Noto psichiatra parigino cerca di ottenere la materializzazione della psiche e trasforma sé stesso, a comando, in Opale, libero dai condizionamenti della morale borghese. Gravi conseguenze.
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"Il Testamento del Mostro" è forse il vero testamento cinematografico di Jean Renoir - autore assoluto - al suo terzultimo film. Mi sono sempre chiesto se il regista avesse mai fatto il suo Dott. Jekyll e Mr. Hyde, essendo, tutte le sue opere, focalizzate su un personaggio rappresentante il Male assoluto. La presentazione in prima persona fatta da Renoir stesso ne sottolinea l' ironico carattere metacinematografico di un regista che per mezzo del Cinema ha sempre accusato la borghesia, qui attaccandola nella sua apparente tranquillità ostentata nei quartieri periferici di Parigi, "con lunghe teorie di muri, e dietro quei muri misteriosi giardini" in cui sembra non esser negato l' accesso solo al più temibile dei criminali. Credo il regista abbia voluto liberare il film dai limiti tematici del racconto del Classico di Robertson (credo) per concentrarsi su un altro aspetto a suo modo allegorico, cioè quella critica al mondo borghese appunto e la sua eterna maschera delle apparenze che "nasconde una realtà menzognera dissimulatrice dei più bassi istinti.". Che Barrault fosse bravo con il linguaggio del corpo lo aveva dimostrato con Carné ne "Les Enfants du Paradis", ma nel Testamento del Mostro è addirittura fondamentale con i suoi tic, il vestito dal taglio sbagliato, fuori misura, e nel mettere in scena, ogni volta, un vero e proprio balletto di una violenza stilizzata alla "Arancia Meccanica". Perfetta la colonna sonora.
Una caratteristica fondamentale della carriera di Jean Renoir è sempre stata la sua versatilità, la capacità di spaziare da un genere ad un altro senza legarsi mai ad un tema fisso e ricorrente, tanto da permettergli di realizzare opere tanto diverse tra loro ma altrettanto efficaci, dall'antimilitarismo di "La grande illusione" al romanticismo di "L'angelo del male" fino ad uno dei capostipiti della corrente nouvelle vague "La regola del gioco" considerato da molti il suo capolavoro. Tra il 1940 ed il 1960 Renoir si allontana decisamente dai riflettori del grande cinema dirigendo in verità pellicole abbastanza modeste, soltanto nel 1959 ritrova il successo con una rivisitazione "parigina" del famoso "Il dottor Jekyll e mister Hyde" di Stevenson, e dà alla luce questo più che onorevole "Il testamento del mostro". Al buon dottor Jekyll si sostituisce Cordelier ed al sadico Hyde gli fa da alter-ego monsieur Opale, ma dove nei protagonisti del racconto di Stevenson c'è un netto contrasto tra le due personalità, qui la drammatica metamorfosi psico-fisica di Cordelier-Opale non ne allontana la brutalità dell'istinto di base, all'interno della stessa persona convivono sia il bene che il male, la paranoia di Cordelier lo porta ad inseguire, attraverso un esperimento, il sogno dello stravolgimento strutturale della psiche umana; la morale accomuna il film ad altri dello stesso genere: la consapevolezza, a cui segue il pentimento e la redenzione, di aver osato sfidare le leggi della natura. Straordinaria l'interpretazione di jean-Louis Barrault nel caratterizzare perfettamente le due personalità a contrasto, molto bella la fotografia che offre una Parigi grigia e tetra così da creare un'atmosfera veramente coinvolgente. Un film da non perdere per gli appassionati del genere fanta/horror anni '50.