ordet regia di Carl Theodor Dreyer Danimarca 1955
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ordet (1955)

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locandina del film ORDET

Titolo Originale: ORDET

RegiaCarl Theodor Dreyer

InterpretiBirgitte Federspiel, Henrik Malberg, Emil Hass Christensen, Ejner Federspiel, Kirsten Andreasen, Sylvia Eckhausen, Ann Elisabeth Groth, Cay Kristiansen, Preben Lerdorff Rye, Gerda Nielsen, Ove Rud, Susanne Rud, Henry Skjær, Edith Trane

Durata: h 1.59
NazionalitàDanimarca 1955
Generedrammatico
Al cinema nel Settembre 1955

•  Altri film di Carl Theodor Dreyer

Trama del film Ordet

In una fattoria dello Jutland vive il vecchio Borgen con i suoi tre figli: Mikkel, sposato con Inger, in attesa del secondo figlio, Johannes, diventato pazzo a causa degli studi di teologia, e Anders, il minore, innamorato della figlia del sarto del villaggio. Sulla fattoria si abbatte la tragedia: Inger muore di parto, Johannes sparisce e il sarto nega il consenso alle nozze per divergenze religiose con Borgen.

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Voto Visitatori:   9,15 / 10 (27 voti)9,15Grafico
Miglior film straniero in lingua straniera
VINCITORE DI 1 PREMIO GOLDEN GLOBE:
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Voti e commenti su Ordet, 27 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Gruppo COLLABORATORI Harpo  @  21/09/2022 19:21:46
   10 / 10
Vabbeh, poi scopri completamente a caso che su Netflix trovi anche Dreyer, ti spari "Ordet" e sì, hai la riconferma che Bergman è un genio indiscusso, ma senza Dreyer probabilmente avrebbe fatto film diversi. Chi si lamenta per la lentezza di questo capolavoro, sarebbe meglio andasse a fare altro: basta prendere un momento random in cui Malberg è in scena per restare stupefatti. Uno dei film più belli di sempre, arrivare a 35 anni senza averlo mai visto è stato imperdonabile

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR 1819  @  03/07/2022 14:57:32
   10 / 10
Un capolavoro assoluto, retto da una sceneggiatura sontuosa; la regia è semplice come i protagonisti, che sono perfettamente caratterizzati. Emozioni costanti con un finale epico, chiusura perfetta del cerchio. Più che un film sulla religione, è un trattato sulla vita.

Thorondir  @  15/06/2022 16:33:41
   9 / 10
Questo film di Dreyer è magnifico: una storia quasi tutta in interni sul peso della religione nelle dinamiche famigliari (e di vita) in una Danimarca del tempo indefinito, un thriller dell'anima che gioca sull'ambiguità del magnetico personaggio di Johannes, un teatro di esseri umani tutti in bilico per un motivo o per un altro. E sopra tutto questo una meravigliosa capacità di creare cinema, di mettere in scena una sorta di teatro cinematografico dove i lunghi piani sequenza, i movimenti di macchina, la costruzione dell'immagine e in essa dei movimenti dei personaggi produce un film in grado di scavare nel cinema e nell'anima dello spettatore. E con una tensione latente, recondita, impercettibile e però allo stesso tempo tangibile e quasi sovrumana. Capolavoro.

ZanoDenis  @  18/05/2015 22:04:50
   9 / 10
Ed eccomi a votare un'altro grandissimo film di Dreyer.
Ordet è una grandissima opera, piena di significati, tutti coerenti con i temi che il maestro danese ci ha proposto più volte, qui forse si giunge ad uno degli apici, qui Dreyer, rispetto ad altre pellicole è molto più esplicito, non lascia molto ad intendere (almeno in parte) ma mostra, e mostra benissimo.
Con uno stile molto simile a "Dies Irae" suo precedente lavorone, quasi tutto girato in interni, in stile teatrale, stracolmo di dialoghi e simbolismi, Dreyer ci propone la visione della fede e delle istituzioni dal punto di vista di una famigliola umile.
Come al solito nei suoi lavori, i personaggi sono caratterizzati alla perfezione, ognuno con una precisa funzione.
Il padre, ad esempio, monarca della famiglia, saggio a cui tutti fanno riferimento, prendono in parola, portano il massimo rispetto, ma anch'esso minato dalle superstizioni e dai dogmi religiosi, nonostante l'esperienza e la saggezza.
Significativa la scena in cui va dal sarto, i cui i due litigheranno per decidere quale sia la religione migliore, porranno i vincoli che queste istituzioni impongono, non faranno sposare i propri figli (inizialmente), li emerge tutto il danno, l'astio, che queste religioni possono creare, mostrando anche la classica incoerenza di chi dice: rispetta il prossimo, ma allo stesso tempo, non permette di rispettarlo, insomma, gia solo questa allegoria meriterebbe un applauso.
Ma questo è soltano uno dei parecchi personaggi che Dreyer ci mostra, come non essere intrigati dalla figura di Johannes? Un po rimandandoci al suo capolavoro muto "La passione di Giovanna D'Arco" il maestro ci ripropone la stessa domanda: "ma allora se torna un altro messia, chi lo segue?"
La risposta sembra che sia "Apparentemente nessuno", in realtà le nostre idee non vengono mai chiarite, fattostà che un personaggio del genere fa riflettere parecchio, viene creduto pazzo da tutti, giustamente anche dallo spettatore, ma soprattutto anche dal nuovo pastore del villaggio, che dovrebbe essere il rappresentante di Dio, ma in realtà è soltanto una figura passiva (altro personaggio importante, altra critica alle istituzioni). L'unica che crede a Johannes è una bambina, che probabilmente rappresenta la visione "pulita", senza pregiudizi, innocente, che non sa nulla della fede, ma è l'unica che forse la possiede veramente, perché si, effettivamente tutti i personaggi che dichiarano di avere fede non ce l'hanno veramente, anzi...
Probabilmente questo è uno dei maggiori messaggi del film, che troverà il suo apice nel finale, con la vicenda di Inger, che lascia tutti speranzosi (io l'ho visto abbastanza positivo il finale, almeno, rispetto al super pessimismo che c'è in Dies Irae), anche il marito di cui adesso mi sfugge il nome, inizialmente non credente, cederà alla fede, non alle istituzioni attenzione, alla fede.
Dreyer crea un racconto e una narrazione eccellente, tutto senza sbavature, senza esagerato autocompiacimento, tutto diretto con i giusti tagli, una fotografia cupa quanto basta (tralasciando la splendida scena della resurrezione, li sembra veramente di essere in paradiso, oltre alla cura maniacale delle simmetrie che usa) e le scenografie opprimenti che caratterizzeranno questi suoi lavori a tema religioso, tralaltro qui c' da dire che il film è anche leggerissimo, cioe, i dialoghi e l'impronta teatrale del film fanno scorrere il tempo senza che lo spettatore se ne accorga.

Insomma siamo di fronte ad un altro immenso lavoro di un grandissimo maestro.

Guy Picciotto  @  14/08/2014 20:21:39
   9 / 10
uno zoom sulla parete bianca fino allo stordimento fino a rivelare che tutto il cinema potrebbe essere un immenso gioco non più di specchi, ma di fantasmi che nella loro narcosi amano penetrarsi e cantare melodie proprie degli angeli: nell'immaginazione di uno psicopatico, di un nevrotico costretto a uccidere lo spettatore che siede vicino a lui, nell'ultima fila di un cinema di borgata che puzza di escrementi e di liquidi umanoidi non credo che Ordet sia la visione ideale. Il silenzio, il disagio mentale, un Cristo trasformati in cupa rappresentazione post teatrale in un set governato da una macchina da presa razionale e perciò stanca di tributare l'ennesimo omaggio al cinema che cambiava, oltrepassare ogni movimento interiore possibile per ri-accadere laggiù in un miracolo alla luce del sole, virtuale, cupo come una fuga di Bach rivisitata dall'organo di un Koopman o come i definitivi 40 minuti di Persepolis di Xenakis dislocati dal loro ambiente naturale ma che nella loro immobilità contiene ogni velleità del movimento esteriore-interiore che ci è dato immaginare. Se diamo 10 a giovanna d'arco a questo non più di 9 proprio per i motivi che ho finito di dire.

Lucignolo90  @  17/10/2013 21:10:41
   9½ / 10
Nello Jutland degli anni 20 il vecchio Morten Borgen vede crollare il mondo addosso alla sua famiglia: la moglie del suo primogenito Mikkel, ha delle complicazioni nel parto; ad Anders viene negato il matrimonio con la figlia del sarto per divergenze religiose di quest'ultimo coi Borgen; Johannes, studente di teologia che si crede il nuovo Gesù in terra e che tutti credono pazzo, scompare.
A metà tra sacro e profano, da buon nordico qual'è, Dreyer dopo il grandioso Dies Irae (e l'irripetibile La passione di Giovanna d'Arco) conferma come (insieme a Bresson e pochi altri davvero) sia stato uno capace di indagare davvero la condizione dell'animo umano.
Di una lentezza cadenzata, privo di musiche per quasi tutto il film, Dreyer sembra rifarsi alle teorie del dualismo religioso di Kierkegaard, il confronto "fede-fede" nell'aspro contenzioso che hanno Morten (che è protestante) e il cattolico sarto del paese, Peter.
La figura sembra essere quella che si aggira spettrale nelle stanze di casa, quella di Johannes, a prima vista caduto nella demenza totale per i troppi studi religiosi, una persona che delira, oppure qualcuno che riesce a percepire davvero cose che agli altri non è permesso vedere? Il commovente finale troverà la risoluzione in qualcosa di inatteso, una folgorazione degna del regista.

Invia una mail all'autore del commento OpheliaQueen  @  06/02/2013 06:32:24
   9 / 10
Altro capolavoro del regista danese incentrato sulla dualità religiosa quasi come continuazione della Passione di Giovanna, qui interpretata da Johannes. L'ipocrisia religiosa smentita e poi confermata attraverso il "miracolo", tematica sempre presente nel cinema dreyeriano.
Ancora volti perfetti, privi di finzione ambientati in luoghi del tutto attuali

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Freddy Krueger  @  14/12/2012 10:24:26
   8 / 10
Molto bergmaniano questo di Dreyer, riflessivo e filosofico proprio come le opere del grande regista svedese. Ci sono però delle differenze.
Innanzitutto è un film dallo stile molto semplice: tanti piani sequenza, pochi movimenti della cinepresa, colonna sonora quasi assente, recitazioni molto teatrali.
E seppur possa scoraggiare il b/n con una durata di due ore, posso garantire che la visione scivola via tranquillamente. I dialoghi sono profondi e bellissimi.
Lo consiglierei solo agli appassionati; infatti tutto il film è un dibattito sulla fede, credere o non credere, cristianesimo o non cristianesimo, Dio esiste oppure non esiste...
E dal finale deduco che Dreyer fosse un credente convinto oppure semplicemente uno che avesse molti dubbi circa la sua fede.

Invia una mail all'autore del commento Elly=)  @  26/03/2012 00:44:20
   9 / 10
Seguendo lo schema del sovrannaturale che nasce dal fantastico profano, tipico dei popoli nordici di quell'epoca, che Dreyer adottò anche in altri film come VAMPYR e VREDENS DAG, il regista crea una vera e propria tragedia teologica che richiama l'alta drammaticità de JEANNE D'ARC, confermando ancora una volta la sua impareggiabile maestria e l'essere il "padre" di Bergman.

Lo sceneggiato venne tratto da una pièce teatrale di kaj munk molto fedelmente e se all'epoca il tema fu attuale lo è sicuramente anche oggi, di certo dopo aver visto ORDET non si può non pensare anche all'opera di kierkegaard.

Nel 1954 vinse il Leone d'oro a Venezia, a quel tempo ritenuto il premio più importante del mondo, anche se una vasta schiera di critici considerò l'estetica di ORDET un'estetica passata, vecchia, ma ancora una volta si sbagliarono.
ORDET può essere benissimo considerato l'ultimo vero film in b/n, dove la semplicità delle scenografie, i moltissimi piani-sequenza, i pochissimi esterni, i movimenti lenti dei personaggi, ma soprattutto l'uso artistico della fotografia rendono tutte le inquadrature un semplice godimento visivo. All'inizio del film vediamo la presenza di una grande luce diffusa dove le figure sono esenti di contrasto e di ombre, ma man mano che il film procede il bianco diventa sempre meno bianco, la luce inizia ad essere più dura e il contrasto più forte. Tutta questa importanza che il regista pone al bianco e ai grigi è data dal fatto che vuole sottolineare i nodi che si formano nei diversi rapporti, umani o spirituali che siano.

ORDET si apre con un'inquadratura che porta in sovrimpressione solo il titolo per poi passare ad uno spostamento della macchina che ci fa vedere la tenuta dei Borgen immersa nella natura, l'erba che si muove al soffiar del vento, i panni appesi che sventolano, tutte immagini rare in esterni che hanno una loro importanza dato che la maggior parte dell'anno il sole non c'è. Johannes, il fratello diventato pazzo per i troppi studi teologici che si crede gesù, è appena scappato per l'ennesima volta. I fratelli Anders, il minore innamorato di Anna la figlia del nemico di suo padre, e Mikkel, il maggiore che vorrebbe rinchiudere il fratello matto e non crede affatto in dio, insieme al padre, figura imponente del patriarca, a cui tutti fanno da riferimento ma che ha perso la fede, vanno a recuperare Johannes.
Il pazzo è salito in cima ad una collina e cita versi del vangelo detti da gesù: oltre alla recitazione perfetta con uno sguardo che sa essere allo stesso tempo triste, perso nel vuoto, speranzoso, il volto di questo falso cristo è perfetto, ricorda moltissimo le serie dei ritratti che fece Antonello Da Messina del volto di Cristo. L'unica che sembra essere la pecora non smarrita è Inger moglie di Mikkel, una figura centrale su cui sarà basato tutto il finale.

Una cosa, che penso sia automatica, è che venga da chiedersi: se uno del ventesimo secolo si crede cristo, figlio di dio e nessuno gli crede perché 2000 anni fa si?
Questa e altre riflessioni, religiose e morali, non solo vengono in mente allo spettatore, ma sono proprio oggetto di quesiti che si fa lo stesso regista, ci viene mostrato come la religione determina in gran parte la vita dell'essere umano.

Ci troviamo in una situazione che rientra nei canoni della normalità ma che improvvisamente viene scossa dal gesto finale di Johannes. La banalità quotidiana viene interrotta dal mistico. Inger è morta dopo aver perso il bambino: nessuno ci può credere, a parte il finto Gesù, il dottore aveva detto che stava bene ma a sentir le parole del matto la luce dei semplici fari dell'auto sono dio, quest'ultimo l'avrebbe portata via con sè e in effetti poco dopo Mikkeal annuncerà la sua morte. Più volte il pubblico si trova diviso, a contestare e a chiedersi se quello che vede è realtà, se dio esiste veramente.

Nella sequenza dove vediamo Inger partorire in sottofondo ci sono solo i suoni interni, la colonna sonora non interviene, come in tutto il film, tranne per la scena del salmo, e qui vediamo tutta la bravura di Dreyer nel rendere una scena che turba altamente senza l'intervento di una melodia. La macchina fa movimenti lenti (per tutto il film li fa ma qui assume un significato diverso) e le spinte che il dottore fa sulla pancia della donna li seguono a tempo come se fossero dei battiti, la linfa della vita. Una vita che presto non ci sarà più. Inger muore e sembra che tutti ne abbiano tratto profitto, ma è un profitto apparente, perché sarà solo il miracolo a cambiare le cose: i due padri di famiglia ora vanno d'accordo e i rispettivi figli possono sposarsi, il vecchio come suo figlio Mikkeal ritrova la fede, Johannes ha ritrovato la ragione. L'unica che non assume nessun cambiamento è la bambina, figura allegorica: essa raffigura la purezza, quindi l'anima che non dubita in quanto non conosce il peccato grazie alla sua innocenza.

Il personaggio di Johannes è un personaggio ambiguo, a metà tra il profeta e il matto, in bilico tra il ridicolo e la santità, irrita ma allo stesso tempo fa pena, le sue parole suonano di cose già sentite ma a cui non diamo importanza finchè esse non si rivelano la verità. E' un personaggio che ti porta ad uno straniamento continuo: è vero che parla come se fosse cristo ma il fatto che lui ha avuto una premonizione di una morte in casa e in seguito sia riuscito a resuscitare la donna fa sorgere un dubbio sul suo ruolo. Lui poco dopo la metà del film riesce a scappare e torna sano per il miracolo, questo induce a un duplice significato: per chi crede viene naturale pensare che il miracolo sia avvenuto veramente, ma per gli scettici il tutto cade in un risolino finale. Ma forse la strada che può riunire i due versanti è, al di fuori della veridicità dell'accaduto, la tematica sollevata e cioè la grande paura della morte che ha di natura l'essere umano, i problemi esistenziali che ognuno di noi si pone, la speranza alla quale molte persone si aggrappano fino alla fine, i dibattiti tra le varie Chiese inutili visto che il fine, la glorificazione di dio, è uguale per tutte,..
Sono film, quelli di Drayer, come lo possono essere quelli di Bergman, che bisogna imparare a digerire per quanto riguarda un possibile sconvolgimento dell'anima non indifferente.

censurableah  @  30/05/2011 13:24:53
   10 / 10
La perfezione esiste.......

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Invia una mail all'autore del commento kossarr  @  27/04/2011 05:34:03
   9 / 10
Siete davvero sicuri che questo film sia dalla parte della religione?
A me ha dato esattamente l'impressione opposta.
Lotte tra famiglie, che si trasformano in lotte tra paesi, tra regioni, tra stati e tutto per cosa? Per piccolezze interpretate differentemente da incompetenti.
Il forte messaggio che ho ricevuto dal film è :" Dio esiste e voi religiosi siete ridicoli ".
Magistralmente diretto.
Poche scene in esterno, un film perfetto con un budget da MC MENU'.
Avercene di film così al giorno d'oggi, dove si bada solo agli effetti speciali.
Consigliatissimo a tutti.

Laisa  @  23/04/2011 04:02:11
   10 / 10
il capolavoro senza precedenti di un maestro del cinema

pinhead88  @  08/02/2010 14:24:19
   7 / 10
Un Dreyer che non abbandona i temi a lui più cari,un'opera liturgica e profonda girata quasi sempre in interni con scenografie poverissime ma signficative.Ordet ricorda molto il cinema di Bergman,anche se in qualche modo meno tormentato.sicuramente un'opera che fa riflettere,ma per quanto mi riguarda non lo considero affatto il miglior Dreyer.

DarkRareMirko  @  02/11/2009 23:58:28
   10 / 10
Indubbiamente il film più religioso e più a favore di temi religiosi realizzato dal grande Dreyer, autore de Il vampiro, compianto danese filmaker davvero a suo agio nei generi fra loro più differenti.

Realizzato quasi totalmente in interni, dilatato in 2 ore mai noiose, c'è da dire che la regia di Dreyer, la cui qualità che per forza di cose qui non può esprimersi palesemente, è ad ogni modo curatissima, attenta a ben caratterizzare le psicologie dei vari personaggi e molto arguta riguardo al particolare.

A volte la religione, proprio come si può vedere in questo capolavoro, è davvero risolutoria e miracolosa, è per davvero l'unica cosa a cui ci si deve andare a riferire in mancanza di altro.

Gruppo COLLABORATORI julian  @  10/09/2009 22:26:45
   8½ / 10
Nessuno con la testa a posto consiglierebbe Ordet ai suoi amici (dipende poi da che compagnie si frequenta) e, forse, non è neanche l'ideale vederlo con altre persone anche se, in confronto alla durezza di Dies Irae e soprattutto de La passione di Giovanna d'Arco, questo scorre via come un bicchier d'acqua. Ordet è il tipico film che va visto a tu per tu col televisore, da uomo a elettrodomestico, soli con i nostri pensieri, le nostre riflessioni, i nostri dubbi.
Ripeto: non lo consiglierei a nessuno, mi prenderebbero per pazzo, eppure è un pozzo senza fondo di interrogativi, un concentrato dei problemi filosofici su cui l'uomo, da secoli, si scervella.
Non è difficile ritrovare nel film l'essenza del pensiero di Kierkegaard, il padre dell'esistenzialismo dal quale, Dreyer, suo compatriota per giunta, è stato sicuramente influenzato in questa e in altre opere.
La fede la concede D.io oppure la si trova lungo il cammino della vita ?
E' naturale che, secondo la visione cristiana, se tutto è già predestinato, siano già predestinati anche coloro che otterranno o perderanno la fede. E' un primo paradosso. Ancora, come ha potuto un'essenza metastorica e trascendente come D.io manifestarsi nella storia incarnandosi in uomo ?
E' il secondo paradosso. E la fede è piena di questi paradossi, di queste contraddizioni di fondo incolmabili e irrisolvibili. Tuttavia, come lasciava capire il famoso motto di Tertulliano "Credo quia absurdum", il credente deve abbandonare la strada della razionalità ed accettare i dogmi e anzi averne fede proprio in ragione della loro assurdità.
Kierkegaard ce ne offre un limpido esempio con la storia di Abramo, vissuto per decine d'anni secondo la legge dell'etica, e pronto, per fede, ad uccidere suo figlio in seguito a un ordine di D.io.
Tutto questo, impossibile negarlo, ha un che di affascinante. Ognuno di noi, nella propria interiorità, si è ritrovato almeno una volta immerso in simili meditazioni senza venire a capo di niente. E' più forte di noi: è, come dice Kant nella Critica della ragion pratica, un bisogno connaturato al nostro essere.
Dreyer racchiude i suoi pochi personaggi in un claustrofobico interno che poche volte si apre a rivelare una spoglia landa, spazzata perennemente dalla bufera. E' indicativa solo l'ambientazione: ciascuno dei personaggi si prepara a un tormento interiore, ma è la fede -perduta, non soddisfatta, non condivisa o ritrovata- a muovere tutte le mosse.
Johannes è il sopracitato Abramo di Kierkegaard: un uomo (o forse qualcosa di più ?) che ha fatto il salto e che guiderà verso la stessa strada tutti gli altri.
L'ho considerato una lezione di filosofia e teologia di 2 ore, piacevole, intensa e profonda. Di sicuro più piacevole di quelle che passavo in classe...


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3 risposte al commento
Ultima risposta 11/09/2009 03.20.13
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Invia una mail all'autore del commento wega  @  05/09/2009 05:53:59
   10 / 10
Mea culpa, "Ordet" è un film troppo grande per me, dimostrato dallo stomaco terso che ho ogni volta che lo rivedo. Adatto per chi, alle lezioni di catechismo di "quella" carina del paese, preferiva sparare i mini ciccioli nelle fessure dei muri (soprattutto della Chiesa), "Ordet" è un altro Capolavoro (deve esserlo per forza, troppa autorevolezza ha Dreyer) che parla di Fede, religione con le sue contraddizioni. Esteticamente poi non v'è dubbio, è un film fin troppo fresco per come muove la macchina da presa, e la fotografia degli esterni, la forma espressiva del regista danese, eleva questo film a opera d' arte assoluta. Per farla breve, anche io mi son sempre chiesto: "Beh, se qualcuno "scendesse" nelle vesti di Gesù Cristo, ai giorni nostri, nessuno ci crederebbe; tanto meno le nonne, che lo prenderebbero per pazzo (Johannes), come minimo. Perché mai allora dovrebbe essere successo per forza 2000 anni fa? Perché dovrebbe essere una verità incontrovertibile, questa?". Tanto di cappello a Dreyer che riesce a riesumare ogni sorta di dubbio, persino questo, che l' ho sempre rilegato in fretta, senza tanto pensarci, a "pensiero scemo".

Crimson  @  19/07/2009 12:22:48
   8 / 10
Rivisto allo Sp.Ob., è un film che cita e che è intriso di Kierkegaard: in particolare delle sue riflessioni sullo 'stadio religioso' nell'ostico ma stupefacente 'Timore e tremore'.
Ho letto quasi per intero l'opera del filosofo danese e pur non condividendone il frutto dell'indagine, sono rimasto affascinato dal suo meccanismo. Lo stesso discorso vale per ‘Ordet’ che confronta "fede" e "fede": questo dato di fatto deve necessariamente essere preso in considerazione prima di addentrarsi nella visione del film.
Dreyer è strepitoso nel preparare il terreno a quel che è la svolta narrativa e di significato in un celebre finale.
Servendosi di un'atmosfera grigia, attraverso un ritmo cadenzato e sfruttando un'ambientazione quasi esclusivamente in interni angusti e minimali, il regista danese mostra una serie di personaggi incapaci di credere fino in fondo, rei (è proprio il caso di dirlo) di intendere il cristianesimo in base alle proprie esigenze: i due padri di famiglia, il pastore. Mikkel l'ateo è una figura quasi marginale, sebbene sia 'l'oggetto' della rivelazione finale, e allo stesso tempo è così il medico. Il film si snoda essenzialmente sull'inquietante apparire e scomparire di Johannes, questa figura mistica e fortemente stridente rispetto al contesto. Uno schizofrenico (?), un Gesù, un Profeta: la risposta simbolica è nel finale, e per chi vuole mettere del suo (ma ripeto, difronte a questo film è come se gli fosse vietato di farlo) risulta impossibile riconoscerlo come nel primo caso.
Ebbro di spiritualità, il film accresce l'angoscia di minuto in minuto e sviscera il senso della fede dei personaggi attraverso le loro reazioni alle condizioni di salute di Inger.
Bello, intenso, magistrale: il miglior film sul tema della fede, senz’altro.

"Work out your own salvation, with fear and trembling" (cit.)

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  11/07/2009 12:26:04
   9½ / 10
Come ci apparirebbe oggi la discesa al mondo del figlio di Dio? E la sua parola, il verbo, come l’accoglieremmo?
Johannes è un figlio demente, caduto nella follia dall’arditezza dei troppi studi teologici, un’anima che s’aggira spettrale tra le stanze della casa ove, sospese in interni d’austero splendore, s’intrecciano amore, nascita, morte, differenti credi. Le sue parole sono gli sterili vaneggiamenti d’un povero allucinato. La luce che vede, i fari di un’automobile che si riflettono dentro la stanza.
Ma la fede d’una nipotina cambierà le cose. Resusciterà il figlio di Dio. Durante la veglia alla madre morta della bambina, in un bagliore d’immensa commozione, apparirà egli dall’ombra; pronuncerà il semplice verbo; ed ella si rialzerà dalla bara! L’amore può sconfiggere la morte.

9 risposte al commento
Ultima risposta 24/08/2009 17.40.09
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Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  22/06/2009 19:58:49
   8 / 10
E’ certamente un film dotato di una notevole intensità. Un’intensità che monta via via al procedere lento delle lunghe sequenze e in virtù del graduale sviluppo delle personalità (soprattutto quando si rivelano contraddittorie e conflittuali) dei vari soggetti della “mise-en-scene”, evidenziate (in particolare nei volti, a dispetto dell’assenza di primi piani) da una mirata e meticolosa illuminazione, che ne fa stagliare le figure negli ambienti scuri e –salvo sporadici momenti- chiusi degli spazi circostanti. Encomiabile l’invettiva (già ampiamente esplicitata nel precedente “Dies Irae”), di ispirazione “kierkegaardiana”, contro l’ipocrisia delle dottrine religiose che negano la purezza dell’originario messaggio cristiano, qui incarnato dal personaggio di Johannes (peraltro, a un certo punto del film, si dice che la “follia” di quest’ultimo è cominciata dacchè egli ha iniziato a interessarsi dell’opera del filosofo danese). Encomiabile l’intento di proporre una concezione della fede scevra da qualsiasi esiziale sovrastruttura socio-culturale, attraverso le parole e i gesti immacolati del “pazzo” e della bambina, quali esempi di spontaneità e genuinità esaltati nel contrasto con la cecità degli adulti “savi”. Tuttavia, ricondurre la soluzione del dissidio interiore –manifestato dal personaggio di Mikkel, tra tensione alla fede e incapacità di coglierla, al compimento del miracolo può apparire, e a ragione, come una semplicistica via di comodo, soprattutto se si guarda all’ingiustizia di fondo del concetto di miracolo, laddove questo va a beneficare soltanto uno o alcuni privilegiati, obliando altri innocenti privi di macchie (cfr. la morte prematura del neonato). Ne consegue che anche l’ultima scena, ancorché permeata di “pathos” (dall’attesa per il risveglio della defunta alla luce tenue che rischiara la stanza, amplificando l’ineffabile grandezza dell’evento portentoso), rischia di essere ridimensionata nello scontro con la reale constatazione dell’assenza –almeno fino a prova contraria- di segni divini tangibili, volti a riparare ad infausti accadimenti. Ma se si riconosce che il miracolo in Dreyer assume una portata soprattutto simbolica, che trova la sua realizzazione nella capacità, da parte dei personaggi più “veri” della messinscena (la donna magnanima, il profeta illuminato, la bambina innocente e pura), di trascendere tutte le stupide divisioni costruite artificiosamente dall’umanità, allora tutta l’operazione filmica, condotta con estremo rigore formale, riconquista piena dignità, facendosi portatrice di un messaggio estremamente positivo, mirante ad una concordia totale ed incondizionata dell’umanità.
Ad ogni buon conto, permangono le riserve sull’utopismo di fondo del messaggio in questione, e a maggior ragione se ci si rifà all’immagine della morte dell’infante quale emblema di un necessario sacrificio umano per la realizzazione del bene (il che basterebbe e avanzerebbe per non “ritrovare la fede”).
Ciò non toglie che si è al cospetto di un grande film… soprattutto se si crede ancora nei miracoli…

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  10/09/2008 10:23:01
   9 / 10
Nel giro di pochi giorni ha visto "la via lattea" di Bunuel e questo film di Dreyer.
Film che parlano di religione e di etnie diverse e il loro rapporto con la fede.
Io da cattolico mi trovo più "vicino" a questa pellicola.Certo sono entrambi critici con quelle che sono le credenze di alcuni personaggi che vengono facilmente inquadrati con l'aggettivo "bigotto".
Ma come non rimanere ammaliati dalla qualità di questo film?Tecnicamente perfetto,con un continuo utilizzo di piani-sequenza.In tutto il film le inquadrature sono 70 ma 40 solo nella sequenza finale...e quanto è splendida quella sequenza finale?Non pensavo di trovare ancora film che mi potessero emozionare in questo modo.
Non vorrei dire una fesseria ma quell'inquadratura finale mi ha ricordato il finale di "2001:odissea nello spazio" dove il protagonista è un vecchio morente con di fronte la pietra-Dio.Anche in "Ordet" la protagonista della scena si trova di fronte a un personaggio che,in qualche modo,raffigura Dio in terra...Il modo in cui Kubrick ha costruito quella scena mi sembra molto simile...
Comunque un film davvero emozionante!

"JOHANNES" , "JOHANNES!"...

Tony Ciccione90  @  20/07/2008 12:59:58
   9 / 10
I colori scuri, l'assenza di musica (intonazione del salmo 3 a parte) fanno di Ordet un film solenne, pesante ma non noioso. Dreyer aveva molto a cuore la tematica religiosa, come ho potuto constatare anche da Dies Irae. La purezza della fede e dell'animo alla fine risolverà tutti i guai che affliggono i Borgen, proprio quando tutto sembra ormai, irreversibilmente perso. Commovente il finale, un misto fra sacro e profano.

Peppo81  @  03/03/2008 14:21:01
   9½ / 10
12simo film preferito

............da vedere

Gruppo COLLABORATORI Marco Iafrate  @  07/06/2007 23:44:40
   10 / 10
Film di straordinaria potenza visiva ed espressiva, messaggio etico-morale trattato con una classe ed una maestria che soltanto un regista come Dreyer poteva trasmettere cosi' bene.
Probabilmente il fatto di essere rimasto orfano ed essere stato educato da genitori adottivi rigidamente Luterani ha influenzato non poco la struttura dei suoi film, praticamente tutti a sfondo religioso.
Ordet ( la parola ), è su questo che si basa lo svolgimento del film, sulla parola, infatti oltre a citare molti brani del Vangelo ( la parola di Cristo ) è anche fitto di dialoghi, riflessioni, aforismi che sapientemente si destreggiano all'interno di un film fondamentalmente basato sulla fede, il silenzio, la contemplazione.
Nonostante tutto ruoti intorno alla figura di papà Borgen, padre di tre figli che anche subendo la sua rigida educazione prendono ognuno una strada diversa, Anders si innamora di una ragazza di una famiglia che pratica un'altra dottrina, Mikkel è praticamente ateo e Johannes è un pazzo divenuto tale a causa della sua passione per le letture del padre dell'Esistenzialismo Kierkegaard, del quale consiglio un'opera straordinaria: [Aut-Aut], dicevo nonostante tutto ruoti attorno al vecchio Borgen, il personaggio più importante è la nuora Inger, moglie di Mikkel, essendo l'unica a dispensare serenità e amore in una casa di uomini che rivendicano ognuno il proprio credo, Inger non concepisce le loro diatribe per motivi di pensiero e filosofici e paradossalmente soltanto la sua morte costringerà tutti a rivedere le loro ideologie, a cambiare radicalmente modo di pensare.
La pignoleria nella sceneggiatura di Dreyer gli recò non pochi problemi con la casa di produzione perchè le riprese in esterni soprattutto, ma anche quelle in interni durarono più del previsto portando la spesa maggiore di un terzo della normale produzione.
La semplicità delle scenografie, il bianco e nero, l'assenza di primi piani ( mi sembra l'unico sia di Inger ), la straordinaria bellezza dei dialoghi, creano un'atmosfera quasi anestetizzante, stupenda.
Chiude la spirale il "Miracolo" che Johannes in nome di Gesù ottiene, un Miracolo derivante dalla richiesta di un'anima pura, quella di una bambina non ancora inquinata dalla conoscenza.

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  11/01/2007 23:28:26
   9½ / 10
Un film veramente fuori dal comune, difficile da commentare. Apparentemente è un film “tradizionale”. C’è una trama ben precisa, viene descritto un luogo geografico (la campagna danese) e un tempo stabilito (la prima metà del ‘900), ci sono dei personaggi con il loro mestiere, ma è come se tutto rimanesse come sospeso in un qualcosa di etereo. Tempo, ambiente, occupazioni rimangono sullo sfondo. Ogni elemento del film – personaggi, architetture, paesaggi – viene fatto “parlare”, esprime un messaggio, un’idea ben precisa. Si creano tutta una serie di posizioni esemplari, quasi dei simboli, che dialogano fra di loro. Il film è una rappresentazione fluida (uno scorrimento lento, pacato e intenso) di pensieri profondissimi. Il tema cardine è quello della “fede”, cioè il codice morale che deve guidare un uomo, la sua natura, il suo significato e la sua rappresentazione nell’infinità del tempo e nella totalità dello spazio.
Allo spettatore di cultura cattolica o “laica” potrebbe apparire un’ossessione, ma è una cosa naturalissima per un luterano, abituato a dialogare direttamente con la divinità e a farsi carico personalmente di quella missione che nel mondo cattolico viene svolta dai preti o dalle suore.
Il punto di riferimento del film è il vecchio Morten Borgen, un patriarca pieno di buon senso, con una visione della vita positiva, attiva e solida ma limitata alle cose della materialità quotidiana. Per lui D.io è una tutela di questo stato delle cose. Mikkel, il figlio maggiore, non crede in alcun D.io ma è pieno di giustizia e amore soprattutto per sua moglie Inger, che rappresenta la fede come dedizione agli altri, una visione sentimentale della fede. Il figlio minore è invece innamorato della figlia del sarto. Il sarto è una persona cupa, integralista con una fede fatta di paura e contrizione, l’opposto di Morten. Per tutto il film queste posizioni si incontrano dialetticamente e cercano di convivere insieme.
Il personaggio più interessante è però Johannes, il secondo figlio di Mortens. Essendo molto dotato intellettualmente, Morten lo ha mandato a studiare teologia, pregando ardentemente il Signore di farne un “santo”, una persona che avrebbe smosso le coscienze e migliorato l’umanità. Non si accorge che D.io gli ha veramente esaudito il desiderio, dando a Johannes la stessa natura umana/divina che ha vissuto Gesù. Johannes/Gesù vorrebbe riprendere la missione interrotta duemila anni fa di riforma totale dell’umanità ma è amareggiato dalla chiusura mentale, dalla mancanza di coraggio, dall’assenza di “fede”, di “fiducia” della gente che lo circonda. Eppure si tratterebbe semplicemente di credere nel “miracolo”, nel realizzarsi di quello che non si ha il coraggio o la speranza di vedere realizzato, ad esempio un’umanità senza guerre, senza violenza, senza sopraffazione. E’ questo il senso della “fede” per Johannes: l’audacia, l’entusiamo, la fiducia, la dedizione totale all’impossibile, all’utopico, al divino, al perfetto, qualcosa che non sia la fede limitata e materiale di Morten o la fede unicamente consolatrice del pastore. Eppure tutti lo considerano “pazzo”, tutti fuorché la bambina di Mikkel. I bambini sono i soli che riescono a capire e a credere, gli unici che riescono ad immaginare e ad avere speranza e fiducia.
E’ con lo spirito che hanno i bambini che si riescono a fare i “miracoli”, come ci mostra l’intensissima e commovente scena finale. Un miracolo ovviamente simbolico, che si traduce nella sconfitta della morte, cioè di tutto ciò che amareggia, abbatte e limita il genere umano.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  23/12/2006 14:30:05
   9½ / 10
Fondamentale viatico e fonte ispirativa per "le onde del destino" di Von Trier, è, insieme al "diario di un curato di campagna" di Bresson uno dei pochi film che testimoniano la reale condizione della spiritualità nella vita.
Ancor oggi astruso nel suo metaforismo (cos'è la fuga di Johannes? Perchè si crede l'Eletto? E' pazzo o Santo?) è un film intensissimo e struggente, uno dei veri incantesimi della storia del cinema, con la capacità di Dreyer di rendere "miracolosa" , "sacra", una fonte profana come quella della perdita di speranza, di D.io, della fede e della salute mentale

3 risposte al commento
Ultima risposta 09/12/2007 21.39.43
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Betelgeuse  @  16/01/2006 19:17:33
   9 / 10
Mamma mia...
Ho beccato questo film una notte, per caso, su Rai3.
Che ore erano? Le due e mezza, le tre.

Mi ha folgorato.
Non sono un critico - ma sono appassionato di cinema.
Quindi non credo di poter dare un giudizio di valore che non sia ciò che mi ha trasmesso.

Ebbene Ordet mi ha sorpreso per la tematica e per il misticismo di cui è intriso.
Rimane impresso: il mio cervello cerca ancora di assimilare il messaggio di quel film.

ds1hm  @  04/01/2006 14:38:49
   9 / 10
Il film in lingua originale è stupendo. Gli attori li trovo esemplari. Sempre ritorna nel cinema di Dreyer quel che intendo io di profezia nella religione, quell'essere sospeso tra il sacro e il vendicatore, tra vita e morte.

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