È la storia di Eddy Duchin, famoso pianista e direttore d'orchestra statunitense tra le due guerre. Morta la moglie di parto, per anni non vuole vedere il figlio che prende il suo posto quando la leucemia lo uccide.
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Dopo una stroncatura così autorevole sarà difficile raggiungere un minimo di credibilità. Eppure come biografia è perfetta, riesce ad alternare lacrime e sorrisi come nella migliore tradizione senza eccessive concessioni a facili stucchevolezze. Non a caso dirige un grande professionista come Sidney che bene sapeva confezionare prodotti di questo genere. Ogni inquadratura è un saggio sulle capacità che un tempo Hollywood aveva nel far entrare lo spettatore dentro la storia, grazie ad un comparto tecnico eccezionale, a musiche e colori spettacolari, ad attori irripetibili. Se poi ci si aggiunge una storia vera di forte impatto emotivo, il risultato non potrà che essere un successo. Ed infatti "Incantesimo" ammaliò le platee di più generazioni. A volte prevale un tono leggermente retorico e didascalico ma ci si commuove con la vita di Duchin e l'ellissi finale con le mani che si retraggono dai tasti del pianoforte è geniale e toccante. Power in uno degli ultimi e migliori ruoli della sua carriera, Kim Novak come sempre bellissima.
Solitamente Sidney ha un grande senso dello spettacolo, e questo non si discute... ma questo sciroppone sentimentale è odioso oltre i confini del tollerabile, diciamo che è more that I can bear (più di quanto io possa sopportare). Power lacrimoso e sfortunato pianista e la Novak glaciale nella sua platinata bellezza (no, non era bionda naturale)