il settimo sigillo regia di Ingmar Bergman Svezia 1957
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il settimo sigillo (1957)

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locandina del film IL SETTIMO SIGILLO

Titolo Originale: DET SJUNDE INSEGLET

RegiaIngmar Bergman

InterpretiGunnar Björnstrand, Bengt Ekerot, Nils Poppe, Max von Sydow, Bibi Andersson, Inga Gill, Maud Hansson

Durata: h 1.36
NazionalitàSvezia 1957
Generedrammatico
Al cinema nell'Agosto 1957

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Trama del film Il settimo sigillo

Un cavaliere torna dal campo di battaglia solo e trova ad attenderlo una terra devastata dalla peste, e la Morte che lo reclama. Riuscirà a prolungare la propria esistenza impegnando la Mietitrice in una lunga partita a scacchi che sa di non poter vincere.

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Voto Visitatori:   8,86 / 10 (258 voti)8,86Grafico
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Voti e commenti su Il settimo sigillo, 258 opinioni inserite

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Gruppo REDAZIONE amterme63  @  16/10/2010 19:24:42
   10 / 10
"Il settimo sigillo" è un grande, grandissimo film. In soli 90 minuti si riescono ad impacchettare scene di una visualità sublime, presentare nella loro tragica e interiore essenza questioni etico-filosofico-esistenzialiste di importanza universale, comunicare sentimenti e sensazioni di forte urgenza umana (come la consapevolezza della morte imminente), allo stesso tempo guardare al piccolo (alla vita concreta) con occhio divertito e ironico. Di stimoli ce ne sono tanti, il bello è che tutto è contenuto in una struttura semplice e immediata. Si può seguire il film quasi come fosse un thriller o come una commedia della vita. Il lato "intellettuale" non pesa assolutamente e tutto scorre e coinvolge in maniera diretta e spontanea.
Un merito grandissimo è la perfetta riproduzione di uno spirito "medievale". Fin dall'inizio si riesce a creare e a far acquisire allo spettatore una specie di sottile angoscia, un senso di impotenza di fronte agli eventi del destino e della natura, evocando pericoli e disastri senza farli vedere. Ci si cala completamente in una situazione in cui non ci sono assolutamente cause e mezzi per combattere o spiegare eventi eccezionali o catastrofi imminenti. Diventa così normale e plausibile sentir raccontare di albe con 4 soli, di donne che partoriscono teste di lupo, di streghe che hanno visto (e che vedono) il demonio. Si capisce perfettamente perché queste credenze sono nate, in che contesto si sono sviluppate. Gli eventi narrati nell'Apocalisse assumono perciò realtà concreta e fonte di certezza, in un mondo che non ha l'ausilio e la fiducia nella ragione umana.
Per questo la morte viene accettata e presa come un evento naturale e concreto, con cui fare i conti in qualsiasi momento. Certo, non è mai l'ora, nessuno è pronto. C'è chi si dispera, chi si ribella e chi alla fine accetta come la normale conclusione dell'esistenza, a cui affidarsi con calma e rassegnazione.
Bergman quindi gioca perfettamente con l'attitudine medievale a concretizzare il metafisico. I personaggi "vedono" la morte, la Vergine e il Bambino oppure il Diavolo.Tale e quale agli affreschi medievali. Soprattutto la morte è rappresentata/recitata in maniera estremamente suggestiva (a me ha fatto molta impressione).
All'interno di un quadro e di una vicenda medievali si muovono personaggi moderni. Il cavaliere (interpretato da un affascinante Max von Sydow) ha un animo molto rinascimentale, ossessionato com'è dalla ricerca personale e autonoma al divino. Oltre a questo possiede tutti i dubbi e la ricerca spasmodica di una certezza a cui affidarsi che caratterizza i moderni come Kierkegaard, ad esempio. Pronuncia discorsi molto importanti, molto profondi, con una sensibilità e un dolore interiore veramente sinceri.
Il dubbio e l'incertezza del suo carattere si rivela ad esempio nella sua richiesta di una proroga alla morte per poter "fare un'azione utile". Quest'aspetto etico del suo carattere non viene purtroppo chiarito abbastanza nel film. Non si capisce bene che cosa voglia fare e che scopi pratici si prefigga. Il tutto si risolve - un po' casualmente - nell'aiutare gli unici personaggi "positivi" del film. Da questo punto di vista "Vivere" di Kurosawa è fatto assai meglio.
L'altro personaggio moderno del film è lo scudiero Jons (il solito bravissimo Gunnar Bjornstrand). Lui rappresenta la corrente atea e materialista che ha sempre percorso il pensiero umano (già dal medioevo) e che modernamente ha preso il sopravvento. Attraverso di lui vengono smontati i miti ideologici che spingono gli uomini a combattersi e ad autodistruggersi, forse il lato più "diabolico" di una credenza di tipo religioso. Dalla sua bocca esce la convinzione di un niente assoluto che faccia seguito alla vita. Nonostante ciò è una persona che aiuta, che si dà da fare, uno dei pochi che sa come vivere.
Oltre alla vita pensata c'è la vita vissuta. Per questo il film prende in prestito dalle opere di Shakespeare l'espediente di un piano basso a carattere comico che funga da interludio, da pausa estraniante a carattere comico e soprattutto da specchio concreto, vitale, pratico e vissuto delle idee espresse dai personaggi "elevati". Ai gusti di un "moderno" può sembrare un contrasto o una contraddizione (abbiamo infatti perso l'abitudine a mescolare gli stili), invece è il segreto della completezza e della perfezione dell'opera.
Alla fine cosa rimane di tutto questo domandarsi, di tutto questo vivere? Niente, soprattutto nessuna risposta. La morte è categorica a questo proposito: "non è il mio compito". Per questo tutto rimarrà incerto, tutto rimarrà irrisolto per tutto il tempo dell'esistenza del genere umano; almeno fino alla sua autodistruzione, quasi presentita da Giovanni nell'Apocalisse: un'ipotesi più concreta di quanto si pensi, già presa in considerazione dagli antichi.
E tutto questo con immagini di una bellezza e di un'espressività mozzafiato: il cielo dove vola fermo un uccello che rimira tutto dall'alto, il mare all'alba, campi lunghi sulla campagna, sulla marina, il bosco di notte, l'apparizione della morte, il suo stagliarsi nell'ombra nell'ultima scena, il corteo macabramente danzante controluce là in cima alla collina. Quante, quante scene belle emozionanti mi porterò dentro fino al -mio- incontro con la morte.

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