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Un incessante turpiloquio interiore contro sé stesso, gli altri, la Francia, la vita, tutto. Avevo detto per Noè, a proposito di Enter the void, che un capolavoro in carriera era quotato basso, non sapendo che il capolavoro l'aveva già fatto: eccolo qui, Seul contre tous. Un film maledetto e sconveniente, osteggiato da tantissimi problemi di produzione ma, come il nostro macellaio senza nome, capace di sopravvivere alle intemperie di un mondo esterno che vorrebbe continuare a dirci che tutto è rosa e felice. Philippe Nahon, costretto a lavorare in condizioni di scarsità di mezzi, tira fuori un'interpretazione intensa e rabbiosa, in un ruolo, per giunta, che avrebbe fatto impazzire chiunque. Negli ultimi 20 minuti un avvertimento: ATTENZIONE, AVETE 30 SECONDI PER STACCARE LA PROIEZIONE DEL FILM. Probabilmente avrebbero dovuto avvisarmi di stare per vedere tra i minuti più intensi e pazzeschi del cinema moderno: il monologo si fa sempre più incalzante e delirante, fino a raggiungere le forme del flusso di coscienza; prende forma la morale del macellaio, a danno dell'etica comune che viene violentata. L'abbraccio con il Canone in re maggiore di Pachelbel è di una poesia e potenza che alla maggior parte degli autori viventi sarà sconosciuta per sempre. Noè messia.
Quasi ogni immagine, ogni frase è come uno schiaffo. Incapace persino di sorridere ormai, Seul detesta tutto e tutti. Ne ha passate troppe. Pochi i dialoghi, molti i pensieri e le riflessioni tutte pessimistiche, cattive. Seul non ha più sogni, speranze o affetti, ma deve pur vivere. "Le persone sono come animali. Gli vogliamo bene, li sotterriamo ed è finita. E' la prima voltas che me ne rendo conto". Questa è la sua visione della vita e della morte. "Se dovrò essere cattivo per sopravvivere lo sarò. Un vero figlio di put... Ne sono capace". "Vivere è un atto egoista. Sopravvivere è una legge genetica".
"...Però i ricchi non vengono mai arrestati. Uno su due ogni 10 anni al massimo. Il carcere è per i poveri e le leggi per i ricchi. I poveri non possono rubare ma solo farsi rubare. E sono i borghesi come questo che si possono prendere i nostri soldi, la nostra dignità e felicità in assoluta legalità". Come smentire questa riflessione? Questa è filosofia e questa è la verità da quando esiste l'uomo.
Film amarissimo, nudo e crudo. Scene da brividi nel cuore. Il finale: una diga che salta in aria. Non rimane che vederlo.
"... alla fine i vecchi lo sanno bene. Una piccola vita, piccoli risparmi, piccola pensione e poi... piccola tomba. E tutto questo non serve a niente, proprio a niente. Anche avere figli. Quando i genitori non hanno niente da dargli li mettono in un istituto affinché crepino soli ed in silenzio. Però ai figli non gliene importa un corno. L'amore di un figlio è un mito. Tua madre la ami fin quando ti allatta. E tuo padre fin quando ti dà i soldi. Ma quando i seni della madre sono secchi, quando le tasche del padre sono vuote, l'ultima cosa che resta è metterli in un armadio sperando che muoiano subito e a poco costo. Così vanno le cose. E' la legge della vita. Solo quando c'è l'eredità i figli simulano di essere amabili. Ma quando l'unica eredità è una gelatiera o una televisione non vale neppure la pena di simulare...".
"Nasciamo soli, viviamo soli, moriamo soli. Soli. Sempre soli. Ed anche quando scopiamo siamo soli. Soli con la nostra vita, la nostra carne. E' come un tunnel impossibile da condividere. E quanto più invecchiamo più siamo soli, di fronte al ricordo di una notte che si distrugge lentamente. La vita è come un tunnel ed ognuno ha il suo piccolo tunnel. Però alla fine del tunnel non c'è neanche una luce. Anche i ricordi se ne vanno alla fine. I vecchi lo sanno bene... una piccola vita, piccoli risparmi, una piccola pensione. E poi una piccola tomba. E tutto questo non serve a niente."
Micidiale. Immenso. Questi sono i primi aggettivi che mi vengono a mente per questo incredibile lungometraggio di esordio di Gaspar Noè. Un viaggio sconvolgente ma decisamente emozionante che ci mette faccia a faccia con la solitudine più profonda, con la totale mancanza di speranza, nel buio totale. E' la storia di un uomo che ha perso tutto: famiglia, lavoro, soldi, dignità. Ha perso. Punto. E' uno sconfitto. La vita lo ha annientato... e così lo vediamo sprofondare nella depressione più cupa, coltivando una rabbia gigantesca nei confronti del mondo, dell'altro, della Vita. Non c'è più luce, non la vede. Non c'è più bellezza, soltanto lo schifo di fronte ai suoi occhi. L'odio.
Però non parla quasi mai, raramente agisce. Il film va avanti soltanto attraverso i suoi pensieri. E' tutto un continuo monologo interiore in voice-over, di una intensità allucinante. Siamo intrappolati nella sua mente, a sua volta intrappolata in un vortice di disperazione. Tutto è narrato in soggettiva, attraverso il flusso di coscienza di un perdente, che non vive più, sopravvive, fantasticando sulla fine. Immaginando una vendetta nei confronti di tutto e tutti. Ma è una vendetta soltanto immaginata. Gli occhi dello straordinario Philippe Nahon (qui in una delle interpretazioni più importanti della sua carriera) sono sempre sbarrati, pieni di ira, mentre cammina da una umiliazione all'altra... ma le labbra sono serrate e ciò che sentiamo, per quasi tutta la durata del film, è soltanto il suo continuo rimuginare. I pensieri si sommano, si moltiplicano, non gli danno pace. La mente del macellaio vomita sentenze di condanna sulla vita, sull'amore, il sesso, l'amicizia, la società, la borghesia, il sistema, il nascere e il morire. Non risparmia nessuno in un crescendo continuo di rabbia.
"No, di scopare non ne vale la pena. Costa caro. Però aiuta a passare il tempo. E quando ti passa la voglia di scopare non ti resta niente da fare al mondo. E che in realtà non c'è altro in questa fottuta vita. Nient'altro che un programma di riproduzione a tua insaputa, che uno si sente obbligato a rispettare. Nascere malgrado se stessi. Mangiare. Portare il ***** in giro. Dare vita. E morire. La vita è un grande vuoto. Lo è sempre stato. Sempre lo sarà. Un grande vuoto che può continuare perfettamente senza di me."
E' un film che ci mostra l'essenza della vita, facendoci vedere il lato più oscuro di questa. Quando vivere diventa un peso, una condanna. Quando essere nati significa essere stati intrappolati. Quando soltanto la morte sembra una liberazione. In alcuni frangenti sembra di vedere il Travis Bickle di Taxi Driver (e la sequenza nel cinema a luci rosse ne è un chiaro rimando), ma qui è tutto più estremo, forse più reale. Siamo ad uno stadio di solitudine ancora più basso. Stavolta la via di uscita è ancora più stretta. Impossibile da attraversare. Una volta uno psichiatra che stimo moltissimo mi disse: <> ecco, qui, in "Seul contre tous", non è possibile nemmeno quello. In quel tunnel siamo costretti a morirci, o forse a viverci per sempre, che probabilmente è anche peggio.
Il nostro macellaio, di cui non sapremo mai il nome, è uno dei più belli esempi di Antieroe che mi sia mai capitato di vedere sullo schermo. Malvagio, crudele. Razzista. Fragile. L'uomo all'apice della sua debolezza, della sua essenza. Un film, questo "Seul contre tous" fatto di nichilismo estremo. Violenza. Cattiveria. Un film amorale. Crudo. Spietato. Bellissimo. Fino al finale...
Dopo la sequenza finale, non è più un film bellissimo, ma qualcosa di molto vicino ad un capolavoro. Sui generis, certo, controverso, coraggioso, ma davvero grandioso. Quando il brutto, l'orrido riesce a trasformarsi in un qualcosa di poetico.
Ti aspetti un massacro ed invece arriva la poesia. Senza false consolazioni, però... La vendetta non c'è, la vita non finisce. Non c'è la morte, c'è l'amore... durerà poco perché la condanna è già scritta, ma chi se ne frega!
Poco da dire sulla regia, perfetta per il contesto, ben lontana dal virtuosismo che caratterizzerà il più recente "Enter the void", ma alcune trovate sono fantastiche. Come quell'invito finale a lasciare la sala... "Attenzione: avete 30 secondi per abbandonare la proiezione del film" Dobbiamo resistere, perché quel che ci aspetta, fidatevi, è uno degli epiloghi più emozionanti che vi sarà mai capitato di vedere.
Appena visto. Questo mondo fa schifo ma tutti dovrebbero almeno avere un briciolo d'amore su questa terra. Tutti, anche il nostro macellaio. Piccolo capolavoro francese, amorale, nichilista, specchio della società odierna. Grande cinema.
Cosa sono i conati di vomito che provoca il "Salò" di Pasolini, rispetto al malessere tetragono che emana questo film? Fin da subito un ritmo narrativo marziale ci proietta nella psicologia del protagonista. Senza tante metafore destinate agli amanti del "qui l'autore vuole dire che…", Gaspar Noé presenta una soggettiva micidiale, la contestualizza, la rende esplicita, feroce, empatica, inaccettabile ma credibile. Sul piano formale vengono rispettate le tecniche oggettive alla base del rapporto biunivoco tra arte e comunicazione e questo, signori, non è poco. Si viene letteralmente rapiti dallo stilo narrativo in prima persona, dove il giudizio nichilista è il filo conduttore. Eppure, se con "Arancia meccanica" e "Salò o le 120 giornate di Sodoma" si resta ingabbiati in pretestuose tesi universali sulla violenza e sul potere, qui la prospettiva è capovolta e se anche la ferocia di certe immagini tiene testa a quella delle opere citate, è pur sempre e solo la storia di un uomo, tuttavia raccontata con una introspezione eccezionale, fonte di conflitti di coscienza inaspettati e commoventi, che le sceneggiature fredde e meccanicistiche di Kubrick e Pasolini non potevano offrire. Alla ineluttabilità masochistica di "Salò" si contrappone l'autoconservazione di un uomo, contro quel potere che Pasolini vedeva come sopraffazione della natura e negazione della Storia e che invece ne è parte integrante, in un rapporto di simbiosi inevitabile. Ad essere anarchica, semmai, è la stessa natura umana che crede di poter fare a meno del suo Creatore. Eccone un fulgido esempio: quest'uomo arriva ad odiare la stessa esistenza, ne rifiuta la logica e il potere di costrizione ma, al tempo stesso, oppone una reazione uguale e contraria, come in preda a un delirio di onnipotenza originato da quel complesso d'inferiorità comune a chi, eliminando Dio e riconosciutosi quindi un insignificante ammasso di cellule, delle leggi civili e morali non può cogliere il senso se non quello di violarle per sostituirle con il proprio pene-pistola. Solo così troverà un senso apparente. E' un film estremamente crudo, ma ricco di spunti di riflessione che spaziano dalla psicanalisi alla filosofia morale, su cui si potrebbero aprire interessanti discussioni. Niente violenza gratuita alla Tarantino, quindi. La forza espressiva del racconto, già possente di suo, viene elevata all'ennesima potenza dalla fisionomia di un protagonista che certo non si potrà dimenticare. Una faccia da psicotico come questa metterebbe i brividi anche dallo schermo di un cellulare.
Un film durissimo, cattivo ed amorale (qualcuno potrebbe dire immorale ma dimostrerebbe di non aver capito un bel nulla) che tramite "le boucher", il macellaio 50enne (di cui non sapremo mai il nome), uomo di poche parole ma dai fittissimi pensieri (il monologo interiore è una costante che calamita l'attenzione ), si scaglia con rabbia contro una società sorda e creatrice di mostri... Uscito dal carcere, il macellaio (già protagonista del mediometraggio "Carne" che però non sono riuscito a reperire da nessuna parte) senza soldi e senza lavoro trova lavoro in un bar ed inizia una relazione con la proprietaria, va a convivere con lei e la di lei madre, lui vorrebbe aprire una nuova macelleria
con l'aiuto della donna ma lei rimane incinta e la situazione prende una piega inattesa. Trova lavoro solo come guardiano notturno in un ospizio. L'assistere alla morte di un' anziana degente nello squallido letto della struttura non farà che rafforzare le sue convinzioni :
"La morte non apre alcuna porta, alla fine non è questa gran cosa. Tutti se ne fanno una grande idea e quando la vediamo da vicino non è niente: Un corpo senza vita e niente di più. Le persone sono come gli animali : Gli vogliamo bene, li sotterriamo ed è finita. E' la prima volta che me ne rendo conto." In ogni istante del film gli eventi raccontati passano attraverso l'atroce filtro del punto di vista del protagonista.
La mattina dopo, l'accompagnare a casa la giovane infermiera dell'ospizio, traumatizzata dall'improvvisa morte dell'anziana causerà le gelosie della compagna del macellaio, il quale in preda a frustrazione e rabbia la farà abortire a pugni e calci...
Messo di fronte all'inevitabile e non voluta scelta di dover passare il resto della vita con -come lui le definisce- le "due miserabili handicappate" lui si decide per una libertà folle e senza compromessi... Nei primi 10 minuti del film c'è il preambolo con le definizioni di "Morale" e "Giustizia" del regista, poi un rapido riassunto della vita del protagonista fino a quel momento... La carica esplosiva di un personaggio più unico che raro interpretato dal gigantesco Philippe Nahon, un vero antieroe, razzista, omofobo, violento che non accetta l'incoerenza, i modi aggarbati e la falsità di una nazione che sta marciando verso lo sfascio, rende questo film un atto d'accusa. - "Tutto è una lotteria. Tutto si decide quando nasci: O nasci povero come la maggioranza e sopporti il potere degli altri e rispetti gli ordini e ti umili finché non diventi violento. O nasci ricco e stai attento ai tuoi soldi Fai come gli altri. Fai finta di amare tua moglie… i tuoi figli, gli amici, come loro fanno finta di amare te. Ma il giorno che la tua vita o la tua casa prendono fuoco…che i tuoi sogni da borghese s'infrangono, non ti resta niente. I tuoi fratelli, i tuoi cosiddetti amici si uniranno per schiacciarti, in silenzio. Giusto per 'darti una mano'. È ciò di cui hanno bisogno per sentirsi meglio" - Distruttivo fino alla fine, Gaspar Noè, riesce a rendere anche l'atto d'amore finale l'ennesimo rigurgito sulla borghesia, su coloro che non capiranno. "Alla fine, amore è una parola troppo grande, pochi possono presumere di averlo conosciuto".
" Il mondo è cattivo" diceva Justine in Melancholia. " Il mondo è cattivo" ripete ossessivamente Seul. Il mondo è cattivo, siamo tutti soli, non esiste l'amore, non esiste l'amicizia, non esistono gli affetti familiari, gli uomini e le donne sono solo involucri che portano in giro i propri organi genitali. Odia tutto Seul. Odia gli uomini, odia il potere, odia le religioni, odia le razze, Seul contre tous, già. Il rapporto con le madri termina con la fine dell'allattamento, quello coi padri è basato solo sul denaro, inizia con i primi soldi prestati e termina con l'eredità. Gli uomini sono tutti froci pronti a prenderlo e metterlo in quel posto. Gli uomini sono tutti opportunisti, menefreghisti e porci. Gli uomini sono tutti tremendamente soli. Il mondo è cattivo e siccome non c'è un pianeta che verrà a schiantarsi su di noi per salvarci tutti Seul decide di pensarci da solo. Il mondo è cattivo e Seul non fa che adeguarvisi. Noè racconta un uomo senza più ideali, senza più morali, senza più sogni. E l'umanità nella quale si muove è anch'essa derelitta, una malata terminale in attesa di quella morte che tanto, alla fine, "non è niente di che", soltanto un corpo ormai freddo e inutile. " Tutto è nero" rantola la vecchietta prima di morire. Già, tutto è nero, la vita non è altro che un lungo tunnel di angoscia e infelicità alla fine del quale non si intravede nessuna luce. E così, novello Hobo with a gun, Seul ha deciso che è l'ora di cominciare a chiudere qualche conto, l'ora di vendicarsi, l'ora di dare un senso, per quanto abietto, alla propria esistenza.
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Seul va a trovare sua figlia, quella figlia indesiderata che la società gli ha strappato di dosso una ventina di anni prima. La prende e la porta nell'alberghetto di quart'ordine dove fu concepita. Decide di ucciderla, tanto per lei la morte sarebbe soltanto una liberazione. Prima ci va a letto, poi, PUM, le spara alla gola. Mentre la figlia rantola a terra, mentre la figlia sta crepando in un modo insopportabile, mentre quelle immagini mi scorrono davanti, io penso. Penso che Seul contre tous sia un film ignobile, senza una minima etica. Che senso ha infatti ammorbarci per più di un'ora (quasi annoiando) con discorsi sempre uguali, pensieri reiterati, per poi arrivare a un punto così scontato e disgustoso? Non si poteva fare allora un cortometraggio? Perchè concludere questo trattato di nichilismo con un omicidio tanto efferato? Poi quel fine, quel senso che in quell' interminabile minuto in cui la figlia si contorceva a terra non trovavo incredibilmente arriva. E non è un senso soltanto prettamente cinematografico (tutto quello che lo precede rende questo momento straordinario e inaspettato). E' il senso nel suo significato più alto, il Senso della vita. Quell'abbraccio sulle note di una delle più belle melodie concepite dall'uomo è qualcosa di incredibile. Seul non è Hobo. Seul è una specie di Zeno Cosini. Quell'ultima sigaretta più volte dichiarata non arriverà mai, anzi, Seul respirerà a pieni polmoni il fumo della vita. Tutti i suoi propositi d'incanto non esistono più. Non esistono più perchè tutte quelle parole vuote che Seul detestava, parole come l'amore, la felicità, la voglia di vivere, d'improvviso si materializzano davanti ai suoi occhi. Noè va ancora oltre. E' così potente e nuovo l'amore scoperto da Seul che non conteranno più le convenzioni e le leggi dell'uomo, non ci sarà più un'etica e una morale universalmente riconosciuta. Sua figlia diventerà la sua donna perchè solo lui potrà amarla in un modo così grande. Ma io preferisco tornare a quell'abbraccio, forse la conclusione più degna. Gaspar, non è vero come scrivi alla fine che ogni uomo ha una morale. La verità è un'altra. Ogni uomo ha un cuore. E c'è soltanto una cosa più bella di sapere di possederlo. Riscoprirlo.
Filmone da guardare assolutamente in coppia con CARNE, il cortometraggio realizzato precedentemente e che mostra l'inizio della disturbante vicenda del macellaio interpretato da uno straordinario Philippe Nahon. SEUL CONTRE TOUS è l'evoluzione di una rabbia covata interiormente che porterà il protagonista ad un comportamento distruttivo e autodistruttivo "irreversibile", il tutto in una nazione, quella Francia più sporca e malsana, tra hotel e prostitute, dove razzismo e violenze represse emergono dominando lo scenario, e inghiottendo il protagonista nella sua spirale di follia. Il film più profondo, politico e (per certe trovate innovative) geniale di Gaspar Noè. Il suo Capolavoro!