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Bellissimo corto (da cui Dario Argento ha "pescato" a piene mani per il suo "Jenifer - istinto assassino"). Sono stato ben consigliato da Kater (a proposito, l'altro giorni guardavo Drive, di Refn…e a un certo punto, cosa vien fuori? La parabola della rana e dello scorpione!).
Harpya ha tinte lugubri, è realizzato con tecniche grafiche che amplificano quest'atmosfera: benissimo ha fatto chi, nei primi commenti, ha citato influenze da parte della pittura (vero, Magritte è assolutamente percepibile). Ci ho trovato anche un po' di Munch, in quelle ombre così nere e persistenti, simboliche di cattivi presagi e di sventura. E le scene notturne nei vicoli della città ricordano lo Spleen di Baudelaire. L'Arpia è una creatura con viso di donna, ma con il mostruoso corpo di un uccello. Un viso che pare dolce, ma soltanto a chi - perché s'inganna - non percepisce la freddezza del suo sguardo, il gelo della sua inespressività, l'abisso vorace dei suoi occhi vuoti e scuri. L'Arpia è una metafora del rapporto psicologico "Infermiere-Malato", in virtù del quale alcune persone buone, ma deboli, danno tutto il proprio animo per soccorrere amanti o amici sbagliati, che non guariranno né cambieranno mai, dai quali anzi verranno trascinati nello stesso baratro. Incubi (arpie maschi) o Succubi (arpie femmine), che, obbedendo ad una propria natura ferina che nulla ha di umano, spremono l'anima delle persone che hanno accanto, insensibili ed incuranti del danno che arrecano. "Vampiri energetici", come vengono chiamati al giorno d'oggi.
L'Arpia odia la vita, averla vicino porta a vivere con paura e con disgusto. L'Arpia è affamata e divora impunemente ogni cosa: il pover'uomo del cortometraggio non potrà più mangiare, nemmeno di nascosto, perché la creatura lo scoverà e divorerà il suo cibo con la voracità di una bestia affamata (fantastici i primi piani dell'Arpia che mangia con foga). L'Arpia gli divorerà persino le gambe, per impedirgli di fuggire. Ma, soprattutto, per renderlo simile a lei: un mostro appollaiato sul proprio trespolo, la cui vita si riduce a fissare in eterno la propria mostruosa compagna.
Lo strillo rapace nella tenebra, a fondo dei palazzi e monumenti sospesi, una notte, di seta nera, venga a casa con lui, a propagarsi nelle sere a venire, strappato dalle mani di un altro uomo, dalla sua gola; il mezzobusto acceso, la venere mostruosa sorta da una vasca, l'abbacinante sposa marmorea, l'angelo calvo dagli artigli e dalle labbra di corvo, fontana cupa di piaceri morbosi che spiega le sue ali. Stia appollaiata a casa con lui, con lo sguardo fisso per stanze e stanze, masticatrice costante, non gli conceda più un passo non circospetto, un guardare senza sgomento, gli divori sino gli appetiti del sonno, gli seghi le gambe al reciproco contemplarsi, copra anche la musica quieta, quel suo gracchiare dietro il volto inespressivo che ride, quel suo occhio che stride, tracciando in un'ignota lavagna ombrosa, chissà quale piano, che per le strade di notte in agguato lo aspetta. In un'atmosfera d'incubo fermo, tra quadri tetramente magrittiani e traversati da rumori d'unghia e di gola, il richiamo inquietante della donna fatale.