desiderio del cuore regia di Carl Theodor Dreyer Germania 1924
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desiderio del cuore (1924)

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locandina del film DESIDERIO DEL CUORE

Titolo Originale: MIKAEL

RegiaCarl Theodor Dreyer

InterpretiWalter Slezak, Benjamin Christensen, Nora Gregor, Max Auzinger, Robert Garrison

Durata: h 1.33
NazionalitàGermania 1924
Generedrammatico
Al cinema nel Maggio 1924

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Trama del film Desiderio del cuore

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Voto Visitatori:   8,13 / 10 (4 voti)8,13Grafico
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Voti e commenti su Desiderio del cuore, 4 opinioni inserite

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Invia una mail all'autore del commento Elly=)  @  27/03/2012 00:04:52
   8 / 10
Lo sguardo.
Lo sguardo è il simbolo di questo grande film.

Grande per la parte tecnico artistica ma anche per il fronte metaforico impregnato in essa.
MICHEAL è tratto dal romanzo di Herman Bang ma ci si accorge quanto la storia abbia molti tratti autobiografici: anche Dreyer fu adottato e a sua volta si comportò da ingrato nei confronti del padre adottivo, per non parlare della citazione al grandissimo pittore che ammirava, Monet, tramite il nome del pittore Zonet.
L'arte non è solo protagonista del landscape filmico, ma la ritroviamo anche nelle sfarzose scenografie di un ricco atelier parigino del primo '900 (cosa che solitamente non esiste nei film di Dreyer) e nella fotografia, quest'ultima utilizza una luce diffusa che sembra accarezzare i volti ed è come se li tirasse fuori dall'ombra, dagli sfondi neri che hanno la funzione di risaltare questi volti così importanti e significativi, richiamando i ritratti di Antonello Da Messina o i quadri del Caravaggio.

MICHAEL film muto del 1924 esente da colonna sonora gioca tutto sull'espressività degli attori con queste lunghe inquadrature centrate sugli occhi dei protagonisti che a loro volta portano avanti la storia tenendo alta l'importanza della comunicazione che possono dare gli occhi.
Il famoso pittore, che a tratti ricorda il Sjostrom de IL POSTO DELLE FRAGOLE con uno sguardo da paura, in entrambi i sensi, quasi impossessato da una forza emotiva artistica, non per niente troverà difficoltà a dipingere la principessa, una magnifica Nora Gergo che troverà posto più tardi nel film di Renoir LA REGLE DU JEU, proprio in mancanza di quella comunicazione che i due sguardi non riescono a darsi. Improvvisamente al pittore sembra di non trovare la giusta passione negli occhi di lei e sarà successivamente Micheal, suo figlio adottivo e modello dei suoi quadri, ha trovare la passione e a dipingere il valore emotivo dello sguardo. Questo accade perché, contrariamente al vecchio che è partito dal volto, il giovane, modello alla Dorian Grey, è partito dall'osservazione degli occhi in primis grazie all'acceso amore che prova per la ragazza. Un amore che lo porterà ad essere terribilmente ingrato nei confronti di suo padre, quest'ultimo accecato dall'amore che prova per suo figlio, un amore che non è solo filiale ma anche omosessuale, non riuscirà nemmeno nel letto di morte ad aprire gli occhi e ad accorgersi che a Micheal di lui non frega niente, continuandolo ad amare profondamente.
Ma se l'amore del vecchio non è contraccambiato, nemmeno i sentimenti tra i due giovani saranno tali. O meglio tra l'orfano e la principessa coesistono sentimenti falsi o invelenita da motivi di interesse, e vediamo come definitivamente nessuno riesce a riempire quel vuoto dato per l'appunto dall'impossibilità sentimentale di attuarsi.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  12/08/2009 07:12:25
   8 / 10
Questa pellicola è, forse, innanzitutto una confessione; necessaria, dell’artista alla sua arte e, assieme, del figlio al proprio padre.
Dreyer non è ancora il maestro. Egli è per ora l’allievo. E il sentimento, reciproco ed eccessivo che lega Mikael a Zoret (l’artista alla sua arte), appare inattaccabile fino a che… una donna compare.
Vi sono momenti in cui i volti dei giovani innamorati, immersi nella luce, divengono ritratti a loro volta, nei primi piani tersi, essenziali, intensi di Dreyer, che li isola dall’austerità della casa (resa dalle inquadrature ampie - che la spogliano - e pressoché immobili). Tali momenti, sono per il maestro i più sofferti. Sa che essi valgono un addio. Che il modello del nuovo quadro non è più Mikael, ma la principessa, il cui sguardo potrà essere completato soltanto dall’allievo stesso.
Inizia il tormento, la solitudine di Zoret, specchiata nella fiera desolazione d’un nuovo dipinto che l’accompagnerà sino al letto di morte, dove l’immagine si sovrapporrà a quella del letto d’amore di Mikael e la sua bella.
La confessione, e il pentimento, sono così compiuti. Ma l’assoluzione non sarà definitiva. Dovrà passare ancora per una serie di riflessioni religiose, di esperimenti artistici, di meditazioni sugli alti valori e sentimenti umani che faranno, senza ombra di dubbio, di Dreyer uno dei più grandi registi di sempre.

Invia una mail all'autore del commento wega  @  21/07/2009 21:44:06
   7½ / 10
Beh, per ulteriori informazioni sulla trama del film c' è il commento di Marco che mi precede. "Mikael" del 1924 è quasi sicuramente la pellicola più autobiografico di Dreyer, regista amante della pittura che venne adottato (come lo è Mikael nel film) in seguito alla perdita di entrambi i genitori, e anche Dreyer (come Mikael nel film), non si era comportato altrettanto bene con il padre adottivo. Grazie alla lezione appresa da Murnau, è anche un film con cui prosegue la grande stagione dello kammerspiel, il noto "dramma da camera" che, per quanto concerne quello scandinavo, si avrà un altro grande protagonista del Cinema, un Ingmar Bergman e la maggior parte delle sue opere (mica apocalittiche, suvvia). Notevole anche la lezione appresa da Griffth ed il montaggio parallelo, qui usato nella parte finale per la combinazione di situazioni contrastanti: la tragedia per il pittore in punto di morte (che detterà il proprio testamento, scena tra l' altro sovrapponibile - anche se Lanari preferisce lo split-screen - a quella della lettera finale di Gertrud), e la gioia di Mikael per l' amore ricambiato da parte della bella giovanotta russa (in "La Passione di Giovanna d' Arco" impossibile dimenticare il dolorosissimo taglio dei capelli della Falconetti alternata a carrellate nella folla tra diversi fenomeni da baraccone). Sostanzialmente per gli anni '20 "Mikael" è un film controverso perché parla di una omosessualità latente, e per uno come Dreyer, è atipico nella sua filmografia per la presenza di scenografie accurate e barocche; inoltre crea un precedente importante per la struttura narrativa a flashback con uno sbalzo temporale di 4 anni. Un bel film di un regista pronto per una caterva di Capolavori.

Gruppo COLLABORATORI Marco Iafrate  @  03/01/2008 23:32:09
   9 / 10
Chi ha avuto la fortuna di assistere ad una mostra fotografica di Alinari in qualche palazzo o museo di una delle tante città d'arte che abbiamo in Italia, sarà rimasto sicuramente affascinato e rapito dalla bellezza delle immagini che il fotografo in quel momento è riuscito a cogliere; magari si sarà soffermato, senza rendersene conto, dei minuti su un solo particolare cercando di penetrare quel microcosmo vissuto da altri altre vite fà, è respirare la nostra storia; se vi predisporrete con lo stesso stato d'animo per assistere a questo ennesimo gioiello del grande regista danese, ne trarrete lo stesso appagamento, la sublimazione dell'arte attraverso le immagini in movimento. Siamo nel 1924 e siamo in Germania ed è incredibile come abbia potuto, probabilmente proprio per la bellezza della pellicola, l'allora giovane regista produrre e distribuire, senza problemi, un film che, anche se molto velatamente, fa chiaramente intravedere qualcosa di più di un semplice affetto tra il ricco e famoso pittore Zoret ed il suo giovane modello Mikael.
Come in Gertrud anche qui assistiamo all'impossibilità della realizzazione dei sentimenti, l'amore che assume le forme dell'ossessione e porta all'infelicità; la vita di Claude Zoret scorre tranquilla immersa nei suoi quadri, le pitture che hanno come soggetto il suo allievo, nonchè figlio adottivo, Mikael, hanno un grande successo, questo equilibrio viene meno quando un giorno la principessa Zamikoff ottiene di essere da lui ritratta; l'opera procede magistralmente fino a quando il maestro, insoddisfatto, confessa alla donna di non riuscire a penetrare nei suoi occhi, ammette quindi l'impossibilità di darle l'espressione desiderata; Zoret chiama in aiuto Mikael e sarà proprio il suo giovane allievo a concludere magnificamente l'opera. Questa sequenza, bellissima, con un significativo gioco di sguardi, segna la fine di una passione e l'inizio di un'altra, l'arte si fonde con la vita; il maestro aveva successo con i ritratti di Mikael perchè dal suo sguardo ne estrapolava passione, la stessa passione non riesce a coglierla negli occhi della donna che però quando incontra quelli di Mikael li fà brillare di una luce nuova. Abbandonato, il maestro dipinge il suo ultimo capolavoro che ha come personaggio principale il biblico Giobbe; ultimato e mostrato agli amici, la duchessa di Monthieu ammirando il quadro commenta emblematicamente riferendosi a Giobbe: "questo è un uomo che ha perso tutto", l'animo di Zoret vive nei suoi quadri.
Ancora una volta Dreyer realizza una straordinaria riflessione sul delicato equilibrio dei sentimenti, sulle difficoltà dei rapporti umani e su come poterle affrontare e tentare di superarle, ora con la religione, ora con l'arte; la bellezza del primo cinema del regista danese, quello prima del sonoro, sta tutta nell'incredibile espressività degli sguardi, nei primi piani sofferti, nel gioco di luci che enfatizza ogni movimento dei volti; dove non ci sono i dialoghi a testimoniare la sete di amore assoluto e l'impossibilità di trasferirlo agli altri, ci sono questi fantastici mezzi di comunicazione, gli occhi.

2 risposte al commento
Ultima risposta 06/01/2008 20.20.28
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