Dall'atto unico omonimo (1958) di Tennessee Williams: un giovane neurochirurgo ha qualche sospetto sull'ostinazione con cui una ricca vedova gli chiede di fare la lobotomia su una sua nipote malata di mente e scopre un orribile retroscena.
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In piena era voyeurista, il cinema riscopre e rivela tematiche scottanti, che bruciano il perbenismo hollywoodiano almeno quanto i trattati sessuologici di kinsey... Tennessee Williams adatta una storia dove è coinvolto guardacaso (e come protagonista) un attore come Clift che ha vissuto la sua omosessualità nel segno del dolore, della colpa, dell'infelicità. Il ricorso a certe tematiche si esaurisce qui: nonostante williams e gore vidal siano sempre stati dichiaratamente gay, le fobie censorie pensarono bene di addattare - in un climax torbido e cupo - il suddetto romanzo per il cinema proponendo, anzi imponendo, un curioso e drammatico "confessionale" Dantesco. Ci penserà due anni dopo il cinema inglese a riabilitare queste tematiche ("victims"). La "vittima" viene dipinta come "carnefice pederasta sfruttatore di ragazzini", il cui abito bianco (di un bianco abbacinante) non riflette la sua "corruzione d'animo". Peggio che mai: i suoi assassini vengono misteriosamente assolti. Nonostante tutto, la regia di mankiewicz è ovunque grandiosa: c'è lo sfotto' sociale, sottile e crudele, di un mondo (indipendentemente dalle inclinazioni del giovane vestito di bianco) che pretende di pagare tutto, anche l'amore (pensiamo quanto sia profetico oggi, in un mondo di turismo sessuale), c'è la simbologia della Morte che, come in un dramma di Cocteau, assume i clichè della vecchia megera, il simbolo e il suo epilogo. Ma se la vittima resta nuda, con una morte degna della Maddalena di evangelica memoria, il suo volto non esiste: scompare come uno stuntman filtrato dalla vergogna di un'attore di rischiare di rovinarsi la carriera per aver interpretato un gay (un mistero che circola ... chi sarà? probabilmente qualcuno di poco conto o un attore di teatro oppure...). Per indicare o enfatizzare tutta la ripugnanza del conflitto omoerotico del cugino, la scelta è affidata alla bellezza senza fiato (ovvero l'emblema della femminilità perfetta, della seduzione piu' profonda) di Elizabeth Taylor, i suoi verdi occhi e i vestiti compressi che ne mostrano le stupende forme. "Improvvisamente l'estate scorsa" è anche un topoi di grande rilievo artistico, che cita i drammoni di Sirk e Robert Wise creando pero' lo stile unico e inimitabile di uno dei piu' raffinati autori di cinema di sempre. Ancora oggi la sua visione provoca molti brividi, ma proviamo per un attimo a superare l'avversione per il suo tanto opprimente e fastidioso moralismo (quello che ha provocato la rottura di Vidal con gli studios): vedremo soprattutto una metafora sulla borghesia che soffoca nel radicaliso sociale la sua oscura dipendenza dagli schemi anche (per l'epoca) proibiti