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Suzuki è un regista ingannevole perchè come ne La farfalla nel mirino anche Pistol Opera in fondo prende come una base una storia abbastanza basica che parla di yakuza e sicari in lotta fra di loro per primeggiare in questa classifica dei migliori killer a pagamento. Storia che viene destrutturata attraverso numerosi ellissi e passaggi fra allucinazioni e realtà. E' più un'esperienza sensoriale, un film da vivere che conferma il talento di un regista a mio parere non considerato come meriterebbe.
Il fascino di questo film di ascendenza godardiana (di fruibilità non facile) sta quasi tutto nella sua anarchia semantica. Reinventare il cinema, immaginare, anche se in modo decostruttivista e quasi astratto, altre sue possibilità, non è impresa da tutti (specialmente non da un regista in là con gli anni). La trama è futile e pressoché priva di importanza. Occorre lasciarsi avvincere dalle idee di messa in scena. Se limite ho avvertito, è nel ritmo: una insistita ieraticità non aiuta e i cambi di ritmo sono forse troppo "calcolati" per accompagnare lo spettatore.
"Pistol opera" è un'allegoria dell'esistenza come costrizione alla lotta all'eliminazione dell'altro, avversario per la sopravvivenza entro una gerarchia. In questa visione c'è anche una morale. Profondamente giapponese, profondamente orientale. La libertà è possibile attraverso la morte. Il finale se non proprio il raggiungimento del nirvana sicuramente ricorda molto l'uscita dall'eterno ciclo di morte e rinascita. Vedi spoiler.
La protagonista afferma con la morte la sua unicità. Rivendica il diritto di avere se stessa: "non toccare! non guardare!". Suicidio. Scritta finale a tutto schermo: IL CADAVERE APPARTIENE A ME. E di fronte a questa scelta, l'avversario rimane fregato. (E, secondariamente, l'avversario in effetti, come aveva predetto, essendo già stato n. 1 non potrà tornare ad esserlo. Infatti il suicidio della protagonista gli preclude la possibilità di essere stato lui a eliminarla).
Mi accosto al commento che mi precede. Questo film rappresenta l'incomprensibilità. Esattamente dopo 30 minuti, lo spettatore ancora curioso della messa in scena stilistica, sebbene ancora voglioso di saziare la sua brama di capire, interpreta e cerca svariati modi di lettura, dando vita come detto all'incomprensibilità quasi totale. Insomma, bastano 30 minuti di scene statiche che sembrano dire molto, ma faticano oltre a trasmettere un messaggio, ad invogliare a proseguire attentamente. La sola storia di certo non è il perno di questo film.
Chissà forse il vecchio, e probabilmente saggio regista giapponese vede cose che noi non possiamo nemmeno immaginare.
Giuro che l'ho guardato con tutte le buone intenzioni del mondo, ma gia' dopo 30 minuti non ce l'ho + fatta ! Sono andato avanti a vederlo fino alla fine perchè non mi piace lasciare le cose a meta' ,pero' ho sbadigliato in + di un occasione e ho dovuto fare + pause per non addormentarmi ! Tecnicamente è davvero un bel film, avra' pure classe, stile e tutto quello che vi pare ma per me è solo un film pretenzioso e incomprensibile,un mero esercizio di stile x chi vuole atteggiarsi da intellettuale.
SuzuKi raffina quanto pareva non essere perfettibile con "La farfalla Sul Mirino". Film di una classe unica che vive di un surrealismo mai sopra le righe. Colorato, inappuntabile la scenografia, davvero Suzuki è rimasto a decantare per più di 30 anni. Clap Clap.
Un inno alla creatività e alla possibilità di essere oltre l'impensabile. Incompreso da mezza critica eppure così scoppiettante e suggestivo da lasciare intimiditi. Un capolavoro firmato dal grandissimo Seijun Suzuki. Impensabile. Da vedere.