la ballata di stroszek regia di Werner Herzog Germania 1977
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la ballata di stroszek (1977)

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locandina del film LA BALLATA DI STROSZEK

Titolo Originale: STROSZEK

RegiaWerner Herzog

InterpretiBruno S., Eva Mattes, Clemens Sheitz

Durata: h 1.48
NazionalitàGermania 1977
Generedrammatico
Al cinema nel Giugno 1977

•  Altri film di Werner Herzog

Trama del film La ballata di stroszek

L'ingenuo Stroszek torna in libertà dopo un periodo di detenzione e stringe amicizia con una prostituta. Lei è perseguitata dal protettore e per sfuggire una volta per tutte dalla mala decide di scappare con il nuovo amico negli Stati Uniti. Per la coppia, però, la vita oltreoceano sarà tutt'altro che facile.

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Voto Visitatori:   8,45 / 10 (21 voti)8,45Grafico
Voto Recensore:   8,00 / 10  8,00
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Voti e commenti su La ballata di stroszek, 21 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Oskarsson88  @  24/02/2024 18:15:46
   7 / 10
Triste e beffardo destino dell'alcolizzato Bruno che da Berlino all'America non troverà soddisfazione ma solamente fallimento. Amarissimo...

libero1975  @  11/02/2020 16:59:43
   10 / 10
_Hollow_ ha spiegato perfettamente cosa significa questo film. Davvero un capolavoro.

Gruppo COLLABORATORI Compagneros  @  06/07/2019 17:37:46
   7½ / 10
Un Herzog in forma cuce il film attorno a Bruno S. e ne esce una riflessione disperata sull'esistenza. Film duro e cupo, tanto nella prima parte, ambientata in una tristissima e grigia Berlino periferica, quanto nella seconda parte, in un midwest desolato e polveroso.

GianniArshavin  @  06/02/2017 22:07:08
   8 / 10
Straordinario film diretto dal maestro Werner Herzog nel 1977.
Questo dramma umano narra delle vicende di Stroszek, che alla fine altri non è che l'attore non professionista Bruno S., scoperto da Herzog e lanciato come protagonista ne L'enigma di Kaspar Hauser.
La ballata del nostro povero protagonista è semplicemente la distruzione del suo stesso sogno di rivalsa, un sogno che dalla Germania all'America riserva solo amare e cocenti delusioni.
Il regista sembra volerci dire che il problema non risiede nel luogo, nelle aspirazioni personali ma bensì negli umani stessi, dediti a schiacciare i più deboli, una storia di sfruttamento e miseria che dalla fredda Berlino alle campagne desolate degli Stati Uniti centrali si ripete in tutta la sua brutalità giorno dopo giorno, epoca dopo epoca.
Vittima di questa vita ingiusta è l'ingenuo protagonista, un uomo buono e profondamente sensibile ma troppo debole per riuscire a sovvertire le cose.
Herzog riesce a raccontare questo dramma nel modo più crudo e allo stesso tempo commovente possibile, un esempio di delicatezza malgrado la bruttura della storia che ha pochi eguali.
Tutto, dai personaggi ai luoghi, trasuda disperazione, cattiveria e indifferenza. Ogni elemento del film è quadrato alla perfezione e contribuisce a creare un'epopea talmente amara che sarà difficile dimenticarla.
Gli unici barlumi di speranza lasciati dal grande cineasta tedesco si possono riscontrare nel finale, una conclusione che restituisce parzialmente la dignità allo sventurato protagonista. Poesia pura la metafora del luna park, davvero cinema con la C maiuscola.

Con la Ballata di Stroszek ci troviamo di fronte un lavoro di qualità eccelsa. Un'opera non adatta a tutti ma che farà innamorare gli amanti del cinema puro.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  25/05/2013 16:52:06
   7 / 10
Stroszek è un reietto della societa' che cerca, come molti, il "Sogno Americano" in compagnia di altri due disillusi dalla vita...una ragazza che non riesce a smettere di prosituirsi e un grottesco inventore.
Scopriranno che in America le cose vanno piu' o meno come in Europa e quel sogno sara' destinato ad essere cestinato...a proseguire senza una meta, un po' come quella funivia (splendido finale).
Devo ammettere che anche io ho provato una certa repulsione per il protagonista, forse perche non sa recitare...a mio avviso è un importante punto a sfavore del film.
Per il resto il solito magnifico lavoro di Herzog.
Surreale

Invia una mail all'autore del commento Suskis  @  23/10/2012 00:15:34
   7½ / 10
Forse un pò al di sotto dell'Enigma di Kaspar Hauser (dopotutto è quasi un documentario, considerato quanto della vita reale del protagonista è stata ripresa) resta comunque un gran film sulla sconfitta dell'umanità. Nessun posto per i protagonisti, emarginati da un mondo non meno assurdo di loro stessi. Bruno S. sempre efficacissimo. A dir poco estraniante.

_Hollow_  @  23/12/2011 02:26:53
   9 / 10
Da parecchio non sentivo il bisogno di commentare un film, ma il film in questione e gli altri (pochi) commenti a riguardo sono tentatori.
Condivido in generale su ciò che viene detto a riguardo, ma non nello specifico su certi luoghi comuni circa il significato:
Bruno S. non è un ingenuo, nemmeno un"diverso" : è una persona ed è diventato un diverso, non per sua scelta, ma per i metodi correttivi della società.
Non vedo nel film una distruzione del sogno americano: il sogno americano non è mai esistito, altrimenti non verrebbe chiamato "sogno". Di fatto è un mito, tale era pure nel '77. Bruno S. probabilmente lo sapeva, al contrario di Eva, ma non gli restava che ballare.
La denuncia non è alla società americana, ma alla società. Non è la prima ad essere più sofisticata e subdola nel punire, ma la seconda quando la si vive nella fase adulta.
Recentemente ho visto scene di Stroszek frammentate in un video musicale a certe de "I quattrocento colpi", e lo trovo molto adatto. Antoine Doinel che destino ha, se non diventare un Bruno S.? Manca giusto una spruzzata di "The Loneliness of the Long Distance Runner", magari con un "Fino all'ultimo respiro" come dessert.
Idem dicasi per il finale: gli animali non rappresentano Stroszek, o meglio, lo rappresentano, ma per il semplice motivo che sia loro, sia Bruno, rappresentano l'umanità intera. L'uomo ridotto a perdere qualsiasi cosa lo caratterizzi come tale, persino come animale, per diventare un ingranaggio di una macchina a gettoni del capitalismo. Una squallida attrazione di uno squallido Luna Park. Ian Curtis l'aveva sicuramente afferrato. Ma d'altronde, Ian Curtis l'aveva capito già da prima, altrimenti il suo gruppo non avrebbe portato come nome l'esempio più lampante di scherzo tragico e assurdo, Jokeriano, di ciò che la natura umana è capace produrre.
E intanto la gallina balla, finché non si spengono le luci e non si chiude il sipario ...

P.S.: Il finale mi ricorda sempre molto "quella" scena da Eraserhead, di Lynch.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Gatsu  @  05/08/2010 16:30:28
   8½ / 10
"Il mondo andrebbe molto meglio se potessimo dare una risposta alle nostre domande"

Film di Herzog triste e molto amaro che racconta la storia di un reinserimento di un uomo nella società e tutte le sue problematiche. Bruno S. ( già pazzesco ne "L'enigma di Kaspar Hauser" ) ci concede una recitazione, più con il corpo che con le parole, sbalorditiva rendendo dannatamente intenso e drammatico tutto questo lavoro. Interessanti tutte le ambientazioni che sembrano essere testimoni muti della sorte del povero Bruno. Grande Herzog, gran film.

3 risposte al commento
Ultima risposta 07/08/2010 19.05.17
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  06/06/2010 11:51:42
   8 / 10
Dall'Europa all'America: un viaggio per cambiare prospettiva,per finirla con le umiliazioni di una vita che ha lasciato il segno,per tornare a vivere una vita normale e senza più cattiveria.
Dall'Europa all'America uno dei viaggi più inutili e già segnati della storia del cinema.

Herzog costruisce con la sua regia una Berlino asfissiante e degradante,poi un'America dagli spazi viceversa ampi ma alla fine pure peggiore.
Le umiliazioni e le vessazioni che Bruno deve subire dall'inizio sono talmente feroci (e lui è talmente pietoso e inerme) che diventano quasi insostenibili. Con la sua amante e un amico anziano,questo trio da film comico decide di cambiare vita e andare nella famosa Terra delle opportunità.
L'errore enorme di Bruno è quello di non mettere in preventivo che non è un'ambiente, un luogo che lo sta lentamente distruggendo ma l'uomo e la società. Così per lui non ci sarà alcun cambiamento,bensì un peggioramento delle sue condizioni. Arriverà alla disperazione totale,perderà tutto in maniera lenta e graduale.
Alla fine non gli resterà che una soluzione. Ma Herzog qui si dimostra incredibilmente sensibile: per una volta la fine del protagonista (per quanto terribile) è dignitosa,non ci viene mostrata ma la intuiamo come con un rumore secco. Un ultimo atto di dignità che però compie il regista,ma nessuno nel film ha osato fare.

Bruno S. è sempre lui,un Kaspar Hauser che non ha bisogno di recitare dato che sono talmente tanti gli elementi autobiografici che riguardano il suo personaggio che il film assume quasi i caratteri di un documentario.
Herzog invece regala una regia impeccabile,con una Natura che ancora una volta si fa vedere e sentire (ma solo in America) in contrasto con l'ambiente urbano disperato di Bruno.
La scena del Luna park è strana e perfetta: tutti quegli animali sono Bruno.

BlackNight90  @  05/05/2010 00:52:57
   9 / 10
Quando la vita disgraziatamente arriva a colpirti, gli effetti sono devastanti. Peggio di un calcio nelle palle.
Eppure non si tratta di accanimento nei nostri confronti, fa parte delle regole del gioco: siamo come animali in gabbia costretti a ballare al suono di una stupida musichetta. La vita, come la natura, non è cattiva nei nostri confronti, è piuttosto indifferente e spesso le attribuiamo ingiustamente le nostre colpe.
Herzog si mette dalla parte degli emarginati, dei diversi, delle persone speciali, osserva lo scorrere delle loro vite umili e lente. Ma quanta poesia riesce a cogliere in quelle piccole realtà il suo sguardo!
Adottando uno stile quasi documentaristico, specie nella seconda parte che assume le sembianze di un viaggio on the road con destinazione l'ignoto (un viaggio che per le sensazioni provate mi ha ricordato Una storia vera di Lynch), Herzog mischia realtà e poesia. Anche perché il protagonista è realmente uno sconfitto dalla vita: Bruno S. ha passato un'adolescenza che dire movimentata è poco, tra prigioni e riformatori. Il suo Stroszek è un Kaspar consapevole del suo fallimento, e da ciò deriva il suo dolore, e anche il nostro.
Non per cinismo ma per comprensione verso il suo protagonista Herzog mostra la fine delle sue illusioni, distruggendone una delle più grandi, il sogno americano (con molta più efficacia di un American beauty qualsiasi).
Il finale è metaforico e bellissimo: Stroszek vede se stesso in un pollo addomesticato a suonare un pianoforte, come faceva lui quando si trovava a Berlino ed era ancora in grado di sognare.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  28/01/2010 00:06:49
   8 / 10
Una ballata straziante quella di Stroszek, dalla Germania fino in America per rivivere lo stesso identico percorso inesorabile fatto di emarginazione e sopraffazione. E' la fine dell'ideale della cosidetta terra delle opportunità: un filo invisibile unisce le lande desolate del Wisconsin con la grigia e tetra Berlino che stragola la speranza dei protagonisti, cambiano i modi ("più raffinati e per questo peggiori") ma non la sostanza. Commovente l'interpretazione di Bruno S. dallo sguardo sempre smarrito e spaesato, ma pienamente consapevole e lucido dell'evolversi degli eventi.

Gruppo REDAZIONE VincentVega1  @  14/01/2010 14:50:39
   9 / 10
Quando Herzog si accorse che il protagonista perfetto per il suo "Woyzeck" era Kinski e non Bruno S. le cose si complicarono. L'attore (difficile definirlo in quel modo, era più che altro un amico) però aveva già preso le ferie dalla acciaieria dove lavorava e Werner non poteva tradirlo. In poco più di una settimana scrisse una nuova sceneggiatura plasmata sulle sue caratteristiche e ne venne fuori "la ballata di Stroszek", per me un film magnifico.

Un uomo che non ha più nulla da chiedere alla sua patria natia, rea di averlo umiliato, magari anche giustamente (ma chi riceve una punizione si professa sempre innocente), decide di coltivare il sogno americano e trasferirsi negli USA. Tante le speranze e tanta la felicità.

In questo nuovo mondo, inesplorato, sarà facile accorgersi che molto spesso siamo noi i fautori principali dei nostri errori e non gli altri.

Uno stile a tratti essenziale, lirico in altri (bellissima la rapina squinternata a proposito), il film mantiene sempre un sapore di consistenza unico, come se quello che vuole essere trasmesso da Herzog sia esattamente ciò che stiamo vedendo.

Mezzo voto in più solo per la sequenza finale, una delle più strane e poetiche che mi sia mai capitato di vedere.

1 risposta al commento
Ultima risposta 14/01/2010 15.08.35
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carriebess  @  18/07/2009 19:36:32
   10 / 10
l'ingenuità del protagonista speranzoso di rifarsi una vita che sfocia infine nell'amarezza più triste con conseguente totale fallimento.

bulldog  @  16/07/2009 16:13:46
   8½ / 10
Gran film,ancora un altra grande interpretazione per Bruno S.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Gilles  @  17/06/2009 00:00:41
   8 / 10
Grande rappresentazione del piccolo, sia come idea che come uomo, all'interno di un ambiente senza coordinate. La regia di Herzog mette in mostra, con una essenzialità disarmante, la semplicità della crudeltà.

Vedi recensione

Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  17/05/2009 20:24:39
   7½ / 10
La prima esperienza cinematografica di Bruno Stroszek con Werner Herzog fu, nel 1974, quella di “Jeder für sich und Gott gegen alle” (letteralmente: “Ognuno per sé e Dio contro tutti”; titolo italiano: “L’enigma di Kaspar Hauser”): uno splendido –e indimenticabile- esempio di film imperniato su una figura umana positiva, incarnata magnificamente dallo stesso Stroszek, che richiama il modello “rousseauiano” del buon selvaggio. Qualche anno dopo, il regista tedesco decise di coinvolgerlo in un altro progetto: la trasposizione del dramma teatrale di Georg Buchner “Woyzeck”. Ed infatti le analogie tra il personaggio di Kaspar Hauser e il “Woyzeck” herzoghiano sono notevoli: nei dialoghi che questi ha con alcuni esponenti della borghesia di Lipsia (precipuamente, un medico e un militare) emerge un modo di rapportarsi alle dinamiche dei comportamenti umani, che è estremamente disarmante nella sua semplicità e incontrovertibilità. Ma quest’ultimo, rispetto a Kaspar, presenta una dimensione interiore più articolata e controversa, perché direttamente collegata all’apparato istintuale quale espressione delle ingovernabili e imprevedibili forze della Natura, che sono intrinseche in ogni soggetto. Proprio per questa complessa caratterizzazione del personaggio, che implicava un lavoro sicuramente più impegnativo da parte dell’attore, Herzog decise “in extremis” di affidare il ruolo a Klaus Kinski. Per Bruno Stroszek fu invece concepita una nuova sceneggiatura (scritta in brevissimo tempo) avente per protagonista una figura modellata appositamente su di lui, il cui (cog)nome costituisce il titolo stesso dell’opera.
La pellicola si configura come un apologo sulla diversità. Bruno Stroszek è, come Kaspar Hauser, un buono che la società, costruita sul “mito” della rincorsa al denaro, non accetta e vede come un soggetto da emarginare, perché lontano dai modelli capitalistici che la informano. In questo senso, il viaggio verso l’America, che il protagonista intraprende con la donna amata (Eva Mattes), assume un significato chiaro e preciso: quello di demistificare l’”american dream”, mettendone in risalto la portata ingannevole e subdola. La ricchezza che Bruno ed Eva accumulano inizialmente è solo un miraggio, un’illusione, e scivolerà progressivamente dalle loro mani fino a che questi non torneranno ad essere dei nullatenenti. Di fronte al declino, le reazioni dei due conviventi divergeranno drammaticamente: Eva, facendo leva su un’altra fallace e caduca ricchezza, la propria bellezza, scapperà via con altri uomini che, alla stessa stregua dei suoi ex-protettori berlinesi, ne garantiranno il mantenimento fintanto che vorranno sfruttare le sue “grazie”; Stroszek invece, una volta rimasto solo e spogliato di tutto, metterà grottescamente in pratica la sua personale protesta contro lo “status quo”, attraverso una rapina maldestra e una sorta di burlonesco sabotaggio di un Luna park: gli ultimi atti di una vita da reietto, che si concluderà proprio come quella di Woyzeck, esemplando così l’unico modo per fuggire una realtà che non contempla “idioti” e utopisti.
Sotto il profilo formale, spicca la superba fotografia di Thomas Mauch, che soprattutto nelle sequenze del viaggio presenta un impatto visivo davvero sorprendente. Quanto alla regia invece, i momenti migliori sono indubbiamente quelli che descrivono il progressivo spossessamento degli averi di Stroszek, che termina con la rimozione della casa prefabbricata; la scena della rapina, a un tempo triste e ridicola; e infine le sequenze all’interno del Luna park, ove il movimento meccanico e insensato degli animali, crudelmente e coattivamente animati, rimandano all’immagine di un mondo mosso, in maniera cinica e spietata, dall’unico elemento fondante dell’intero sistema: il denaro.
Le uniche pecche del film stanno a mio avviso nello stile narrativo, a volte troppo lineare e piatto, oltre che prolisso, e, salvo lo splendido finale, molto meno visionario rispetto ad altre opere del regista di Monaco.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Blutarski  @  20/06/2008 21:54:13
   8½ / 10
Ho visto questo film con molta curiosità perchè ammetto che mi sto cimentando solo ora nel cinema di questo introverso regista. Ciò che subito mi ha colpito di questa pellicola è la sua carica espressiva. Il malinconico Stroszek è uno che dalla vita le prende e le prenderà sempre, un fantozzi in versione ungherese e quindi tragico. Vissuto sempre ai margini della società, disadattato, imprigionato e poi risputato fuori come un acino d'uva, Stroszek vive le difficoltà di vivere di un emarginato. A dire il vero anche le figure di Eva e Scheitz sono le tipiche icone di maltrattati ed emarginati, così Herzog li riunisce nel sogno autentico di volersi affermare, la tipica seconda possibilità che coincide poi con il sogno americano che faceva parte dell'immaginario collettivo della Germania(e non solo) di quei tempi. Mito che Herzog smonta con sottile ironia misto a inconsolabile infelicità, che ridicolizza in un certo senso. E' un film sulla solitudine, lo straniamento di un uomo che raggiunge il suo culmine in un paese in cui sei perdipiù forestiero, in cui i polli suonano il piano o ballano a gettone.

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Gruppo REDAZIONE amterme63  @  05/06/2008 00:14:37
   8 / 10
Chi l’ha detto che Herzog è il regista delle grandi figure fuori dell’ordinario, delle imprese folli, del profondo pessimismo verso l’umanità, insomma un cineasta astratto e filosofico? Se vuole, invece, riesce anche a parlarci della vita quotidiana, di gente umile e dimessa e di fatti prosaici. Lo fa rimanendo comunque fedele ai suoi principi di disvelamento senza reticenze, di smitizzazione delle convenzioni più diffuse e comuni. Lui sta dalla parte dei più deboli e degli emarginati, in altre parole di chi ha il coraggio di vivere in maniera indipendente e fuori dagli schemi. Il suo atteggiamento nei confronti dei suoi “eroi”, dei personaggi che ammira, è pur sempre oggettivo e quindi non nasconde mai le contraddizioni, i grandi disagi, gli scacchi e l’inevitabile sconfitta di chi non si vuole “uniformare” alla media pecoreccia.
Nella Ballata di Stroszek, Herzog ci porta nella Berlino e nel Wisconsin degli anni ’70 e questa realtà ce la fa vedere dal punto di vista di un reietto della società. Già con Kaspar Hauser aveva fatto la scoperta di Bruno S.; la sua vita lo aveva così affascinato che è diventata il soggetto per questo film. Bruno S. aveva avuto un’infanzia difficilissima, picchiato e rifiutato dalla madre prostituta. Il resto della vita lo aveva passato fra cliniche psichiatriche e riformatori. Eppure era una persona a suo modo buona anche se debole, intelligente anche se non si sapeva esprimere. Soprattutto non si voleva uniformare a una vita “perbene”. Non si lava, puzza, è trasandato, disordinato, spesso ubriaco, vive di espedienti cantando nei cortili di Berlino. Nel film recita se stesso ed è girato nel suo appartamento reale. Nella finzione prende la parti di Eva, una povera prostituta vittima dei suoi due protettori. Eva è una figura in bilico fra voglia di normalità, tranquillità, amore e il richiamo di forze istintuali che la portano a desiderare di “degradarsi” con gli uomini.
Per cercare di togliersi da un ambiente impossibile e senza sbocchi, decidono di affidarsi al “sogno americano”. Il primo impatto con il paese dei grandi spazi non è negativo. Presto però si accorgono che vivere in maniera “borghese” (casa, televisione, tranquillità) costa e costa troppo. Non c’è niente da fare, anche la società americana è nemica di chi vuole vivere “libero”, senza cedere a compromessi o a scorciatoie. I soldi, senza quelli non si va da nessuna parte. Neanche l’amore basta. Inutile farsi illusioni, non è così facile come nei film di Chaplin. La vita esterna è troppo dura. Poi vengono fuori i lati oscuri e le differenze caratteriali e se la situazione materiale è compromessa è facile che tutto vada a gambe all’aria. Certo che perdere la persona amata fa male, fa molto male. Essere soli è peggio che essere poveri. Questo ci fa capire la conclusione tragica della storia, anche al di là della volontà di Herzog di evitare qualunque illusione o consolazione di natura emotiva o sentimentale.
Qui Herzog utilizza uno stile dimesso, non induce quasi mai in riprese suggestive o belle. L’ambiente in cui si svolge la storia è anonimo, grigio e autunnale. Il ritmo è lento e si sofferma sui momenti di vita normale dei protagonisti, scavando molto bene nel loro carattere. Si evitano drammatizzazioni o emozioni, spostando l’attenzione sull’ambiente e sulla grigia normalità. E’ il tentativo del regista di distaccare lo spettatore da quello che vede, per permettere oggettività di giudizio. Solo nel finale inserisce una tipica scena di significato quasi surrealista, quando in una specie di mini luna park si mostrano delle galline ammaestrate che ballano o suonano strumenti. Qualcosa di molto alienante e amaro.

The Passenger  @  16/02/2008 21:38:24
   9½ / 10
Uno dei film più significativi del regista Werner Herzog. Tanto drammatico quanto realistico, tutto ruota attorno alla figura di Stroszek, omuncolo incompreso e bizzarro, maledetto quanto la sua vita.

Famoso per esser stato l'ultimo film visto da Ian Curtis, cantante dei Joy Division morto suicida a 23 anni.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  19/01/2008 00:01:53
   9 / 10
"Il mondo andrebbe molto meglio se potessimo dare una risposta alle nostre domande", beh lo penso anch'io soprattutto in questi ultimi tempi.
Dove finisce l'invettiva e dove inizia il sarcasmo? Non saprei, visto il nonsense che attraversa la storia - soprattutto nel finale - cara al primo Wenders ma anche al cinema dell'est più tradizionalista, nel segno radicale e compiuto di un Wenders mai così realistico e rigorosamente (fin troppo a tratti) riflessivo. A tratti, il linguaggio cinematografico così divergente e acuto (v. il divario tra il tedesco e lo slang americano) diventa l'emblema di un'arte formale molto aderente allo stile del cinema muto (Keaton? Griffith?).
Tutto accade molto lentamente, silenziosamente: e il protagonista, candido e sprovveduto, avverte per primo "lo stato delle cose".
Una bellissima parabola, amarissima, anche davanti a un finale troppo poetico per non suscitare qualche perplessità

1 risposta al commento
Ultima risposta 25/01/2008 17.52.58
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benzo24  @  03/11/2005 18:40:15
   10 / 10
Forse nessuno è mai riuscito così bene nel cinema a rappresentare l'infelicità e il fallimento della vita.

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