non bussare alla mia porta regia di Wim Wenders Germania 2005
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non bussare alla mia porta (2005)

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locandina del film NON BUSSARE ALLA MIA PORTA

Titolo Originale: DON'T COME KNOCKING

RegiaWim Wenders

InterpretiSam Shepard, Jessica Lange, Tim Roth, Gabriel Mann, Sarah Polley, Fairuza Balk, Eva Marie Saint

Durata: h 2.02
NazionalitàGermania 2005
Generedrammatico
Al cinema nel Settembre 2005

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Trama del film Non bussare alla mia porta

Howard Spence una volta era una star del cinema western. Adesso la sua vita è un disastro tra alcool, droga e giovani donne. Quando gli viene in mente che potrebbe avere un figlio da qualche parte, e che quindi la sua vita non è stata vana, si lascia tutto alle spalle e va alla sua ricerca.

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Voto Visitatori:   5,88 / 10 (20 voti)5,88Grafico
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Voti e commenti su Non bussare alla mia porta, 20 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

enigmista  @  06/02/2006 19:24:52
   1 / 10
Lento e noioso. Il film narra la storia di un attore di cinema western che, dopo anni di carriera, decide di ritornare alle sue radici e di voler intraprendere una vita "normale". Vuole ricostruirsi una famiglia che vent'anni prima sembrava aver dimenticato. C'è qualcosa di bello in questa trama? Per me no. Ne avrei fatto volentieri a meno.

1 risposta al commento
Ultima risposta 07/02/2006 01.39.38
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Gruppo REDAZIONE maremare  @  31/01/2006 10:40:05
   8½ / 10
Shepard e Wenders si rispecchiano nella reciproca mancanza di prole e girano un film sul tardivo desiderio di paternità.
"Perchè far passare tanto tempo?"
"Perchè non sapevo che stava passando" .
In quest scambio di battute è racchiuso il senso di questa opera a quattro mani.
La collaborazione col grande autore americano, qui in una interpretazione suberba, ravviva l'estro, oramai spento da tempo, di Wenders. Trattenuto e guidato da una sceneggiatura di ferro, Wim si deve dedicare unicamente a ciò che gli riesce meglio: l'inquadratura degli splendidi scenari e l'uso della luce. Un film che ho amato molto, nonostanti alcune incongruenze, dovute unicamente all'originale teatrale del copione. Una chicca imperdibile l'interpretazione di Tim Roth.

1 risposta al commento
Ultima risposta 14/08/2006 11.38.12
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  14/10/2005 00:59:32
   7 / 10
Prima o poi doveva accadere: le strade tra Wim Wenders e Sam Shepard dovevano ritrovarsi. A distanza di vent'anni e piu', con un'autore tra i piu' lucidi degli States e un regista che fatica a ritrovare lo smalto di un tempo. Shepard è ammirevole per la capacità di addattare liberamente alcuni suoi romanzi al servizio dello script: Spence è lo stesso nome del personaggio di "Da qui a Coarlinga" e il dolcissimo volto di Sarah Polley, insolitamente attaccata alle ceneri della madre, ricorda senz'altro "L'occhio", altro recente racconto dell'antologia "il grande sogno". Il grande Sogno di Wenders si ferma soltanto al servizio di un'opera sconclusionata e grottesca, che è difficile prendere sul serio e altrettanto sottovalutare, e a una serie di esilaranti iconografie, su tutti la pretesa di far ritrovare dopo trent'anni Jessica Lange al suo vecchio amore, che poi nella vita è effettivamente suo marito da - guardacaso - circa trent'anni. Tutto il film è, per inciso, bizzarro e naivete: non ho ancora capito se Wenders sopravvive al suo mito come eccellente documentarista, o teologo new age, grazie a una fotografia ora barocca ora intimista, ora volutamente kitsch (da antologia la sequenza al party delle pedicure) ora statica e suggestiva. Si direbbe che il cinema dei Padri celebra ora quello degli amanti perduti e ritrovati, ma a Ry Cooder succede T-Bone Burnette e gli occhi di Nastassia Kinski sono difficili da sostituire (pure la Polley ha degli occhi bellissimi).
Con "don't come knocking" il cinema attraversa la sua finzione piu' spudorata arrivando a diventare anche patetico quando finisce per concentrarsi sul figlio ritrovato e la sua junk-heroin (un topoi degli anni settanta, mi ricorda la Karen Black di "cinque pezzi facili"). Trovo in effetti piuttosto superficiale e facile l'identificazione del padre col figlio (sbandato).
Raramente sono uscito spiazzato da un cinema come in questi casi: sono costretto a riconoscere la forza del personaggio di Howard Spence, quel suo modo evasivo di condannarsi ("non sono morto, non posso essere già morto") ma anche qui mi resta l'amaro in bocca per cio' che avrebbe potuto essere, ovvero un film crepuscolare sulla fine della mitologia americana come esperienza epica della memoria e del mito (il western). Col senno di poi forse i cowboys gay dell'ultimo Ang Lee inaugureranno un nuovo corso. Nè mi colpisce il personaggio del figlio o l'odioso e cinico personaggio di Roth al quale viene tributata la solita licenza di denuncia sociale un pochettino qualunquista ("il mondo è brutto quindi è meglio non farlo entrare") ma si respira aria di commiato, di resa. A mano a mano Spence perde ogni difesa, si accanisce contro se stesso, e si lascia ferire, anche questo è un tema molto forte nei personaggi di Shepard e a questo punto il dubbio rimane lecito: è un film di Wenders o (soprattutto) di uno Shepard ritrovato?
Se i padri abbandonano i figli, le madri giustificano sempre ogni cosa che fanno, e qui ne troviamo due di splendide, altrettanto iconografiche: la rediviva Eve Marie Saint e la consorte (di Shepard) Lange, ancora affascinante ma già prossima a ruoli over 50 e al bisogno di "madre" che c'è in noi.
Poi tutto cio' che va fuori le righe, che gigioneggia tra il paradosso il realismo e un po' di puro surrealismo visivo coincide con Wenders e il suo cinema delle grandi proporzioni tecniche e del timore fondato di girare un po' a vuoto (diversi piani - sequenza per Spence filmato in divano, le fluorescenze dal giorno alla notte, l'insopportabile apologo di Eileen sulle patatine).
Resta soprattutto uno sguardo ancora "insolito", capace di cogliere qualcosa dove altri tenterebbero una fuga di genere, e (almeno) la penna di un buon scrittore che ancora sa come invadere la storia... Necessariamente utile come un film inutile di Wenders, ovviamente indispensabile per comprendere le ragioni per cui i legami di sangue sono fondamentali per rinascere (cfr. Cruise e il figlio nell'ultimo, controverso ma geniale film di Spielberg). Passi un generoso 7, nella speranza che Wenders ritrovi finalmente una sua coerente linearità Con le sue (e le nostre) paure

2 risposte al commento
Ultima risposta 31/01/2006 10.43.50
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Invia una mail all'autore del commento logical  @  05/10/2005 02:13:28
   3 / 10
Troppo facile dire che Wenders non è più un motivo per andare al cinema almeno dai tempi del Cielo sopra Berlino, film in cui cominciava ad accusare una pesantezza e una mielosa inconcludenza. Era il 1987. Ora, dopo quasi vent'anni, dopo le melensaggini di Lisbona, Cuba e le patetiche digressioni nel Blues, ci riprova con tutta la forza di un clone. Senza la lucidità di Gus Van Sant, rifà sé stesso e arrangia come un presepe le atmosfere di Paris, Texas chiamando lo stesso sceneggiatore, Sam Shepard, ventidue anni dopo. Al posto della fragranza di Nastassja Kinski quello che resta di Jessica Lange, al posto della musica di Ry Cooder quella di T-Bone Burnett. Grande idea drammaturgica: il protagonista, attore famoso nei Western, abbandona il set per ritrovare se stesso dopo una gioventù che probabilmente gli ha bruciato il cervello, visti gli effetti: non ricorda di avere un figlio, Gabriel Mann, forse il peggiore attore di Hollywood in circolazione, e nemmeno una figlia, Sarah Polley, che gira per trequarti del film con sottobraccio le ceneri della mammina appena scomparsa. Ritrova la madre, cui non ha molto da dire tranne chiedere dov'è il sottoscala per poi nascondersi in bagno quando arriva qualcuno, Tim Roth, a cercarlo. La sceneggiatura è ai limiti della telenovela e, vista la durata, si fa in tempo a chiedersi se forse non sia un disperato tentativo di autodistruggersi chiedendo pietà per semi-infermità mentale o raggiunti limiti creativi. Non basta un cast presentabile e una fotografia a fuoco per accendere un'attenzione o una curiosità: la musica non parte, la storia sconcerta e si svapora ad ogni istante. Chi, come me, aveva chiuso con Wenders ma si sentiva in colpa per quanto erano belli Alice nelle città, Falso movimento, Lampi sull'acqua non abbia rimorsi:Wenders è morto da un pezzo e in questo film non ce n'è traccia.

7 risposte al commento
Ultima risposta 31/01/2006 10.42.31
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