l'enfant - una storia d'amore regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne Belgio, Francia 2005
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l'enfant - una storia d'amore (2005)

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locandina del film L'ENFANT - UNA STORIA D'AMORE

Titolo Originale: L'ENFANT

RegiaJean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne

InterpretiJérémie Renier, Déborah François, Olivier Gourmet, Jérémie Segard, Stéphane Bissot, François Olivier, Mireille Bailly, Bernard Marbaix, Fabrizio Rongione

Durata: h 1.35
NazionalitàBelgio, Francia 2005
Generedrammatico
Al cinema nel Dicembre 2005

•  Altri film di Jean-Pierre Dardenne
•  Altri film di Luc Dardenne

Trama del film L'enfant - una storia d'amore

Bruno, vent'anni. Sonia, diciotto. Vivono nella precarietà, con la rendita di un appartamentino di Sonia e i proventi dei furti commessi da Bruno e dalla sua banda. Sonia ha appena partorito Jimmy, il loro bambino. Come farà Bruno a diventare un padre presente e affidabile? Lui, così freddo e superficiale, che pensa solo agli introiti dei suoi loschi traffici?

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Voto Visitatori:   7,62 / 10 (39 voti)7,62Grafico
Palma d'oro
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Palma d'oro
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Voti e commenti su L'enfant - una storia d'amore, 39 opinioni inserite

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Paolo70  @  13/04/2015 23:17:20
   7 / 10
Film drammatico sulla vicenda che ha per protagonista una giovane coppia che hanno avuto un piccolo. Lui scapestrato vive di piccoli furti e in seguito per fare dei soldi arriverà ad un gesto estremo. Storia realistica da vedere.

1 risposta al commento
Ultima risposta 13/04/2015 23.23.42
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serenella  @  23/01/2006 20:21:46
   8 / 10
in alcuni punti è un po' lento, ma lenta è anche la vita... una bella indagine per nulla retorica su gli strati sociali più degradati e disperati della società francese. La vicenda si snoda serrata proponendo un doppio viaggio, un duplice percorso razionale ed emotivo. Da un lato è una indagine rigorosa e attenta sulla vita negli strati più umili e degradati della società francese, senza incedere in patetismi od eccessi: girato come un documentario, reso più credibile dalla mancanza assoluta di una colonna sonora, ha il ritmo serrato del reportage giornalistico, ma la delicatezza di tocco tipica del cinema francese. L'occhio spietato dei registi non interpreta, non giudica, non commenta: semplicemente, espone. Dall'altro lato c'è il lento e tormentato percorso di crescita di Bruno: l'itinerario di una coscienza, di una consapevolezza, di una identità. Perché non basta tenere in braccio un bambino per essere un padre. Non basta sentirsi ricordare le proprie responsabilità per avvertirne realmente il peso e la necessità.
Ma l'indagine sociale e l'itinerario di crescita interiore di Bruno non sono due percorsi separati, al contrario. Le sue azioni deplorevoli e incoscienti, la mancanza assoluta di consapevolezza delle sue responsabilità sono la conseguenza di un ambiente sociale e culturale degradato, sostanzialmente abbandonato a se stesso: una società parallela, per cui non valgono né le regole né il buon senso della cultura borghese. Compito dello spettatore è quindi liberarsi per un attimo dei propri parametri, delle certezze, ma anche dei pregiudizi, per capire le motivazioni profonde di quanto vediamo accadere. E allora si può percepire chiaramente che i suoi gesti non sono spinti da crudeltà, cattiveria o malafede. Quello che manca a Bruno non è tanto il riuscire a distinguere il bene dal male, le cose giuste da quelle sbagliate, ma la capacità di comprendere che ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo hanno un peso, delle conseguenze sugli altri. È questo il passaggio, traumatico quanto indispensabile, che deve compiere per poter crescere. E diventare padre.

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Ultima risposta 28/01/2006 10.32.42
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andreapau  @  23/01/2006 11:30:41
   5½ / 10
questo film vivacchia su un neorealismo superficiale e manieroso. Molto ben descritto il substrato inculturale di provenienza dei protagonisti, e la loro assoluta solitudine e abbandono e la mancanza totale di un barlume di valore. Una caminata sul bordo degli inferi con una caduta nel girone dei degenerati, dal quale non si riesce ad emergere. Tutto ben descritto, ma rovinato dal finale tronco, quasi fosse finita la pellicola. Da non rivedere certamente. E da non premiare in alcun modo. Continuiamo a farci del male, visto che ci piace tanto, ma non lamentiamoci se ci dicono che siamo noiosi

19 risposte al commento
Ultima risposta 12/02/2006 12.15.44
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Delfina  @  19/01/2006 11:41:12
   9 / 10
Un inno alla libertà, alla giovinezza, all'irresponsabilità.
Periferie povere del Belgio, argini, fiumi, verde, capannoni industriali, ragazzi e bambini 14 ennni, ladri e ladruncoli, e i ladri "grandi", gli adulti con i loro business legali o illegali, come quello dell'adozione.
Ma anche, alla fine, un inno addolorato e doloroso alla necessità del riconoscimento della responsabilità, alla durezza inidicibile della vita "normale".

Una via di mezzo tra Pasolini, Vigo e il Truffaut dei 400 colpi.

Straordinaria la scena della fuga in motorino con il vento tra i capelli biondi del protagonista maschile, che è, lui, per davvero "l'enfant" del film. Una delle scene più belle vistenei film degli ultimi anni.

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Ultima risposta 27/01/2006 19.57.06
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR echec_fou  @  10/01/2006 05:14:40
   9½ / 10
Non avevo mai visto un film dei Dardenne, neanche sapevo chi fossero.
Passeggiavo per Firenze e, ritrovandomi per caso di fronte all'entrata di un cinema, ho visto la locandina del loro ultimo film. L'enfant, una storia d'amore, leggevo. Poi lo sguardo sull'abbraccio, lei non mi sembrava per niente il mio tipo, lui a pelle un pò antipatico. Ma poi lo stemma, sicuro, centrale, che informava Palma d'Oro a Cannes. C'era chi mi diceva, col semplicismo che caratterizza i commenti gratuiti, I film dei Dardenne son tutti uguali. Così, il giorno dopo, entrai, mai fidarsi dei commenti gratuiti, e poi ha vinto a Cannes.
Ho visto un film stupendo, mi ha stravolto.
Poi ho letto la recensione di Gerardo e , non me ne voglia, mi son reso conto d'aver visto un film completamente diverso, vi scriverò per cui del film che ho visto io.
Il film inizia e le telecamere seguono, in quello stile che poi mi si dirà caratteristico dei registi, la storia e le vite di due ragazzi, non sappiamo nulla di loro, solo che hanno un bimbo, l'enfant, nato da pochi giorni. Subito dopo si viene a sapere i loro nomi, Bruno e Sonia, il loro è un amore fatto di poche parole, non se ne sa molto di più. Li continuiamo a seguire, ci fanno strada come per presentarci la loro casa e parlarci di come vivono. Nel primo caso si tratta di una periferia indeterminata, quasi metafisica, nel secondo, si tratta di una delinquenza fatta soprattutto di furti e ricettazione. La nostra morale ha un piccolo sussulto. Vediamo come Bruno si dia da fare, se il suo fosse un mestiere si potrebbe anche aggiungere con impegno, dividendosi tra l'organizzazione dei propri malaffari e, all'occorrenza, anche l'elemosina.
Capiamo anche che il suo è un vero e proprio stile di vita, parleremmo di filosofia se il termine non fosse troppo rigoroso, non cerca una sistemazione stabile Bruno, non è una formica, il suo è un eterno girovagare tra sobborghi e spese superflue, lui è una cicala. La nostra morale subisce un altro lieve colpetto. Oscar Wilde scrisse che non c'è nulla di più necessario del superfluo, ma la nostra morale lo ignora. Bruno ha un figlio, dovrebbe preoccuparsi di crescerlo, perché non lo fa, è questo che ci domandiamo.
Vediamo che la sua istintività lo porta a spendere 200 euro per il noleggio di una limousine, 250 euro per una giacca uguale alla sua per Sonia, ad affittare, forse per qualche altro centinaio d'euro il suo appartamento, insomma è una continua compravendita. C'è un prezzo per tutto, finisce per vendere, per caso e con agghiacciante naturalezza, anche suo figlio, 5000 euro è la somma che una famiglia benestante è disposta a pagare per averne uno. Non ci importa nulla che Bruno si sia voluto assicurare che la famiglia acquirente sia benestante, è un particolare irrilevante, è questo il momento in cui la nostra morale esplode, con impeto violento, inferocito dalla visione del dolore e della disperazione di una mamma, Sonia.
In seguito, c'è chi penserebbe che il motore della sua azione sia il senso di colpa per il gesto riprovevole, chi la paura per le conseguenze legali, chi ancora il bene per Sonia, Bruno non esita ad andar a riprendersi il figlio. Ma questo è il momento in cui inizia il suo calvario, la sua punizione, Sonia non ne vuol più sapere di lui, non ne ha certo tutti i torti, inoltre il suo ripensamento nella vendita ha causato una perdita per l'associazione malavitosa che aveva gestito l'insolito commercio, Bruno dovrà colmare questa perdita, oltre a restituire il denaro intascato, saranno ulteriori 5000 euro quelli che dovrà rendere, Finora hai rubato per te, ora ruberai per noi, queste le parole del suo strozzino. C'è da dire che la nostra morale ora sembrerebbe soddisfatta, così nutrita del godimento della punizione, quasi trascendentale, che la sorte sembra infliggere al nostro protagonista.
Bruno cerca allora di darsi da fare, l'unico modo che conosce è rubare, organizza così uno scippo in scooter con un ragazzino già suo complice in passato. Ma le cose volgono di male in peggio, non c'è nulla che va liscio nei momenti in cui la sorte dovrebbe dare il suo sacro e cieco contributo, si scatena un inseguimento che finisce per assumere tutti i connotati della caccia all'uomo.
Fortunatamente Bruno riesce a mettere in salvo la refurtiva e fuggire, sfortunatamente il suo giovane complice viene arrestato.
Avviene adesso una cosa che ha dell' incredibile:
Bruno il ladro, Bruno il delinquente, Bruno il ribelle, Bruno l'anarcoide, Bruno il rapinatore, Bruno il mostro, Bruno il venditore di bambini, Bruno l'egoista, insomma tutti questi Bruno e tutti insieme, si presentano in caserma, dove era ritenuto il suo complice, restituisce la refurtiva, lo scooter al suo amico, e si consegna, sentite sentite, come responsabile del furto, barattando così la libertà del ragazzo con la propria. Bruno si priva così dell'unica cosa che sembra possedere, la libertà per l'appunto.
E' la redenzione più bella, pagata con l'unica mercanzia che non ha prezzo in una società in cui ogni cosa sembra averne: l'altruismo.
La forza del film dei Dardenne, a mio avviso, è la sua Etica, che arriva dove la nostra morale sembra non arrivare, troppo concentrata nel giudizio delle azioni e dello stile di vita del singolo, ma incapace di vedere e giudicare, come al solito, la vera (forse) protagonista del film, la società e la sua morale fatta di prezzi e princìpi che sanno tanto di sopruso e costrizione, spaccarsi le ossa per 40 ore settimanali per un salario di poco più di 1000 euro al mese non lo è? Si finisce sempre per criticare chi si allontana, alla ricerca di un'alternativa che sembra non esitere e forse non esiste davvero, dalle cupe leggi del branco.
La storia finisce con l'incontro, alla fine, di Sonia e Bruno nel carcere in cui è detenuto, non parlano, il loro amore è fatto di poche parole, piangono, forse per quanto è successo, forse per essersi ritrovati, noi non possiamo saperlo. La loro è una storia d'amore, bella, perché germogliata all'interno di una gabbia, sia concreta, la prigione, sia metafisica, questa periferia così simile alla città vecchia di De andrè, fatta di "quartieri dove il sole del buon dio non dà i suoi raggi" poiché "ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi", una periferia popolata di esseri che sono demonizzati dal potere e dalla sua morale, ma che in fondo ne sono solo le inconsapevoli vittime. Si tratta anche di una periferia esistenziale, divenuta l'emblema del mondo in cui viviamo senza trovarci posto, nel caso non fossimo disposti a pagare. Bello proprio, il film ovviamente.

"ci hanno insegnato la meraviglia
verso l'uomo che ruba il pane,
ora sappiamo che è un delitto,
il non rubare quando si ha fame"
-de andré, nella mia ora di libertà-

"se puoi vedere, guarda.
se puoi guardare, osserva"
-saramago, prefazione a Cecità-

4 risposte al commento
Ultima risposta 09/02/2006 16.25.09
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Gruppo COLLABORATORI gerardo  @  08/01/2006 16:03:35
   8½ / 10
I fratelli Dardenne riprendono ancora una volta il tema del difficile rapporto "padre-figlio" e lo estremizzano accentuando le crudeltà del personaggio paterno, che accentra su di sè ogni colpa, ogni criminale disattenzione e vilipendio sentimentale, rispetto all'innocenza totale del figlio, creatura appena nata e assolutamente indifesa.
Con il consueto stile documentaristico i Dardenne seguono i personaggi, e in modo particolare Bruno, il protagonista, in tutte le loro azioni, descrivendo minuziosamente la gestualità quotidiana e gli espedienti di vita, di queste vite precarie ai margini della città/civiltà industriale fredda e asettica.
Bruno, il protagonista "neorealista" splendidamente interpretato da Jérémie Renier (era il "figlio" nello straordinario film d'esordio dei Dardenne, "La promesse"), è un delinquentello "ragazzo di vita" che si trova suo malgrado, e senza coscienza, a rivestire il ruolo di padre. Un ruolo così casuale e lontano dalla sua consapevolezza da non comprenderne a pieno la valenza. La vita di Bruno è fatta di piccoli furti ed espedienti di sopravvivenza. La sua dimora non è mai fissa e spesso è una baracca sul fiume ad accoglierlo, tra i cartoni e i rifiuti.
La gestualità di Bruno è pressoché istintiva, primitiva: vivendo alla giornata ogni azione è legata al bisogno del momento. Non ha regole, non ha una “programmazione” delle giornate: Bruno è un personaggio anarcoide che vive per cogliere ogni occasione per far soldi, ma la sua spasmodica ricerca di denaro non è finalizzata al compimento di un progetto, bensì alla pura e semplice, selvaggia, sopravvivenza.
La nascita del figlio lo coglie, se non impreparato, praticamente indifferente. La sua ragazza, Sonia, invece inizia ad assumersi le responsabilità di madre e a concepire – con grande gioia - un’idea di famiglia, nucleo minimo di rapporti regolati. Il suo è un vero e proprio progetto di vita, da istituzionalizzare – come primo atto ufficiale – con il riconoscimento del bambino; e poi, con la piena acquisizione della casa, luogo fisico e simbolico di stabilità. Ma proprio nel momento della regolarizzazione (minima) del progetto di vita, Bruno rivela tutta la sua attitudine inconsciamente anarchica alla precarietà esistenziale. Nei progetti di Sonia, che vede per sé e il suo compagno la concretezza e la nascita di una famiglia “normale”, c’è anche la possibilità di un lavoro per Bruno, il quale sdegnosamente rifiuta in quanto lavorare è “da sfi.gati”. Fiutando l’invitante e provvidenziale opportunità di un cospicuo guadagno, Bruno decide di vendere suo figlio, sottraendolo alle cure della madre, ignara delle intenzioni del compagno. Anche questo atto non è programmato: è l’occasione a presentarsi a portata di mano e Bruno non vi sa rinunciare, colto da una istintiva, irrefrenabile, pulsione al guadagno, cioè alla sopravvivenza. Per quella che è la sua visione etica della vita, Bruno non riesce a cogliere appieno la criminalità di quell’atto, con tutte le sue conseguenze, perché egli è spinto, come si è detto, da semplici pulsioni. Eppure c’è qualcosa che lo rende vagamente insicuro. Bruno, ignorando l’illegalità e la criminalità della vendita di suo figlio, sa che quel gesto avrà delle conseguenze per la sua compagna, ma l’incoscienza di sempre gli dà fiducia nel suo istinto. In effetti, l’unica persona a cui sa di dover “rispondere” dei suoi atti è proprio Sonia. Quando la ragazza, preoccupata, lo chiama sul cellulare, Bruno chiude la telefonata.
Ma anche di fronte alla realtà dei fatti che precipitano e lo inchiodano alle responsabilità e alla colpa, Bruno continua a vivere nel suo mondo senza regole e senza etica, ancora una volta inconsciamente: tutto quel che sa dire a Sonia, per consolarla e mitigare le proprie colpe, è che potranno sempre fare un altro figlio. Una soluzione abbastanza infantile, se vogliamo. Il processo di maturazione che ha investito Sonia, con la maternità, è ancora lontano dall’affacciarsi nella vita di Bruno. Il recupero del bambino, lungi dall’essere un atto di presa di coscienza e un rimedio “morale” al crimine commesso, è per Bruno semplicemente un estremo tentativo di sfuggire alla giustizia, ennesimo espediente di sopravvivenza, dal momento che su di lui pende una denuncia della compagna.
Ma Bruno è andato oltre le proprie possibilità ed è finito in un giro più grande e pericoloso di lui. Quando si trova costretto a rubare “per mestiere”, per “commissione”, e non più per sé, per la semplice sussistenza, Bruno finisce per perdere il controllo della situazione e la sua naturalezza e incoscienza delinquenziale: il suo crimine, il suo agire, diventano programmatici e finalizzati al risarcimento dei “pesci” più grossi. Sarà proprio questo “meccanismo” a innescare, col precipitare degli eventi, la presa di coscienza progressiva, l’espiazione, di Bruno, “ragazzo di vita” del nord Europa.
Il naturalismo proprio dello stile Dardenne, con la freddezza delle immagini e della fotografia (bellissima), l’assenza di musica nella colonna sonora, non concede nulla a melodrammi e facili sentimentalismi, o anche a possibili immedesimazioni coi personaggi.

8 risposte al commento
Ultima risposta 27/01/2006 20.04.06
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Gruppo STAFF, Moderatore Invia una mail all'autore del commento Lot  @  18/12/2005 12:01:46
   8 / 10
Vivere di espedienti, alla giornata, tra rifugi di fortuna e piccoli furti da trasformare in pasto o in qualche sfizio, un lettore cd=20 euro, una telecamera=400 euro, un bambino=5000euro... no aspetta... un bambino... non è la stessa cosa... o forse sì?
Ritratto di periferia sbandata molto duro dei Dardenne, che non lasciano spazio a pietismi o a facili empatie; non c'è evoluzione, redenzione, pentimento, presa di coscienza, non c'è nulla, solo una fredda istantanea.
Oltretutto la regia volutamente 'sporca', l'assenza di colonna sonora e la fotografia livida danno al film un taglio documentaristico che lo rende ancora più crudo.
Da vedere.

7 risposte al commento
Ultima risposta 24/01/2006 12.00.16
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