partitura incompiuta per pianola meccanica regia di Nikita Mikhalkov URSS 1966
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partitura incompiuta per pianola meccanica (1966)

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locandina del film PARTITURA INCOMPIUTA PER PIANOLA MECCANICA

Titolo Originale: NEOKONCHENNAYA PYESA DLYA MEKHANICHESKOGO PIANINO

RegiaNikita Mikhalkov

InterpretiAlexandr Kaljagin, Elena Solovej, Evgenja Glusenko, Nikita Mikhalkov

Durata: h 1.46
NazionalitàURSS 1966
Generedrammatico
Al cinema nel Marzo 1966

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Trama del film Partitura incompiuta per pianola meccanica

Platonov è il maestro di un villaggio che, invitato nella casa di campagna della vedova di un generale, vi incontra il grande amore della sua gioventù. Costei però é sposata, ed anche Platonov si è ammogliato con un'altra. Il tentativo di far rivivere il passato è destinato a naufragare miseramente.

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Voto Visitatori:   7,25 / 10 (6 voti)7,25Grafico
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Voti e commenti su Partitura incompiuta per pianola meccanica, 6 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  26/08/2021 17:51:09
   6 / 10
Un film poco digeribile dove è facile perdersi in centinaia di discussioni frivole soprattutto nella prima parte.
Il personaggio principale emerge troppo tardi, mentre gia' dormivo...
La seconda parte quindi è piu' armoniosa, esce fuori qualche misterioso legame e un po' di sentimenti.
Pesante

kafka62  @  18/02/2018 16:43:21
   8½ / 10
Chi è Michail Vasilevic Platonov, il protagonista dell'omonimo e poco conosciuto dramma di Anton Cechov, scritto nel 1880 quando l'autore non aveva ancora vent'anni? Platonov altri non è se non il primo grande fallito del teatro cechoviano, il diretto discendente di una genia di anti-eroi che ha in Oneghin e in Pecorin i suoi capostipiti. Come loro, Platonov è un campione di cinismo e di amoralità, un individuo che, pur in possesso di una fervida intelligenza e di un magnetico carisma, tradisce i luminosi ideali giovanili e, non credendo più in nulla, diventa seminatore di corruzione intorno a sé. Come loro, egli ha anche la presunzione di credere di essere migliore degli altri uomini, e questo per il solo motivo di avere lucidamente coscienza della propria condizione, senza peraltro fare alcunché per migliorarla. Ciò che lo contraddistingue è quindi un totale disprezzo verso il prossimo e, poiché negli altri egli vede riflessa come in uno specchio deformante la propria inutilità, anche verso se stesso.
Quello di Platonov è sicuramente un personaggio interessante e poliedrico, ma, di fronte al tentativo di adattare cinematograficamente il dramma di Cechov, Michalkov non deve avere avuto vita semplice. La ponderosa opera giovanile del grande scrittore russo è infatti ben lontana dal prefigurare gli esiti artistici raggiunti nei capolavori della maturità: oltre ad essere soverchiamente lungo, il "Platonov" ha troppi personaggi e quelli secondari sono il più delle volte ridotti a pura caricatura, le entrate ed uscite di scena sono troppo numerose e spesso immotivate, la progressione della vicenda ha una curvatura eccessivamente melodrammatica che fa precipitare il dramma verso un epilogo (la morte del protagonista) ridondante ed enfatico. Michalkov tuttavia è riuscito non solo ad ovviare agli intrinseci limiti dell'opera teatrale, ma a trasformare tali limiti in altrettante potenzialità espressive: "Il mio film – ha spiegato – non è e non vuole essere una pura e semplice riduzione cinematografica del "Platonov" di Cechov. Il fatto anzi che nel testo ci fossero delle debolezze, delle lacune, mi ha permesso di interpretarlo di più, di riempire, di chiosare, di rielaborare, di fare più opera d'autore, insomma…". Michalkov ha mantenuto del canovaccio originale solo il primo atto, quell'interminabile giornata in casa di Anna Petrovna, ove tutto il gran parlare, apparentemente inutile, che si fa è preordinato a caratterizzare psicologicamente i personaggi e ad avvolgerli in un'unica, inconfondibile atmosfera; così come dell'"Oblomov" goncaroviano egli conserverà solo "alcune giornate della vita" del suo eroe, trascurando la parte più sfacciatamente d'appendice. Il regista ha inoltre sfoltito i personaggi (sono scomparsi, perché francamente superflui, la Griekova, il figlio di Glagoliev, i Vengherovic) e di quelli rimasti ha smussato i lati più caricaturali o gratuiti (rendendo ad esempio più credibile e meno volgare il dongiovannismo di Platonov). Michalkov ha, soprattutto, lavorato molto sul versante del realismo, reinventando completamente il mondo della provincia russa di fine Ottocento descritto nel "Platonov", e realizzando alla fin fine un film che è con molta probabilità più cechoviano dell'originale. Con lo stile del Cechov della maturità quello di Michalkov presenta, tra l'altro, non pochi punti in comune: la stessa tendenza a raccontare storie senza un principio e una fine (il film ha difatti un finale aperto), oppure lo stesso procedimento di esplorazione delle psicologie individuali a partire da dati realistici apparentemente banali e insignificanti, i quali evolvono impercettibilmente verso una situazione di insopprimibile angoscia esistenziale. E' per questi motivi che si può parlare di una cechovianità di Michalkov, riaffermata del resto qualche anno dopo in maniera esplicita in un bel film come "Oci ciornie".
In "Partitura incompiuta per pianola meccanica" ritroviamo poi quel tono a metà strada tra il tragico e il grottesco che è la cifra stilistica più moderna di Cechov. Michalkov non vuole rinunciare completamente al melodramma, sottolinea addirittura le scene emotivamente più intense con una romanza di Donizetti, "Una furtiva lacrima", che è un po' il simbolo del patetismo operistico italiano; eppure si avverte sotto la superficie una intenzione sottilmente ironica e divertita, come di chi voglia contrappuntisticamente mostrare, ma senza darlo troppo a vedere, come è buffa l'umanità che si agita seriosamente nel film. Il finale è, in questo senso, un vero capolavoro: Platonov cerca platealmente, melodrammaticamente, di togliersi la vita gettandosi nel fiume, ma nel fiume ci sono solo alcune dita d'acqua e il tentativo si conclude in burla. Il tragico si stempera così nello scherzo, ma dietro al ridicolo continuiamo sempre a scorgere, come per un inscindibile dualismo, il dolore dell'esistenza: le immagini di Platonov maternamente soccorso dalla moglie e di Sergej Pavlovic addormentato sul calesse privo di traino smitizzano con un beffardo sorriso la fastidiosa prosopopea di questi personaggi cechoviani, mettendone in luce il velleitarismo, l'incapacità di finalizzare le proprie risoluzioni e di fuggire dalla propria vita stagnante (se non nel sogno di un metaforico treno in viaggio verso una meta sconosciuta), ma contemporaneamente introducono una nota di struggente malinconia lasciando intendere che tutto rimarrà come prima, in una ricomposizione senza alternative di un equilibrio rotto solo per disgusto e per disprezzo di se stessi.
L'equilibrio tra scherzo e sospiro che caratterizza il film presuppone un atteggiamento di neutralità verso i personaggi, una sospensione di ogni giudizio morale nei loro confronti. Come Cechov considerava gli uomini alla stregua di tanti ammalati verso i quali ogni giudizio andava sospeso perché prima di esprimere un giudizio bisognerebbe essere in grado di indicare loro una via di guarigione, così Michalkov, pur non assolvendoli, guarda ai suoi personaggi con indulgenza e simpatia. Di Platonov, ad esempio, anziché l'intima perversione e l'insolente spregiudicatezza, il regista ha sottolineato la straziante contrapposizione tra ideali e realtà, il rimpianto della giovinezza, l'aspirazione a un'armonia fra se stesso e il mondo paralizzata da una troppo lunga abitudine all'abulia e alla rinuncia. Il sentimento che si intuisce dietro la macchina da presa è la pietà. La lotta che Platonov ingaggia con la vita non ha infatti nulla di romantico o di titanico: di fronte alla sua irresolutezza e alla sua pusillanimità si chiudono progressivamente tutte le porte, e non a caso egli dimostra la sua vigliaccheria davanti a una porta sprangata mentre cerca di sfuggire a Sofia che lo ha messo di fronte alla necessità di una scelta scomoda e impegnativa. Il suo patetico tentativo di suicidio è il logico coronamento di una personalità destinata a naufragare al primo vero impatto con una realtà fino ad allora presuntuosamente affrontata solo nel vuoto delle elucubrazioni intellettuali e filosofiche.
La lucida e insieme dolorosa percezione della impossibilità di una futura palingenesi è forse la vera costante del film. Tutti i personaggi sono gradualmente, impercettibilmente, messi alle corde da una implacabile dinamica di relazioni, eventi e casualità che ne mette a nudo l'anacronistica debolezza, i meschini difetti, la titubanza di fronte a qualsiasi decisione, la tetragona impermeabilità a ogni cambiamento morale. In quest'ottica, la pianola meccanica del film può ben assurgere a simbolo di una classe sociale che non ha più alcuna ragione di esistere, capace com'è soltanto di affogare la noia nel vaniloquio e di perpetuare se stessa all'infinito, proprio come una tastiera che suona da sola una musica imparata a memoria, senza emozioni e senza sentimento. Significativamente, in contrapposizione a questi inutili rappresentanti di un ceto senza futuro, Michalkov ha messo la figura di un giovinetto, la cui vitalità gli adulti cercano di comprimere con divise e pettinature assurdamente rigide, con innaturali pronunce straniere e con comportamenti da piccolo dandy, ma che forse ha ancora dentro di sé la forza di far trionfare la propria infantile purezza ed esuberanza. Indugiando spesso, anche immotivatamente, su di lui e sulle sue innocenti ribellioni, Michalkov sembra vedere nell'efebico bambino l'uomo nuovo, il solo al quale poter affidare quel messaggio di speranza e di rinnovamento che non manca mai nei film del regista.
Se dal punto di vista delle tematiche cechoviane c'è uno scavo, un approfondimento, una rielaborazione personalissima che rende la tragedia di questi nobili di provincia, nonostante il gusto apparentemente retrò, qualcosa di molto vicino alla sensibilità di uno spettatore contemporaneo, dal punto di vista strutturale Michalkov si dimostra ancora più innovatore. Il rapporto esistente tra testo teatrale e film è sottoposto dal regista russo a una dialettica molto rigorosa, che scavalca gli angusti limiti in cui, con pochissime eccezioni, era stato fino ad allora costretto il cinema di derivazione teatrale. Gli stereotipi del teatro filmato, come si sa, prevedono invariabilmente un uso smodato dei campo-controcampo, per cui quando c'è un dialogo tra più personaggi (e ciò avviene, trattandosi di teatro, per la maggior parte del tempo) la cinepresa inquadra, volta per volta, in primo piano o in piano medio, il personaggio che sta parlando, con raccordi estremamente semplici ed elementari tra una inquadratura e la successiva; oppure il ricorso a campi totali che abbracciano l'intero ambiente, con la macchina da presa immobile a registrare passivamente, come lo spettatore in platea, quanto succede sulla scena. Per dare poi al film una caratterizzazione più marcatamente cinematografica, si creano, il più delle volte in maniera arbitraria, due o tre sequenze in esterni, intercalandole a quelle canoniche in interni. Si arriva così a ciò che Noël Burch chiama, con un'espressione tanto sintetica quanto efficace, il "grado zero della scrittura cinematografica", e che a volte risponde ad esigenze di economia e di funzionalità narrativa ma più spesso nasconde una assoluta mancanza di senso del cinema.
Con "Partitura incompiuta per pianola meccanica", Michalkov ha preso nettamente le distanze da un simile modo di fare cinema. Prendiamo ad esempio le tre unità aristoteliche che costituiscono il fondamento del teatro classico. Nei confronti di almeno due di esse, l'unità di tempo e l'unità di spazio, il film si presenta estremamente originale ed inventivo. Ad esempio, analizzando attentamente la struttura narrativa, scopriamo che essa è caratterizzata da tante piccole ellissi: normalmente questo espediente è utilizzato per introdurre i dialoghi tra due personaggi, come nel caso della prima conversazione a quattr'occhi tra Sofia e Platonov, che avviene subito dopo (ma il lasso di tempo trascorso non è esattamente misurabile) aver lasciato il gruppo di amici riunito nel salotto in attesa del pranzo. Si tratta di veri e propri punti di fuga che Michalkov utilizza per alternare le sequenze per così dire conviviali ai momenti di riflessione e di approfondimento delle relazioni interpersonali, e così dare respiro, e soprattutto pathos emozionale, alla vicenda.
Per quanto riguarda l'unità di spazio, il discorso da fare è più lungo, perché in "Partitura incompiuta per pianola meccanica" c'è una nozione dialetticamente complessa dello spazio cinematografico. André Bazin aveva detto: "Si può svuotare l'immagine cinematografica di ogni realtà, salvo quella dello spazio". Michalkov non solo non sacrifica questa importante componente visiva ma reinventa lo spazio chiuso della villa di Anna Petrovna, evitando ogni rapporto di piatta similitudine con il palcoscenico teatrale. Anzitutto, ma è solo la considerazione più immediata e banale, lo spazio del film appare sfruttato in maniera ottimale e polivalente: giardino, atrio, sala da pranzo e terrazza sono tutti ambienti altrettanto importanti per lo sviluppo della storia. Ciò permette una mobilità dell'azione che va ben al di là di quella determinata dalla rigida successione dei cambiamenti di scena teatrali. E' molto più interessante però notare in che modo lo spazio naturale interagisce con lo spazio cinematografico. C'è una scena durante il colloquio tra Platonov e Sofia nel sottoscala, in cui Platonov è inquadrato di spalle mentre parla davanti a uno sfondo buio: solo una luce intermittente ci rivela la presenza della donna nell'oscurità. Qualcosa del genere avviene nel momento in cui è Sofia, allontanatasi dal suo angolo nascosto, a prendere la parola: noi non mettiamo in dubbio, pur senza vederlo, che Platonov sia lì dietro ad ascoltare; invece, a sorpresa, delle voci provenienti dall'esterno rivelano all'improvviso che Platonov è uscito già da tempo dalla scena e che quindi le parole di Sofia sono cadute nel vuoto. Questa percezione "a scoppio ritardato" modifica il senso della sequenza, conferendole un carattere spazialmente ambiguo. Direttamente collegata a questa nozione di ambiguità è la scoperta progressiva dello spazio. Al termine della cena, dopo l'amaro sfogo di Triletskij, c'è una di quelle piccole ellissi di cui si è detto più sopra. La sequenza successiva non è immediatamente localizzabile. Vediamo sullo sfondo, oltre una porta ad arco, Triletskij seduto in silenzio, mentre la parte destra dell'inquadratura è immersa nell'oscurità: quando Anna Petrovna entra da destra con una lampada accesa in mano, la scena, ora interamente illuminata, acquista nuove, insospettate dimensioni e un piccolo movimento della macchina da presa scopre, seduto sulla sinistra, Platonov, del quale sentivamo la voce off, quindi l'intera sala da pranzo dove si è appena finito di consumare la cena. Anche in questo caso, un uso non convenzionale dello spazio, ottenuto per mezzo della fotografia o dei movimenti di macchina, permette di strutturare delle sequenze semanticamente complesse e figurativamente ricercate. Ciò a cui Michalkov tende è un concetto di spazio "allargato", che possa inglobare in maniera naturale anche il fuori-campo, come nella scena in cui Jakov compare improvvisamente alle spalle di Petrov e Anna Petrovna, proprio mentre i due stanno affrontando sull'amaca una imbarazzante conversazione (meno riuscito è l'utilizzo dello spazio dietro la macchina da presa in una scena in cui il servitore, con in mano un lume, entra in campo direttamente "dalla cinepresa").
Un'altra dialettica importante è quella che si instaura tra interni ed esterni, il cui avvicendarsi è parallelo a quello della lunghezza dei campi. Conosciamo fin troppo bene (film come "Oblomov", "Oci ciornie" e "Urga" ce lo hanno dimostrato) come Michalkov abbia una vera predilezione per i campi lunghi: in "Partitura incompiuta" i prati che dalla villa scendono al fiume sono descritti con quel senso tipicamente russo dei grandi spazi, come apertura a dimensioni esistenziali più libere ed autentiche, in contrapposizione alla claustrofobica oppressione degli interni (non a caso, i personaggi sentono spesso l'incontrollabile bisogno di uscire all'aria aperta, magari con il pretesto serale dei fuochi d'artificio). Ma i passaggi da interni ad esterni e viceversa ci interessano in questa sede anche come saggi di preziosismo fotografico. In una splendida sequenza, la macchina da presa dapprima inquadra Galiaghin che dal giardino guarda dentro la casa, quindi mette a fuoco il vetro della finestra rigato dalla pioggia e infine, con un procedimento apparentemente inverso (in realtà c'è uno stacco quasi impercettibile tra un'inquadratura e l'altra), dà l'impressione di tornare a mettere a fuoco l'esterno, spaziando sulla distesa d'erba che circonda la casa. Nel finale, invece, con una incredibile zoomata all'indietro Michalkov si allontana (non solo visivamente, ma, verrebbe da dire, anche ideologicamente) da Platonov, da Sascia e dagli altri membri della compagnia accorsi verso di loro, e chiude suggestivamente il film all'interno della stanza dove dorme, unica nota di speranza e di ottimismo del film, il bambino biondo.
In "Partitura incompiuta per pianola meccanica", Michalkov appare comunque meno virtuosistico del solito: oltre alla ardita zoomata sopra descritta, vi sono pochi movimenti ad effetto, tra cui un dolly usato per seguire i personaggi che salgono sul terrazzo al piano superiore. In entrambi i casi è evidente che Michalkov usa la tecnica cinematografica da un lato per assumere il massimo distacco dal testo teatrale, dall'altro per servire nella maniera più funzionale possibile l'esposizione delle idee. Sotto il primo aspetto, il regista, lo abbiamo già notato, riduce al minimo i campo-controcampo, così come le sequenze statiche da "teatro filmato", per privilegiare invece un movimento sinuoso della macchina da presa in grado di tener dietro ai numerosi personaggi in campo (la durata delle inquadrature risulta così mediamente abbastanza lunga), mentre ai raccordi rapidi di montaggio ricorre di quando in quando per descrivere meglio le impressioni suscitate da particolari momenti dell'azione (ad esempio, all'annuncio dell'arrivo di Platonov due brevissime inquadrature mostrano il servo Jakov che fa cadere in acqua la sedia che stava cercando di recuperare dal fiume e Sergei Pavlovic che applaude dondolandosi sull'amaca). Sotto il secondo aspetto, mi sembra di poter asserire che la scelta e l'avvicendarsi dei campi e dei piani, cui ho già accennato poc'anzi, non sia casuale: inizialmente, quando si assiste al fatuo e annoiato chiacchiericcio dei presenti, prevalgono i totali o i campi lunghi e medi; più avanti, con la messa a fuoco del vero carattere dei personaggi e la scoperta delle loro reciproche relazioni, la macchina da presa si fa più vicina e incalzante, anche se i primi piani non sono molto numerosi; al termine del film, quando i personaggi, impietosamente smascherati nelle loro ipocrisie e meschinità, sono restituiti alla loro dimensione iniziale di "maschere sociali", ritornano a dominare i campi lunghi, quasi a voler con questo accorgimento tecnico sancire la loro insignificanza e l'ineluttabile perpetuazione di quello stato di cose. La creazione di una vera e propria dialettica delle inquadrature è, credo, agevolata dal fatto che la macchina da presa non è mai soggettiva, ma osserva sempre in maniera disincantata e neutrale il vacuo agitarsi di quei campioni della pigrizia e del velleitarismo: non è un caso che molto spesso riprenda i personaggi di spalle, anche quando questo significa (come nel caso del colloquio tra Platonov e Anna Petrovna sull'amaca) rinunciare a molte sfumature del dialogo.
Dagli esempi proposti nelle pagine precedenti si può trarre la conclusione che Michalkov incarna come pochi altri registi al mondo l'idea di un cinema nel quale la tecnica non è mai fine a se stessa e forma e contenuto non restano disgiunti l'una dall'altro. "Partitura incompiuta per pianola meccanica" non sarebbe comunque quel grande film che è senza l'affiatatissimo gruppo di attori che circonda Michalkov. Tra tutti, i più bravi appaiono Elena Solovej e Aleksandr Kaljagin. La scena del loro incontro, dopo sette anni, in casa di Anna Petrovna, è stupenda: quando l'imbarazzata Sofja chiede a Platonov se sia rimasto qualcosa in lui degli ideali di un tempo, la camera riesce a cogliere nel volto di quest'ultimo degli impercettibili segni di trasalimento, come se egli facesse fatica a dare un senso compiuto alla domanda, mentre invece cerca solo di organizzare dentro di sé una replica dignitosa e brillante su un argomento che rappresenta, lo capiremo più avanti, un punto doloroso della sua esistenza. I due attori riescono qui a rovesciare l'atmosfera fino a quel momento festosa del film e a trasmettere un senso palpabile di disagio, anticipando i drammatici conflitti interiori che esploderanno più avanti. Anche gli altri interpreti, compreso lo stesso regista nella parte di Triletskij, sono impeccabili, dimostrando che la fama di eccellente direttore di attori che Michalkov ha saputo conquistarsi con gli anni è pienamente meritata. Del resto, Michalkov ama lavorare, di film in film, con lo stesso gruppo di persone (lo sceneggiatore e scenografo Aleksandr Adabasjan, il direttore della fotografia Pavel Lebesev, il musicista Eduard Artemev), tanto da avallare l'idea che l'essere attorniato da collaboratori fedeli e affiatati sia per il nostro regista il modo migliore per raggiungere quell'invidiabile equilibrio tra professionalità e felicità creativa che si traduce ogni volta sullo schermo in immagini schiette e sincere, spesso perfino poetiche.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  21/06/2012 22:11:59
   6 / 10
Chechov lo apprezzo molto, Mikhalkov anni '70 non molto e quasi per nulla. Una noia mortale, cinema troppo legato al teatro e a questo punto preferisco vedere la piece. Non ho altro da dire, 6 perché proprio non saprei cosa altro analizzare di un film poco capito e soprattutto sfiancante nella sua statica prolissità.

Gruppo REDAZIONE maremare  @  20/11/2008 10:57:43
   8½ / 10
Secondo lungometraggio di Mikhalkov, quello che lo fa conoscere al grande pubblico.
Un gioiello da non perdere.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  11/01/2007 20:57:08
   7½ / 10
Straordinario addattamento del classico di Cechov, filtrato da una fotografia nitida e quasi rarefatta, e anche per questo di difficile lettura.
Non è facile accostarsi a questo cinema post-letterario senza rischiare un fortissimo bisogno di sbadigliare, tanto è statico e minuzioso.
Essendo un grande appassionato di Cechov, lo consiglio comunque caldamente, per quanto mi riesca difficile pensare che la lettura dei suoi testi possa risultare altrettanto astrusa quanto i (pur ottimi) addattamenti di Michalkov: infatti non è così

Gruppo COLLABORATORI fidelio.78  @  04/01/2007 17:28:35
   7 / 10
Film delicato, poetico, d'altri tempi. Bravi gli interpreti, bella la regia.

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