdoche NY di Kaufman e ancora Ratatouille della Pixar), e quindi rallenta Terry, nelle mani che si sporcano primordiali e sui pozzi e nel fango e accanto a torri che si stagliano nel cielo accecandoci di bellezza come bagliori metallurgici e poi, travalicando ogni oltre d'immagine - l'erba (autocitandosi), un inizio, un nuovo inizio sul finire del giorno al tramonto, sul finire dell'impero del male ecco il nuovo mondo: tornano le cose semplici e il film rallenta ancora, perché lei dice, finalmente - "più lenta - è una storia d'amore". E allora lo abbiamo capito lì Terrence, quel punto fermo, quel tornare a piedi, o a remi, sul fiume, senza più cadaveri al neon di nemici che abbiamo semplicemente dimenticato, quel calmarsi del realizzare e della misericordia e del suo averne bisogno, quel tornare al ritornare e al ricominciare daccapo, come un bambino, e del perdono di se stessi quando non fa più paura perdonarsi, con la lentezza dell'amore, perché se gli innamoramenti riempiono i posacenere del mondo, l'amore conosce il perdono, il nonostante tutto, il nonostante te, il nonostante me.