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E' il 1972 quando la regia di Luis Buñuel deride a testa bassa l'apparato, il sistema sociale, quello dei "potenti", ecco "Il fascino discreto della borghesia". La prerogativa del film si installa nel ventre di una critica, baldanzosa e simbolica, del mondo dei nuovi "aristocratici" , che secondo il regista, addensano dentro la propria persona tantissimi difetti: paranoia, ipocrisia e corruzioni. L'analisi, nell'ora e mezzo di proiezione, evidenzia a meglio il pensiero di Buñuel; la critica, però, è quanto mai disinvolta, e quindi poco aggressiva e fanatica. Scaturisce da tutto ciò un prodotto simpatico ed elegante ove, parliamoci chiaro, si registra un appiattimento oggettivo della storia a favore di una strampalata e divertita sceneggiatura. Il filo narrativo in effetti è "minimal", la sceneggiatura, invece, gode di corpose trovate di Buñuel di ottima fattura. Per vari critici il prodotto potrebbe deludere per via della sua beata inconcludenza, ma nonostante tutto, il disegno sembra esser portato avanti con disinvoltura e bravura; inoltre curiosi i sogni che donano al film un po' di imprevedibilità e di (sana) confusione.