La storia di un ragazzo nella tumultuosa Napoli degli anni Ottanta. Una vicenda costellata da gioie inattese, come l'arrivo della leggenda del calcio Diego Maradona, e una tragedia altrettanto inattesa. Ma il destino trama dietro le quinte e gioia e tragedia s'intrecciano, indicando la strada per il futuro di Fabietto.
Sei un blogger e vuoi inserire un riferimento a questo film nel tuo blog? Ti basta fare un copia/incolla del codice che trovi nel campo Codice per inserire il box che vedi qui sotto ;-)
VINCITORE DI 5 PREMI DAVID DI DONATELLO: Miglior film, Miglior regia (Paolo Sorrentino), Miglior attrice non protagonista (Teresa Saponangelo), Miglior fotografia (Dario D'Antonio), David Giovani
Purtroppo non sono pienamente d'accordo con l'entusiasmo generale.
Cioè, il mio bilancio è: due grandissime battute in pieno stile Sorrentino ("la realtà è scadente" e "non ti disunire"), una serie di immagini meravigliose in pieno stile Sorrentino, una grande regia in pieno stile Sorrentino… e poco più.
Cioè è Sorrentino che parla a se stesso, permettendoci di sbirciare un po'. Ma personalmente mi ha lasciato un po' così; non riuscirei a dargli meno di 7 perché tecnicamente è sempre di un altro livello, però boh, non mi ha lasciato molto. Scusate.
Ciò non toglie che tiferò per lui agli oscar e che mi darà moltissimo fastidio se, qualora dovesse vincerlo, dovessero alzarsi i cori dei cinefili casuali che diranno "keppal1e, sopravvalutato, mo' solo perké è Sorrentino allora deve piacere pefforza, giornalai venduti, komunista, lo visto solo per le tette della Ranieri, ti piace solo perké sei un intellettualoide"
PPS: quanto vorrei proporre un referendum per togliere il diritto di voto a chiunque usi le parole "Intellettualoide" e/o "buonista". Poi a chi dice "falso buonista" toglierei anche il diritto di parola.
Boh, non mi spiego com'è che in giro si dica che con questo film Sorrentino si è distaccato dal suo solito stile. In realtà a me questo film non ha fatto impazzire proprio perchè contiguo ed omogeneo al cinema-sorrentino che trovo presuntuoso, vanitoso, autocompiciuto, autoreferenziale, manieristico, insomma pesante, goffo ed indigesto. I personaggi macchiettistici mi sanno di forzatura, di velleità artistoidi; la regia è la solita sbrodolata italiota che ripete in loop "guarda che bravo che sono" e la narrazione della storia rende poco e niente. Bravissi alcuni (ripeto: alcuni!) dei protagonisti ed ottima fotografia. Basta.
Sorrentino racconta il proprio adolescenziale "oro di Napoli" schiantato in due dalla morte dei protagonisti, i suoi genitori. Una struttura narrativa osata e usata solo da Friedkin in "Vivere e morire a Los Angeles" nell'85, ma in quel caso era fiction, seppur grandiosa. I critici paragonano la prima metà del film ad "Amarcord". Vi è citato un aneddoto, suppongo apocrifo: "A un certo punto lo chiama un giornalista e Fellini gli fa: 'Il cinema non serve a niente, però ti distrae...dalla realtà. La realtà è scadente.'" Una dichiarazione di poetica per interposto cineasta: l'emulo mir'a un affresco corale però gli riesce un acquarello stinto, una blanda messinscena circense. Come ha dichiarato in altre occasioni, vorrebbe darsi alla commedia ma gli escono dei drammi. Oppure nessuno dei due, aggiungo io. Poi, dalle convulsioni dell'alter ego Fabietto, smette di gigioneggiare. I critici paragonano la seconda metà del film a "I vitelloni". Non credo che quest'insistiti raffronti felliniani gli giovino: la fuga di Moraldo verso Roma, lontano dalla "pochezza dell'esistenza di chi ha perso il Paradiso e cercherà di ricostruirlo attraverso la finzione dei set" (Paola Casella), qui è descritta con una nostalgia formale diversa. Del virtuosistico piano sequenza iniziale col drone sul golfo partenopeo resta il ricordo del suono degli offshore in campo nero. Quando non è discontinuo, Sorrentino colpisce al cuor'e fa male. Dopo vent'anni di carriera, mi piacerebbe che ripartisse da qui.
Il rapporto con Napoli ed il rapporto con la sua memoria. fra gli slanci giovanili di un romanzo di formazione di un miraggio ritenuto impossibile come Maradona al Napoli, il desiderio nei confronti della propria procace zia visto come un sogno felliniano e la stessa voce di Fellini a fare dei provini nella città partenopea. Una galleria di personaggi che non sono diventano mai macchietta ma che fanno parte della vita di Fabio, a cominciare dai propri genitori. E' stata la mano di Dio Sorrentino è più sobrio nella regia e più curato nei dialoghi e centrato sui personaggi a cominciare dal giovane Fabietto intento a diventare improvvissamente Fabio dopo la morte dei suoi cari, inaspettata e crudele. Evento che fa declinare il film dai toni solari della prima parte ad una visione più cupa in cui il mentore Antonio Capuano con estrema schiettrezza mettera di fronte Fabietto di fronte ad un bivio: diventare Fabio. Avrebbe meritato il Leone d'oro questo film, ma comunque la conferma che Sorrentino è una certezza. Tutta italiana.