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A Lynch l'usuale ed il razionale non è mai interessato ed in questa sua ultima opera tende a dimostrarcelo per l'ennesima volta, caso mai non l'avessimo ancora capito. Il teatrino dell'enigmatico che mette in scena ha trovato da sempre molti adepti ed è innegabile che il suo stile abbia fascino in diverse soluzioni; a me in generale non piace molto e in particolare non sopporto quando il gioco viene portato troppo per le lunghe. Qui, dopo un bell'avvio carico di suggestioni per un' attrice in crisi d'identità, ci sono troppi arzigogoli incomprensibili, troppe parentesi aperte e chiuse su altre parentesi, quasi tre ore di pellicola con abbondanza di primi piani ed invenzioni surreali difficili - per me - da godere. E soprattutto un tentativo di parlare dell'industria cinematografica dall'interno, con le sue confusioni e contraddizioni, e di un tema sempre caldo come quello del doppio ( doppio film, una protagonista con un alter ego) che lasciano sinceramente entrambi a desiderare. Grande prova comunque della Dern ma arrivare in fondo alla visione è stata un'impresa.