Salvador Mallo, un regista nel crepuscolo della sua carriera, riflette sulle scelte che ha fatto nella vita come il passato e il presente arrivano schiantandosi intorno a lui.
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Il film più autobiografico di Almodovar ed uno tra i suoi più colorati e pop, qualità messe lì quasi a contrastare i tristi acciacchi fisici e mentali del protagonista, un regista di mezza età ormai a corto d'ispirazione. E' la fotografia di un artista in crisi che porta però ad una lenta risalita, raccontata con partecipe amabilità grazie ad un mix di flashback della propria infanzia e della madre in particolare ( non tutti riusciti ), moderne scoperte ( l'eroina da fumare che allevia le sofferenze ) e toccanti incontri ancora dal passato ( la sorprendente visita del primo amore ). Almodovar sembra aver placato gli eccessi del suo solito cinema e pur confezionando per un intenso Banderas uno dei suoi personaggi più maturi della sua filmografia la pellicola non riesce a solleticare le corde del cuore, persa in un limbo di nostalgia e commiserazione. Il finale però è molto poetico.
Pedro Almodovar arriva ad un punto da voler fare un film su sé stesso e sul sé stesso regista che parla di sé stesso. Lo fa con incanto, con inquadrature magnificamente colorate ed arredate, con momenti di sperimentazione tecnica e visiva ma soprattutto con una storia emozionante e frammentata di un uomo e di quello che farà. DOLOR Y GLORIA azzarda tantissimo nello spiegare tutto sul finire, dando senso a quanto raccontato sin dall'inizio solo con l'ultima singola inquadratura, che rende l'insieme di vicende, incontri e ricordi a cui assistiamo importante ai fini dell'elaborazione e della creazione artistica del protagonista. A onor del vero, pur riuscendo a parlare della maturazione e della fioritura di un'opera, che è comunque un bel tema che si sposa bene con il cinema post-moderno e con il cinema indipendente europeo, questo piccolo gioiello dell'autore spagnolo rimane eccessivamente autobiografico nel suo dare importanza a piccoli eventi e cose che noi non comprendiamo perché non hanno peso nel raggiungimento dell'economia finale e sicuramente non brillano nella loro singolarità.
Un Almodovar in versione autobiografica. Potrebbe sembrare un'operazione narcisistica, ma non ho percepito compiacimento, anzi il regista spagnolo parla a cuore aperto dei fattori più importanti della sua vita, specialmente in lati incompiuto che più o meno inconsciamente hanno creato questa specie di empasse fisica ed esistenziale, attraverso questo continuo strozzarsi causato dalla malattia, come a simboleggiare dei nodi irrisolti. I toni sono più dimessi segno dell'apparente abbandono della forma melodrammatica che ha caratterizzato gran parte della sua carriera. Non proprio originale il finale, però in fondo coerente con il discorso portato avanti. Molto bravo Banderas.
Non il miglior film di Almodovar a causa soprattutto dell'eccessiva verbosità. I dialoghi estenuanti appesantiscono la visione. Per il resto il tocco delicato e profondo del regista, soprattutto nel racconatre le donne e le madri è ancora prezioso. Ottimi sia la Cruz sia Banderas.
Un film - narrazione di una vita complicata e dolorosa ma anche costellata di successi, descritta con poesia e senza risparmiare nulla; non è facile un'operazione simile, ma lui c'è riuscito con l'aiuto di un Banderas in splendida forma. Non ha la brillantezza di altri suoi film, magari quelli del primo Almodovar, ma arriva lì dove il regista ha deciso che deve arrivare.
Bel film, bella interpretazione di Banderas, bellissima fotografia dai toni cromatici forti ed eleganti, sceneggiatura coraggiosa, sincera, 'politicamente scorretta', positiva.
È indubbiamente un buon film di Almodovar, uno dei più profondi ed emozionanti specialmente quando, raccontando di uomini, descrive ancora una volta indimenticabili personaggi femminili (cfr. La madre di tutte le madri?!). Ma non tutto funziona, come riflessione sulla crisi artistica e umana mi interessa meno, e in questo suo "Otto e mezzo" che credo sia un riferimento evidente - anche altri rimandi ad Antonioni, Bunuel, forse pure Ozon rischiavdi annoiare proprio per la sua indole Bressoniana, tutto troppo spiegato e minuzioso. E così se da una parte lo spettatore è coinvolto in divagazioni psichedeliche che cevocano Andy Warhol e Man-Ray, dall'altra viene messo a dura prova da dialoghi infiniti ed estenuanti, che sembrano non tenere conto dello spazio e del tempo. Una scelta stilistica coraggiosa se vogliamo, come un libro aperto, ma anche poco consona al concetto di cinema che abbiamo di lui. Banderas e la Cruz comunque (quest'ultima sempre più vicina all'indole di una Sophia Loren d'annata) danno il meglio di sé stessi proprio sotto la sua direzione, e Almodovar tende sempre più a rispecchiarsi in loro. Dote e limite di un mancato capolavoro, nonostante l'indiscussa sua decorosita'.
Dopo il meraviglioso "Julieta" del 2016 mi aspettavo una pellicola di eguale livello. Non è così per la narrazione lenta e spiazzante a tratti, la trama così così pur dai contenuti importanti. Bravissimi gli interpreti. Comunque un film apprezzabile.