l'adultera regia di Ingmar Bergman USA, Svezia 1970
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l'adultera (1970)

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locandina del film L'ADULTERA

Titolo Originale: THE TOUCH

RegiaIngmar Bergman

InterpretiMax Von Sydow, Elliott Gould, Bibi Andersson

Durata: h 1.33
NazionalitàUSA, Svezia 1970
Generedrammatico
Al cinema nel Novembre 1970

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Trama del film L'adultera

Il tranquillo e felice ménage familiare di Karin e Andrea, una coppia che vive in un paesino della provincia svedese, viene sconvolto dall'arrivo di David, un giovane archeologo ebreo. Tra Karin e David inizia una tempestosa relazione, destinata a durare fino a quando Andrea, venuto a conoscenza della cosa, non costringe la moglie a prendere una decisione definitiva. Dovrà scegliere tra lui e l'amante.

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Voto Visitatori:   6,08 / 10 (6 voti)6,08Grafico
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Voti e commenti su L'adultera, 6 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Filman  @  26/11/2020 18:31:02
   5 / 10
L'inevitabile tonfo che Ingmar Bergman compie tentando di affacciarsi al pubblico internazionale con THE TOUCH è conseguenza di una operazione che snatura il format narrativo delle storie d'amore del regista, semplificando a semplici interazioni emozionali quelle che per l'autore sono sempre stati turbamenti e gesti incoerenti a metà tra l'amore e l'odio.
La fattura è inutilmente più allegra e più leggera. Non è un film d'autore ma un film di serie B.

kafka62  @  03/03/2018 15:36:25
   5½ / 10
"Ti è piaciuto il film?" "No, troppi sbaciucchiamenti". Questo scambio di battute tra la protagonista Karin e il figlioletto Anders appare dotato di una involontaria quanto ironica carica autoreferenziale, giacché "L'adultera" – forse il più brutto film in assoluto di Ingmar Bergman – è per almeno un'ora niente più che la versione mediocrissima, ancorché ammantata di velleitarie pretese di cinema d'autore, di una normale pellicola hollywoodiana di amori e infedeltà coniugali. Il minimalismo, si sa, non si addice al regista svedese, e difatti questa storia di "gente comune" che si innamora, si tradisce e si concede alla passione, con tutti gli annessi ed ovvi strascichi di dubbi, rimorsi e reticenze, è raccontata in maniera un po' goffa. Che Bergman sia a disagio lo si nota già dalla sceneggiatura, desolatamente priva di lampi di genio, carente nell'approfondimento analitico (rimangono oscure ad esempio, al di là dell'immediata e comoda spiegazione della morte della famiglia nei lager nazisti, le ragioni del comportamento scostante e autolesionista di David) e a volte affetta persino da una deprimente meccanicità (si consideri la sequenza seguente: Karin saluta dalla finestra il marito Andreas che si allontana in automobile, quindi si volta e la camera va a inquadrare il telefono, il quale squilla puntualmente nell'appartamento di David; il tutto dopo che la scena precedente si era conclusa con la frase: "Ti telefono domani mattina").
Per contrastare questi evidenti fenomeni involutivi, Bergman si sforza di utilizzare uno stile per lui inusuale (anche se certe anticipazioni nouvellevaguiste si erano avute, sia pure con ben diversi risultati, in film come "La vergogna"): macchina a mano, montaggio veloce e a tratti frenetico, camera che salta senza sosta da un personaggio all'altro. L'effetto finale è francamente dissonante, in quanto alcune scene (il risveglio della famiglia al suono di una musichetta allegra ed orecchiabile oppure la scelta del vestito per il primo appuntamento) stridono con altre in cui, sebbene con impaccio, il regista cerca di conferire un tono più profondo e riflessivo alla pellicola.
Nella seconda parte del film, queste stridenti ambiguità si attenuano fin quasi a scomparire. Non che da questo momento in poi ci sia dato di assistere a cose eccezionali, tutt'altro; ma piuttosto di quel Bergman spaesato, confuso e velleitario, appaiono di gran lunga preferibili la maniera e il dèja vu, i simbolismi (gli insetti che rodono dall'interno la statua di legno, il graffito sul muro della chiesa) e le insistite iterazioni (lei si dice convinta che lui sia in procinto di lasciarla, ma quando ciò avviene non può fare a meno di partire alla volta di Londra per capire il perché; più avanti lui ritorna, ma ora è lei a non volerne più sapere), i dialoghi-monologhi di seriosa intensità e gli sviluppi tragici della storia (Karin lascia il marito per andare in cerca dell'amante, ma quando incontra la gelosa sorella di questi capisce di aver perso anche lui). Come si può vedere, il film è ancora assai lontano dal raggiungimento di un accettabile equilibrio (per di più, molte cose rimangono inespresse: che fine fa il bambino che Karin aspetta? e la malattia ereditaria di David?), ma almeno riacquista uno stile più consono al regista, oltre che una maggiore efficacia fotografica (al posto dell'insipido technicolor dell'inizio).
"L'adultera" fa ancora in tempo ad archiviare alcune buone scene (specie quelle che vedono Max Von Sydow, prima opaco e senile, trasformarsi all'improvviso in personaggio lucido, determinato e quasi crudele), ad introdurre l'importante motivo della scelta ("Karin ha compreso che rompere l'attesa significa fare una scelta… che manderebbe a monte i suoi egoistici equilibri interni, secondo i quali due mezzi amori, nel grembo di una società tanto tollerante e distratta, sono meglio di uno problematicamente accettato", Tino Ranieri: Ingmar Bergman, La Nuova Italia, pag. 101) e a inventare un finale non banale, caratterizzato da una inusitata sospensione del senso (David si allontana ripetendo all'indirizzo di Karin: "Tu menti!"; l'interesse del film si sposta quindi verso problematiche più complesse, non più "come si comporteranno adesso i protagonisti?" bensì "qual è il loro atteggiamento nei confronti della nuova realtà che si trovano a vivere? di ipocrita accettazione o di sincera adesione?"). Purtroppo il cambiamento di registro risulta tardivo, in quanto interviene quando l'interesse verso i personaggi (pur ravvivato da sporadici colpi di scena: veniamo ad esempio a sapere che David ha tentato il suicidio e che soffre di una misteriosa malattia) è ormai definitivamente scemato. Quanto detto sopra porta a fare due distinte considerazioni: la prima è che "L'adultera" è un'astuta operazione commerciale e niente di più; la seconda è che né le love stories (ancorché problematizzate e venate del suo tipico pessimismo esistenziale) né il cinema hollywoodiano si confanno alla personalità registica, profondamente e autenticamente europea, di Ingmar Bergman.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  26/04/2012 11:13:05
   6 / 10
Mi accodo a due dei commenti sottostanti ritenendo "L'Adultera" come una delle prove meno riuscite di Bergman. Si potrebbe dire, senza timore di essere smentiti, un film minore.
L'etichetta "commerciale" mai come in questo caso gli rende giustizia: semplicemente Bergman fa un film per il mercato americano adattando il suo stile a quello di un pubblico più vasto. Ne esce fuori, prevedibilmente, un film non brutto ma completamente privo di mordente, fin troppo scontato e dai temi che lo svedese mai aveva banalizzato o affrontato con tanta superficialità come nel caso in questione.
In parte forse ciò è dovuto anche a dialoghi mosci, poco interessanti, e al predominio del rapporto fisico rispetto a quello spirituale (molte le scene di nudo). Ma non è solo questo: si vede che il regista si sente costretto quasi in una camicia di forza, a tratti vorrebbe liberare l'estro sperimentale di quegli anni ma non vi riesce proprio.
Ne sono la conferma i già citati dialoghi poverissimi di spessore, lo stile di riprese che raramente si conferma ardito come ci aveva abituato Bergman in quegli anni, il tema che stavolta pur non annoiando mai del tutto sfiora i giri a vuoto di una storia che non sembra mai scavare a fondo.
Le prove attoriali si salvano come al solito, questo si.

Fu un clamoroso insuccesso di pubblico e critica; ma deve far riflettere che con il successivo "Sussurri e Grida", quando torna il solito Bergman che fa film per sé stesso e non per un pubblico ipotetico, il trionfo tornò alla grande.

Quindi senza paura ammettiamo anche che "L'Adultera" è stato fino a quel momento il peggior Bergman di sempre con "A proposito di tutte queste signore".

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  17/02/2011 22:36:45
   6 / 10
Non è certo uno dei film meglio riusciti di Bergman. Il progetto di adattarsi ai canoni del cinema commerciale può dirsi fallito: troppo lento e monotono per essere un film di cassetta, troppo superficiale e piatto per essere un film di cultura. Insomma né carne, né pesce.
In questo film manca quasi totalmente la profondità, l'universalità e la ricchezza delle tematiche: la caratteristica affascinante di quasi tutti i film di Bergman. Si narra una comune storia di triangolo: marito-moglie-amante dove ci si sofferma più che altro sui risvolti psicologici, ma anche fattuali e pratici che tale menage comporta. E' il suo film dove la carne, le persone nude hanno più spessore materiale e sensuale. Manca invece quasi del tutto lo spessore spiritualista e riflessivo.
Questo film mi ha fatto capire che il cinema di Bergman è un cinema molto intellettuale e razionale, nel senso "investigativo" del termine. Qualsiasi aspetto del mondo umano viene sempre espresso, portato alla luce, reso consapevole, analizzato; quasi sempre questo avviene in presa diretta con effetti drammatici sulla pella dei personaggi. Nei suoi film c'è sempre la grande forza del sentimento, la forza dell'espressione, la forza dell'analisi e la forza della rappresentazione. I personaggi parlano molto, pensano molto, esprimono molto e lo spettatore viene quasi travolto da una fluire continuo e intenso di messaggi.
In questo film si sceglie invece di far agire i personaggi quasi a loro insaputa, preda di sentimenti e atti di cui non si rendono conto e che non riescono a conoscere e a esprimere. Ne risente il coinvolgimento dello spettatore che fa fatica a capire il perché delle (non) scelte. David (il personaggio interpretato da Elliot Gould) rimane misterioso e sconosciuto. Si fa molta fatica a capirlo. Meglio Karin, il personaggio interpretato da Bibi Anderson, la vera protagonista. Di lei si sa che vorrebbe evadere dal tran-tran borghese (la vita borghese è sul banco degli imputati) e che vorrebbe "consolare" una persona infelice. Ma anche qui si fa fatica a capire e a immedesimarsi nel suo "non poter fare a meno" di un amante che la tratta male e che la trascura. La scelta finale di ritornare dal tranquillo marito, alla sicurezza della routine è probabilmente la scelta migliore.
Da notare l'adesione di Bergman e Nykvist alla fotografia piena, nitida e colorata, tipica dei primi anni '70. Epoca in cui la bellezza maschile era una bellezza "pelosa". Oggi quasi più nessuno spoglierebbe Elliot Gould in un film.

jess  @  17/08/2007 14:48:38
   9 / 10
Commovente.

1 risposta al commento
Ultima risposta 17/08/2007 15.34.25
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Crimson  @  08/04/2006 10:11:11
   5 / 10
E' un colpo al cuore dover dare un'insufficienza ad un film di uno dei miei registi preferiti, ma è inevitabile, dal momento che questo è sicuramente il film più brutto. O, se preferite, il meno bello (mettiamola così và).
Ero prevenuto nei suoi confronti, dal momento che avevo letto dappertutto giudizi sconfortanti, ma alla fine ho ponderato che non fosse un'idea malvagia quella di vedere un film che annovera tra i protagonisti i grandi Max Von Sydow e Bibi Andersson.
Ecco, e sono loro l'unico motivo per il quale forse varrebbe la pena la visione, perchè per il resto ogni cosa è trascurabile.
Innanzitutto la sceneggiatura è molto fiacca. Il tema affrontato non è nuovo per il regista e ci si attenderebbe di più. Invece viene affrontato in modo tremendamente banale, senza un sussulto. Gli stessi dialoghi che di solito costituiscono uno dei cavalli di battaglia, questa volta sono privi di mordente, se si esclude una sola sequenza tra i due coniugi, nella parte finale. Ad affondare il film ci sono per giunta un finale improponibile e una colonna sonora orripilante che fà capolino di tanto in tanto.
Tirando le somme, si salva pochissimo. Le scene di nudo forse, mai così audaci in un film di Bergman (a parte il successivo "un mondo di marionette") e l'inizio della relazione scandalosa, quando la Andersson è costretta a sdoppiarsi tra marito e amante, colmando il senso di vuoto causato dalla trascuratezza del marito con un ruolo di piena padronanza sull'amante. Ma in seguito tutto diventa troppo ripetitivo e per tanti versi scontato.
Da scartare.

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