Le storie di due delinquenti, un pugile e una coppia di rapinatori di tavole calde si intrecciano in quattro storie di umorismo e violenza nel tempo stesso.
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Premetto che è il primo film di Tarantino che vedo. Quello che mi ha colpito è la maniera insolita con cui tratta il tema della violenza. Non c’è una vera e proprio storia. Non c’è successione temporale rigida. Non importa il contesto sociale in cui si svolge la storia. Il mondo esterno fa da semplice comparsa alle avventure dei personaggi ed è presente solo nelle loro paure (essere scoperti, cancellare le tracce). Anche i personaggi non hanno storia. Perché fanno quel lavoro? Hanno una famiglia? Che infanzia hanno avuto? Ma forse non importa; devono essere solo degli interpreti della storia e basta, non sono personaggi reali in carne, ossa e sentimenti. Solo per il pugile viene raccontata l’assurda storia dell’orologio, che spiega il desiderio di trasmettere e vivere il valore guerresco degli avi. Tutti i personaggi sono molto simili e formano una categoria speciale. Hanno in testa solo il guadagno facile, il lusso, la sopraffazione e si comportano alla stessa maniera, legati da uno strano codice di ‘onore’. Si esprimono con tantissime parole; qualsiasi cosa debba essere detta o fatta viene espressa da ampi discorsi e spesso si parla di cose banalissime, quasi mai direttamente di se stessi o della propria personalità. Sono discorsi pieni di arguzia e di espressioni colorite entrate ormai nel gergo comune. Io non ci trovo niente di eccezionale. E’ un modo come un altro di esprimersi. Di arguzie è piena la letteratura e le commedie. Nel contesto del film serve a dimostrare come i personaggi si vogliano sentire importanti anche in quello che dicono oltre a quello che fanno o magari i loro dialoghi devono essere semplicemente assurdi e in contrasto umoristico con l’azione, ma in fondo non hanno niente di essenziale da dire. Anche la fede e la religione è ridotta a parole, a versetti di cui non si sa bene cosa possano significare ma che si pronunciano tanto per fare effetto sulle vittime. Forse c’è un barlume di pentimento in un personaggio, ma non si sa fino a che punto sia una cosa seria. Un film senza la storia, senza il tempo, con personaggi-figurine, cosa vuole esprimere? Non è una critica alla società, perché la società non appare mai. Non è secondo me neanche una critica alla violenza in sé, che anzi è trattata come una cosa naturale, una presenza fisica come la luce o la notte, senza alcun risvolto morale o conflitto con qualche cosa di opposto. Non è nemmeno una esaltazione. Forse il film non ha significato, perché si è voluto magari creare un’opera di pura arte: un montaggio di scene e storie con metodi insoliti che divertano lo spettatore per quasi tre ore senza usare effetti speciali o forti emozioni, senza tanti altri significati. Non voglio esagerare o essere provocatorio, ma mi è sembrato quasi di assistere per assurdo ad una specie di videogioco o ad un gioco di ruolo molto parlato; e non c’è niente di male visto che sono passatempi diffusissimi e che piacciono. C’è la stessa banalità e non-chalance nell’uccidere le persone. A me però questo film non ha convinto del tutto. Non ci ho trovato grandi cose. Iniziare un genere non è sufficiente per essere un bel film o un capolavoro con un messaggio universale. Una operazione stilistica molto simile l’ha fatta in Europa Pedro Almodovar. I suoi film sono originali e molto belli, non sono però capolavori da top 25 di tutti i tempi, come questo film del resto. Una sola cosa mi è piaciuta molto: l’interpretazione di Uma Thurman. Lei è l’unica che è riuscita a dare umanità e verità al suo personaggio. Un buon film niente di più.