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L'immagine della locandina fotografa un abbraccio finale pieno di significato, un finale capolavoro che spiega tutto il pensiero di Ozu e della sua filmografia. Sullo sfondo un treno che torna alle origini, alla grande citta', e una frase "in poche ore quel treno ci riporterebbe a casa".
Quella "casa" ha rappresentato anche il loro problema di coppia, un matrimonio che forse trattiene l'uomo o la donna senza liberta', cosi come il lavoro metodico e ripetitivo a cui era "obbligato" il protagonista sempre in citta'. Una sorta di "gabbia" sociale.
Tutte quelle camicie bianche che lasciano le loro case all'inizio del film per andare in fabbrica...nessuno si lamenta del proprio lavoro, non è questo che intaressa al regista. Piuttosto è un discorso piu' generale del Giappone in rinascita dopo la seconda guerra Mondiale a cui lo stesso Ozu ha partecipato da protagonista. Una falso benessere che viene subito sporcato dal tradimento dell'uomo. Una relazione dove non trapana mai per mezzo secondo un senso d'amore o intimita' ma solo automatismi classici, come se tutto fosse scontato.
In questa freddezza quanto è iconico quel finale dove forse per la prima volta troviamo un "sentimento"...che bello!
Può la vita banale di un modesto e mediocre impiegato interessare e coinvolgere in un film? Se a scriverlo e a girarlo è stato Ozu, allora sì. Il fatto è che le vicende descritte, il modo con cui vengono mostrate, commentate, i contesti, le considerazioni, sono tutti dettati da vita vissuta, da qualcosa che possiamo tranquillamente sentire come nostro. In fondo è destino diffuso anche oggi quello di svolgere lavori monotoni e ripetitivi, senza vedere vie di scambio o possibilità di cambiamento. E' molto comune il senso di gabbia o prigione che dà la vita coniugale, l'incomunicabilità che si instaura fra i coniugi, l'oscillare fra voglia di evasione e paura di perdere la stabilità che un rapporto fisso e duraturo assicura. Intorno a questo tema ci sono anche gli altri tipici di Ozu, la solitudine degli anziani, il senso di fallimento rispetto alle proprie aspettative, il contrasto città-campagna. Il tutto amalgamato in modo perfetto, condito con tanta salsa ironica e con un sano distacco per poter serenamente guardare in maniera realistica i fatti della vita. Per fortuna che in molti casi si può rimediare, si può ricominciare o almeno trovare una qualche forma di accettazione del destino. Il coraggio di Ozu va oltre il tema trattato. Non teme di elevare a protagonista della storia un personaggio assolutamente mediocre. Infatti non riesce a comprendere le situazioni e gli atti che sta compiendo, il senso e le conseguenze. Tratta la moglie come una serva, senza troppi riguardi nei suoi confronti. Anche le donne in fondo non hanno un comportamento "perfetto" (soprattutto Pesce Rosso). Insomma Ozu ci fa comprendere quanto siamo imperfetti, come sbagliamo facilmente nella nostra vita quotidiana e in fondo ci invita a riflettere sui nostri atti e le loro conseguenze. Accettare le imperfezioni, vivere con affetto e attenzione reciproca è forse l'unica via per avere un po' di felicità, anche a costo di rinunce e sacrifici. Sempre belli i film "senza attrattiva" di Ozu. "Soshun" forse è un pochino più pesante e noioso rispetto ad altri suoi più riusciti.
Una coppia in crisi in una società in crisi. Il quotidiano, con tutti i suoi piccoli gesti, banali e solitamente trascurati, è messo in scena da Ozu. Il risultato è un lungo film, interessante, ma da vedere armati di un po' di pazienza.
Un altro grande Ozu. Non fatevi allarmare dalla durata: scorre veramente in fretta. Perché il grande maestro giapponese è uno dei pochi ad aver compreso veramente l'essenza della vita, per poi riuscire a ritrasmetterla, trasportarla sul grande schermo, con una freschezza invidiabile. Sospeso tra dramma e commedia, è un altro grande film.
"Inizio di Primavera" è un Ozu canonico. Il Cinema di Ozu, forse mi ripeto, ma è più unico che raro. I personaggi della Storia del Cinema difficilmente hanno un impiego normale, e se ce l' hanno, è raro vederli sul posto del lavoro, e se li si vede, di sicuro quella particolare sequenza ha una certa funzionalità sull' evoluzione della storia. Nei film dell' autore nipponico, invece, sono ripresi come in un reality negli anni '50, in un momento essenziale di una quotidianità tipo. E non vi succede mai niente, se non chiacchere come accade nella vita vera poi. Dopo "Crepuscolo di Tokyo" un altro melodramma (parzialmente) raffreddato di una giovane coppia che, senza figli, vive nella periferia di Tokyo. Tra giornate in ufficio e serate con gli amici, il marito Soji trova il tempo per l' adulterio con una carina collega di lavoro - Pesce Rosso (ma la moglie è moolto più bella) - e, una volta scoperto il tradimento, Masako andrà a vivere con un' amica fino a quando il marito verrà trasferito a Okayama per motivi di lavoro; a quel punto lo raggiungerà e sarà ristabilito l' equilibrio iniziale. In questo caso sì che il titolo ha significato di ri-fioritura, sia nel lavoro, che nella vita privata. Molto similarmente a quello che succede ne "Il Sapore del Riso al Tè Verde". Tuttavia è un film molto lungo (uno dei suoi più lunghi), dal linguaggio depurato che è espressione dell' immobilità del Cinema. "Viaggio a Tokyo", al momento, credo sia il suo Capolavoro, occidentalmente quasi apprezzabile pienamente.