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Sono d'accordo con chi ha trovato la recitazione di Gere in certi frangenti un po' troppo teatrale e poco convincente, anche nell'emulazione della sindrome bipolare. Avrei preferito una maggiore spontaneità, ma sono comunque rimasto piacevolmente colpito da come si è snodata la vicenda, e dalla focalizzazione sul rapporto psichiatra-paziente. In Mr.Jones è la disperazione della solitudine, il dolore muto ed ermetico che non dà risposte ma lascia solo una serie di domande aperte (chi era Helen, la famigerata fidanzata di Jones, è o non è mai esistita?), che rende impossibile qualsiasi tentativo di cura. Mikes Figgis rappresenta bene questa situazione paradossale, eppure molto comune, in cui è lo psichiatra a perdere, perché di fronte alla potenza e al mistero del dolore umano nessun trattato scientifico, nessuna etichetta psichiatrica, nessuno psicofarmaco può. E' una visione senz'altro pessimistica, quella proposta da Figgis, ma che non si discosta mai, anche nel descrivere lo squallore dei ''neo-manicomi'' e dell'approccio nosografico della psichiatria, da un certo realismo , oserei dire becero, per quanto spiazzante. Definire ''Mr.Jones'' un film corale per la presenza di più protagonisti è un azzardo imperdonabili : Richard gere fa da padrone, in quanto non è solo colui che compare in più scene, ma è anche colui che nell'assenza si fa sempre sentire, quasi impercettibilmente, lasciando impresso nella mente dello spettatore il suo sorriso beffardo, il suo volto tenero, la sua allegria sfrontata. Detto questo noto con piacere come Figgis abbia dato spazio anche ad altri personaggi ; la storia della paziente cinese è un esempio. In sintesi sono soddisfatto della visione di Mr.Jones. E' un film di due ore che non risulta invecchiato, nonostante il passare del tempo, che consiglio caldamente alle persone particolarmente sensibili, che hanno vissuto sulla propria pelle il dolore e la sofferenza ; sconsiglio invece a chi ha bisogno di qualcosa di soft.
Se Richard Gere voleva dimostrare di possedere qualcosa in più della semplice, ma comunque pesante, etichetta di sex symbol, avrebbe dovuto cercare un altro ruolo. Troppo imprigionato nel suo essere bello e affascinante, la parte del dannato, tormentato e maniaco depressivo non sembra calzargli troppo, finendo col renderlo quasi ridicolo in alcune parti della storia. Tutto sommato è un film che si lascia guardare, ma sembra poco voglioso di porre l'accento su tematiche più importanti e meglio dettagliate, preferendo la love story medico-paziente che pare piuttosto scontata. Sufficiente nel complesso, ma c'è di meglio in giro.
Assolutamente in accordo con il commento precedente. Forse è proprio il buon Gere a non andare. Il ruolo lo regge bene, per carità, ma è vedere proprio 'lui', così schizzato, sopra le righe, compulsivo ad essere poco convincente. "Disperazione, tormento, l'incapacità di provare piacere" e, aggiungerei, l'incapacità di reagire... "Bastasse la buona volontà". Tema troppo importante per vederlo maltrattare così. La depressione è una malattia troppo seria. E a me, quasi, in certi momenti, veniva da sorridere. Lasciamo perdere il finale. Forse sono troppo generosa.
Figgis ci riprova a tener contento il pubblico pagante e propone una love story borderline ad alto tasso di ridicolo involontario ma interpretata da un irresistibile Gere al top del gigionismo. Confezione patinata, colonna sonora furbetta, un folgorante cameo di Anne Bancroft: cinema costruito a tavolino per piacere senza diritto di replica, ma che sa intrattenere senza grandi offese all'intelligenza.