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Lo strillo rapace nella tenebra, a fondo dei palazzi e monumenti sospesi, una notte, di seta nera, venga a casa con lui, a propagarsi nelle sere a venire, strappato dalle mani di un altro uomo, dalla sua gola; il mezzobusto acceso, la venere mostruosa sorta da una vasca, l'abbacinante sposa marmorea, l'angelo calvo dagli artigli e dalle labbra di corvo, fontana cupa di piaceri morbosi che spiega le sue ali. Stia appollaiata a casa con lui, con lo sguardo fisso per stanze e stanze, masticatrice costante, non gli conceda più un passo non circospetto, un guardare senza sgomento, gli divori sino gli appetiti del sonno, gli seghi le gambe al reciproco contemplarsi, copra anche la musica quieta, quel suo gracchiare dietro il volto inespressivo che ride, quel suo occhio che stride, tracciando in un'ignota lavagna ombrosa, chissà quale piano, che per le strade di notte in agguato lo aspetta. In un'atmosfera d'incubo fermo, tra quadri tetramente magrittiani e traversati da rumori d'unghia e di gola, il richiamo inquietante della donna fatale.