milano calibro 9 regia di Fernando Di Leo Italia 1972
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milano calibro 9 (1972)

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locandina del film MILANO CALIBRO 9

Titolo Originale: MILANO CALIBRO 9

RegiaFernando Di Leo

InterpretiPhilippe Leroy, Lionel Stander, Frank Wolff, Mario Adorf, Barbara Bouchet, Gastone Moschin

Durata: h 1.41
NazionalitàItalia 1972
Generepoliziesco
Tratto dal libro "Milano Calibro 9" di Giorgio Scerbanenco
Al cinema nel Settembre 1972

•  Altri film di Fernando Di Leo

Trama del film Milano calibro 9

Regolamento di conti all'interno di una banda di criminali italo-americani che agisce a Milano, imperniato su Ugo Piazza (G. Moschin) che, fatti tre anni di carcere, è sospettato dai suoi compari di avere intascato 300000 dollari in contanti.

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Voto Visitatori:   8,44 / 10 (94 voti)8,44Grafico
Voto Recensore:   8,00 / 10  8,00
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Voti e commenti su Milano calibro 9, 94 opinioni inserite

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Gruppo REDAZIONE amterme63  @  14/12/2010 22:09:26
   7½ / 10
Decisamente un ottimo thriller/noir. La storia è impostata molto bene e gira attorno al mistero della scomparsa di 350.000 dollari (un bel gruzzoletto agli inizi degli anni '70). L'ambiente è quello della mafia siciliana trapiantata a Milano (a tal proposito un personaggio pronuncia una battuta: "bisognerà aprire l'antimafia anche a Milano", che all'epoca pareva assurda e che ha finito invece per diventare quasi realtà). Il traffico criminoso trattato è quello dell'esportazione illecita di valuta (piaga molto diffusa all'epoca presso quasi tutti gli imprenditori del Nord).
La banda gabbata (quella dell'Americano, in realtà un si**** neoarricchito in versione truce) sospetta che sia stato Ugo (un bravissimo Gastone Moschin) e lo pedina strettissimo appena uscito di prigione per una banale rapina. Sarà stato realmente lui? Se non lui, chi? Questo dubbio ci attanaglia per tutto il film e fa da efficace motore della suspense e dell'interesse intorno alla storia.
C'è da dire che la prima impressione che se ne ricava è che Ugo sia in realtà innocente. Prima di tutto il regista/sceneggiatore Di Leo ci fornisce un ritratto molto particolare del personaggio. Si tratta un criminale molto "sui generis". Infatti ha un atteggiamento molto distaccato, dei modi molto misurati e composti. In pratica si comporta come un eroe di un film esistenzialista: amareggiato, sconsolato, quasi dimesso e modesto (addirittura paga i danni in un albergo non provocati da lui!). L'unica consolazione rimasta sembra essere la sua donna (una sexy e bella Barbara Buchet) a cui perdona addirittura tutte le infedeltà. Lei, insieme all'amico Chino, rappresenta l'unico appiglio rimasto in un'esistenza amareggiata e precaria. Tutto questo nobilita molto il personaggio che conquista subito la simpatia e il "tifo" dello spettatore.
Tanto più che i rivali di Ugo sul fronte "criminale" sono ritratti sì come delle persone dure, violente e spietate, ma allo stesso tempo appaiono a volte quasi comici. Soprattutto il personaggio di Rocco (un bravissimo Mario Adorf) spicca per i modi coloriti e rozzi e la loquace parlantina sicula. Insomma un personaggio molto ben caratterizzato e interpretato.
L'originalità del film sta però soprattutto nelle scene che si svolgono in questura, negli scontri verbali fra il Commissario (democristiano, che intende la legge come pura e semplice difesa dell'ordine costituito, da applicarsi in maniera dura e severa soprattutto al crimine spicciolo) e il Vicecommissario (comunista, che intende la legge come giustizia sociale che deve colpire soprattutto il grande crimine, i colletti bianchi, ed essere indulgente nei confronti di chi subisce il degrado sociale). Si tratta di qualcosa di molto singolare, in quanto le scene sono quasi ininfluenti sul corso della storia. Evidentemente sono argomenti che stavano molto a cuore a Di Leo e poi quella era un'epoca altamente politicizzata. Il Vicecommissario è un personaggio caratteristico, trattato nel film come un perdente. La storia sembra però dargli ragione. L'ufficio dell'Americano è in uno dei principali palazzi della finanza milanese. I potenti malviventi (altro che piccolo crimine) non esitano poi a usare il tritolo, addirittura in piena Stazione Centrale di Milano. Gli agganci con l'attualità dell'epoca (Piazza Fontana, ecc.) sono evidenti.
Il film comunque lascia sullo sfondo le implicazioni politiche e si dedica nel finale a rimescolare le carte, a svelare aspetti sorprendenti e inaspettati nei personaggi principali. Un finale ironico e beffardo che lascia sorpreso e "ingannato" lo spettatore e che fa risaltare la bravura di Di Leo. Ottime le scenografie in una Milano nebbiosa e indifferente, con i suoi monumenti, i grattacieli e le case a ringhiera. Belle anche le musiche.
Nel suo genere è uno dei migliori.

2 risposte al commento
Ultima risposta 15/12/2010 09.25.44
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