Gigi, una graziosa ragazza di provincia, vive con la nonna e una zia a Parigi. Costoro sperano che la piccola diventi una mondana di lusso. Hanno anche messo gli occhi sul possibile "protettore": il ricchissimo Gaston Lachaille. Gaston però, essendo veramente innamorato di Gigi, rifiuta sdegnosamente. La stessa ragazza, rivelando un forte carattere, si oppone ai disegni delle due parenti. In una deliziosa Parigi da cartolina, con una deliziosa Leslie Caron, le canzoni di Lerner e Loewe e un sornione Chevalier (Oscar alla carriera), un sontuoso musical ispirato ad un romanzo di Colette.
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Nella Parigi della Belle Epoque, una giovane ragazza cerca in ogni modo di opporsi all'educazione triviale offertale dalla nonna e dalla zia, secondo le quali l'amore è soltanto un mezzo di scalata sociale ed economica. La ragazza, soprannominata Gigi, finisce per innamorarsi di un giovanotto ricco e annoiato... Mi pare di aver già parlato in precedenza di quel secondo ramo del musical che si è venuto a creare al cinema nel corso del suo periodo d'oro: a differenza degli exploit di Gene Kelly, questo si contraddistingue per le sue radici nel teatro di Broadway, nella sua impostazione spettacolare e nella sua immensa opulenza. "Gigi" fa parte senz'altro di quest'ultimo filone, e neanche a dirlo anche questo si basa su un pezzo della popolare coppia di autori Alan Jay Lerner, qui anche nel ruolo di sceneggiatore, e Frederick Loewe, a sua volta tratto da un pezzo di letteratura francese. Se già "Il re ed io" rappresentava un pessimo punto di partenza, non è che qui le cose vadano tanto meglio, e lentamente mi sorge il sospetto se per caso non si tratti solo di un problema di gusti personali: come al solito è il lato tecnico a dominare su tutto il resto, fra scenografie e costumi come sempre magnifici ed eleganti, una fotografia sgargiante e colorata e uno stile visivo che, se non altro, rende il prodotto una gioia per gli occhi.
Particolarmente notevoli sono le scene ambientate nel club ristorante dell'alta società, con tutte quelle pareti tendenti al rosso acceso.
Una volta appurato questo, però, mi sorge spontanea una domanda: perché mai riversare tanto ovvio talento e impegno per adornare una storia priva di importanza o interesse alcuno, quello che alla fine non è altro che il solito, prevedibile tira e molla fra il maschio e la femmina della coppia, che già tutti sanno dove andrà a parare e per di più ci mette un'eternità per sviluppare uno qualsiasi dei suoi snodi narrativi? La vicenda, annegata in un mare di sentimentalismo e melodrammaticità, è materiale da fotoromanzo o da soap opera, così come i personaggi che lo popolano, e né gli uni, né gli altri vengono aiutati dalla regia di Vincente Minnelli, che ancora una volta si conferma uno dei mestieranti più privi di energia della Hollywood dei tempi d'oro.
L'intera parte finale, dove ovviamente la coppia si deve separare prima che tutti e due realizzino che stare insieme è proprio quel che vogliono, si protrae per circa una buona decina di minuti. E questo dopo che, tra l'altro, la separazione è avvenuta senza un vero motivo.
Le musiche continuano ad essere terribilmente anonime e qualsiasi talento da parte degli attori è quasi del tutto sprecato, ciascuno costretto in un ruolo che non gli da niente con cui lavorare. Quasi. Perché vi è un elemento nel film capace di iniettare un'indispensabile e salvifica dose di vivacità nello sviluppo narrativo e che puntualmente riesce ad alleggerire le atmosfere all'acqua di rose offrendo una sana dose di sardonica, divertita autoironia. Quell'elemento si chiama Maurice Chevailer, anfitrione e osservatore da dietro le quinte di tutta la vicenda: agghindato in quei costumi, con quel cartoonesco cilindro e la perenne aria sorniona, Chevalier è una sorta di simpatico nonno ancora in possesso di una certa vitalità giovanile, quasi una versione in carne ed ossa di George l'avvocato de "Gli Aristogatti": ogni sua apparizione è un autentico salvagente dalla dilagante noia. Così dirompente è la sua energia da riuscire in certe occasioni a contagiare anche altri membri del cast, come succede a Louis Jourdan nelle sue prime scene.
L'intero giro in carrozza iniziale dove il giovane esprime la sua noia rispondendo per le rime ai consigli dello zio Chevalier è probabilmente il pezzo migliore del film.
Grazie a Chevalier, il film riesce a raggiungere quanto meno dei livelli di tollerabilità che rendono la visione meno pedante, ma non basta purtroppo a fargli raggiungere la sufficienza. Con buona pace degli estimatori, "Gigi" è tutto fumo e niente arrosto, dove la tecnica curata e l'aspetto visivo sono solo uno specchio per le allodole per nascondere il vuoto e l'inutilità di una storia e di personaggi inesistenti.
Un classico prodotto Hollywoodiano girato con classe e cura dei particolari, i cui i colori caldi e brillanti della Parigi di inizio '900 fanno bella mostra di sè almeno quanto i buoni sentimenti dei quali il film è ricolmo. Non amando il genere non riesco ad andare oltre con gli elogi e solo un paio di canzoni mi sono sembrate di alto livello, entrambe con l'arzillo Chevalier come protagonista: quella iniziale sulla noia, cantata dallo zio e dal nipote e il botta e risposta tra i due vecchi amanti con il tramonto sullo sfondo. Nonostante la bravura di tutti gli interpreti e la simpatia delle situazioni la pioggia di Oscar francamente non si spiega.
Una bella storia d'amore raccontata con la semplicità e il candore degli anni 50. Non sono un amante dei musical ma quest'opera mi ha intrattenuto ed a tratti divertito. Bravissimi i protagonisti e molto belle le musiche. Parigi da copertina. Enigmatica la presenza della madre che si sente solamente, senza mai mostrarsi. UN SALTO INDIETRO NEL TEMPO MA CON CLASSE.
Nonostante i numerosi premi (francamente troppi), è uno dei Minnelli meno travolgenti. La cura di spazi e scene e sempre maniacale ma forse l'estrema ricchezza produttiva ha frenato il genio del regista invece che stimolarlo. La pressoché totale mancanza di coreografie è inspiegabile, ancor di più se si ha come protagonista una ballerina prodigiosa come Leslie Caron, a dire il vero una Gigì incantevole. Comunque sia, un film piacevolissimo che trasforma il romanzo formativo di Collette in un'operetta dai toni sbarazzini. Gran classe da parte di Jourdain e Chevalier, irresistibile cacciatore di gonnelle. Non mi sembra che sia riuscito a fissarsi particolarmente nell'immaginario collettivo del genere (neppure con i brani che propone) ma la scena del pettegolezzo musicalmente bisbigliato rivela l'assoluto estro creativo di un regista strepitoso.
Doveva esserci poco da vedere quell'anno se questo film ha vinto tutti questi premi...va bene costumi e scenogafia ma tutto il resto lo puo' apprezzare,forse,solo chi ama il genere! Musical lento e noioso,troppo mieloso per i miei gusti ma di indubbio livello tecnico.
Mi è piaciuto molto, un musical che ti mette di buon umore. Bellissimi i costumi. E anche le musiche: specialmente quelle cantate da Maurice Chevalier (I remembered it well una delle mie preferite), è simpaticissimo! L'ho scoperto guardando questo film, ora indagherò su altri suoi film :)
ho sempre mal tollerato i musical ma questo attirò la mia attenzione tanti anni fa e seppur non riuscendo a modificare le mie idee per tale genere cinematografico onestamente non riesco a non riconoscere uno strano valore per un cinema fine a se stesso.
Sul modello non dichiarato del Pygmalion, Minnelli adatta la vicenda di Gigi come una (deliziosa) pochade, ricca di riferimenti europei (e non potrebbe essere altrimenti, visto la scelta degli interpreti e dello script), e La Caron è sempre una ballerina squisita, anche se a tratti vagamente (vagamente?) altezzosa. Tonnellate di classe e stile da parte di Jourdan e Maurice Chevalier, quest'ultimo davvero esilarante nel brano "I remember it well"