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Che dire di questo "viaggio" ai confini del cinema? Innanzitutto che, per fortuna, è solo un mediometraggio della durata di un'ora risalente agli albori della carriera del regista. Lars Trier è sempre stato decisamente eccentrico, figuriamoci agli inizi, quando tutta la sua arte e creatività erano, probabilmente, compresse nella spasmodica attesa di esplodere, sfogarsi e trovare soddisfazione, paradossalmente disgiunta da qualsiasi dogma, regola o imposizione cinematografica, di cui non sentiva certamente il bisogno e, meno ancora, il timore. Dico "per fortuna" perchè questi 54 minuti non sono facili da metabolizzare, soprattutto per un profano come me, che poco sà di regia, tecniche di ripresa e storia del cinema, avvicinatosi al prodotto per mera curiosità. Si perchè, in effetti, trattasi di 54 minuti di ermetismo allo stato puro, forse manierismo, fatto di simbolismi evocativi, effetti chiaro-scuro, primissimi piani, violenze accennate quanto basta, dialoghi scarni, commento musicale pressochè inesistente, fatto salvo per alcuni passaggi accompagnati da canti... liturgici (?), trama appena percettibile e finale metafisico. Sempre da profano, potrei definire il tutto come una sorta di punto d'incontro tra Tarkovskij, Fassbinder ed il Lynch di "Eraserhead". Tengo a precisare che il voto numerico da me espresso è prettamente "politico", in quanto obbligatorio da un lato ed impossibilitato io a giudicare (non avendone i mezzi), dall'altro. Ovviamente non è proprio il caso di consigliarlo ai non addetti.