luci d'inverno regia di Ingmar Bergman Svezia 1963
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luci d'inverno (1963)

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locandina del film LUCI D'INVERNO

Titolo Originale: NATTVARDSGÄSTERNA

RegiaIngmar Bergman

InterpretiGunnar Björnstrand, Ingrid Thulin, Gunnel Lindblom, Max von Sydow, Allan Edwall, Kolbjörn Knudsen, Olof Thunberg, Elsa Ebbesen-Thornblad, Tor Borong, Bertha Sånnell, Helena Palmgren, Eddie Axberg, Lars-Owe Carlberg, Ingmari Hjort, Stefan Larsson, Johan Olafs, Lars-Olof Andersson, Christer Öhman

Durata: h 1.21
NazionalitàSvezia 1963
Generedrammatico
Al cinema nell'Agosto 1963

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Trama del film Luci d'inverno

Tomas Ericsson, un pastore protestante, dopo la morte della moglie si accorge non solo di aver perso la fede, ma, forse, di non averla mai avuta. In piena crisi non riesce più a dare conforto ai suoi parrocchiani uno dei quali si ucciderà. È una delle vette della produzione bergmaniana: girato in un glaciale bianco e nero tenuto sulle tonalità grige come quelle delle vite dei personaggi.

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Voto Visitatori:   7,97 / 10 (29 voti)7,97Grafico
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Voti e commenti su Luci d'inverno, 29 opinioni inserite

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Gruppo REDAZIONE amterme63  @  02/12/2010 22:42:17
   8 / 10
Per apprezzare questo film occorre avere interesse e passione per la filosofia, la religione, l'etica e in generale per tutto quello che viene pensato a proposito dell'esistenza umana vista nel suo complesso.
Se non si ha questo interesse allora il film è semplicemente una tortura, un assurdo, un nonsenso pesante e noioso. Se si è interessati allora non si può fare a meno di apprezzare la grande finezza di pensiero espresso, la complessità e l'universalità dei temi, la sincerità e la passione umana e la grande arte scenica e recitativa. Se i temi filosofico-spirituali piaccono, si viene letteralmente presi nel vortice dei pensieri e non si può fare a meno di immedesimarsi, di riflettere, di trarre le proprie conclusioni.
Qualcosa però è andato perso. Noi viviamo in un'epoca ormai completamente scettica, permeata fino al midollo di etica materialista ed economica; non possiamo capire il pathos del film, di quell'epoca. Allora (negli anni '60) il vecchio mondo etico (simboleggiato da Dìo) viveva le ultime convulsioni prima di cedere definitivamente al nuovo mondo edonistico (simboleggiato dal Consumo). Bergman ha saputo egregiamente ritrarre la crisi irreparabile di chi aveva un fede e piano piano la stava perdendo.
Non si può fare a meno di confrontare questo film con il "Diario di un curato di campagna" di Bresson/Bernanos. Entrambi sono film austeri, poveri, disadorni, concentrati. I protagonisti sono dei sacerdoti, figure lacerate, fisicamente e spiritualmente tormentate. Eppure c'è una profonda differenza. Il Curato di Bresson si tormenta per non essere all'altezza, per non riuscire a compiere a dovere il suo magistero, ma mai (se non in punto di morte) dubita della propria fede e dell'esistenza di Dio. Il Pastore di "Luci d'Inverno" va invece oltre e arriva a dubitare di tutto e disperato cerca una conferma, un segno che lo sollevi dal vuoto che sente dentro. Il risultato è un'impasse totale, un vano sforzo che lo porta all'inaridimento, alla chiusura, al rifiuto pratico della vita.
Il film segue una linea molto abile e studiata. Il primo quarto d'ora è un quadro positivo e quasi poetico di una funzione religiosa. Si parte da una situazione apparentemente positiva. Poi piano piano, con un'incedere costante e sempre più intenso e interiormente drammatico, dall'armonia si passa al dolore intensissimo. Gunnar Bjornstrand ha sempre interpretato egregiamente parti brillanti, qui mi ha lasciato a bocca aperta dalla perfezione e dall'intensità drammatica che è riuscito a dare al Pastore. Ingrid Thulin, anche lei, che brava, mamma mia! Che magnifico ritratto di una donna modesta, senza pretese, tutta presa dalla sua idea di amore totale verso una persona, così intenso e partecipato da diventare ossessivo, asfissiante, così forte e totale da superare anche le peggiori umiliazioni.
Bergman ha voluto probabilmente di nuovo riflettere sulla figura del proprio padre, ha voluto capire e interpretare il suo distacco, la sua durezza. Lo spunto del padre lo ha portato all'approdo del dubbio, del "silenzio di Dìo". Del resto il film giustamente ricorda che persino Ge.sù nel momento cruciale ha dubitato: "Padre, perché mi hai abbandonato?".
In questo film inoltre si vuole persino mettere in dubbio l'assunto che Dìo esiste grazie all'amore che doniamo agli altri (la conclusione di "Come in uno specchio"). Un personaggio dileggia questa idea. Del resto il personaggio della Thulin sta lì a dimostrare che anche l'amore va saputo dare e soprattutto bisogna essere in grado di riceverlo.
Il finale è ambiguo e interlocutorio. Si lascia lo spettatore senza conclusione. Il pastore sembra voler continuare nonostante tutto, una forza disperante lo fa continuare, del resto "bisogna vivere".
Però quanta pena e quanta amarezza lascia dentro questo magnifico film!

3 risposte al commento
Ultima risposta 12/12/2010 13.35.11
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