Matilde, Cencio, Fulvio e Mario sono come fratelli quando il dramma della seconda guerra mondiale travolge Roma. L'anno è il 1943 e, nel pieno del conflitto, la città eterna ospita il circo in cui lavorano. Israel, il proprietario e loro padre putativo, scompare nel tentativo di aprire una via di fuga per tutti loro oltre oceano. I quattro giovani sono allo sbando. Senza qualcuno che li assista ma, soprattutto, senza il circo, hanno smarrito la loro collocazione sociale e si sentono solo dei fenomeni da baraccone, "a piede libero" in una città in guerra.
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Ok, ci puoi trovare dentro Anderson e Gilliam, Del Toro e Fritz Lang, Scorsese e Monicelli, Ophuls e Micheal Powell Fellini e Pasolini etc. Come a dire un'operazione complessa, faraonici e ambiziosa in un contesto da cinema "di genere". La Violenza come farsa o parodia, o viceversa. Poi si trasforma in un film bellico, forse estenuante, ma puoi superare certe lungaggini certi manierismo (ehm tutta la parte centrale è noiosetta) perché visivamente è di una bellezza disarmante. Il Nazista-pianista che sta tra il Dottor Jekyll e Arthur Rubinstein e lo storpio di Castellitto meritano ampiamente la visione (molto istrionico fra l'altro è molto Brancaleone alle crociate). Diciamo che è un film a modo suo imperdibile, ma che stilisticamente ha qualche caduta di tono, una Poetica che rischia talvolta di diventare grossolana. La sua bellezza è che tenta di andare oltre anzi Oltre gli steccati di genere, e per questo ci riesce