chiamami col tuo nome regia di Luca Guadagnino Italia, Francia, Brasile, Usa 2017
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chiamami col tuo nome (2017)

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locandina del film CHIAMAMI COL TUO NOME

Titolo Originale: CALL ME BY YOUR NAME

RegiaLuca Guadagnino

InterpretiArmie Hammer, Timothée Chalamet, Michael Stuhlbarg, Amira Casar, Esther Garrel

Durata: h 2.12
NazionalitàItalia, Francia, Brasile, Usa 2017
Generedrammatico
Tratto dal libro "Call Me by Your Name" di André Aciman
Al cinema nel Gennaio 2018

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Trama del film Chiamami col tuo nome

Estate 1983, tra le province di Brescia e Bergamo, Elio Perlman, un diciassettene italoamericano di origine ebraica, vive con i genitori nella loro villa del XVII secolo. Un giorno li raggiunge Oliver, uno studente ventiquattrenne che sta lavorando al dottorato con il padre di Elio, docente universitario. Elio viene immediatamente attratto da questa presenza che si trasformerà in un rapporto che cambierà profondamente la vita del ragazzo.

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Voto Visitatori:   6,87 / 10 (53 voti)6,87Grafico
Migliore sceneggiatura non originale (James Ivory)
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Migliore sceneggiatura non originale (James Ivory)
Miglior sceneggiatura non originale (James Ivory, Luca Guadagnino, Walter Fasano)Miglior canzone originale: (
VINCITORE DI 2 PREMI DAVID DI DONATELLO:
Miglior sceneggiatura non originale (James Ivory, Luca Guadagnino, Walter Fasano), Miglior canzone originale: ("Mistery of love" di Susfjan Stevens)
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Voti e commenti su Chiamami col tuo nome, 53 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Gruppo STAFF, Moderatore Jellybelly  @  12/02/2018 10:46:53
   4½ / 10
ATTENZIONE: Questo commento sarà pieno di spoiler, quindi se non volete rovinarvi la visione fermatevi qui.

Non trovo particolare piacere nell'andare controcorrente, ma per quanto mi sforzi non riesco a trovare nulla che mi sia piaciuto di questo film, che ho trovato di una pochezza disarmante.

Anzitutto, la prima mezz'ora è "Io ballo da sola" in salsa gay, sia concettualmente che soprattutto visivamente, al limite del plagio. Addirittura la piscina è identica, così come le ripetute scene che la riguardano. E se qualcuno aveva rivolto proprio al film di Bertolucci (quello sì, un capolavoro) l'accusa di essere uno spottone per la campagna toscana ad uso e consumo degli americani, il film di Guadagnino è praticamente una guida del Touring Club per americani panzoni col pizzetto ed il cappellino da baseball: anziani sorridenti che donano primizie, gentili perpetue che fanno pasta fresca ("Oh, ma sono proprio tortelli cremaschi quelli che state facendo!", dice una cremasca ad altre signore cremasche, come se un ascolano chiamasse "olive ascolane" le proprie olive, o un pugliese "Orecchiette pugliesi" le proprie orecchiette: i nativi di un posto non parlano così dei propri prodotti), gente allegra e sorridente, campagne e tramonti e cartoline in movimento.

Ma questi sono peccatucci veniali: superata la prima mezz'ora da cartolina, infatti, il film prende piede e diventa semplicemente inguardabile per la propria sciatteria. Nessun personaggio gode di alcuna caratterizzazione: abbiamo i due protagonisti, un ragazzino 17enne ed uno studioso 24enne, che sviluppano una relazione omosessuale. Tra i due, il regista vorrebbe suggerire che sia (ovviamente) il più grande ad avere una maggiore consapevolezza della propria sessualità, ed infatti è lui, Oliver, che per primo fa delle tiepide ma incisive avance verso Elio, il più piccolo, massaggiandogli una spalla nuda e turbandolo impercettibilmente. Ora, la regia non suggerisce minimamente che il ragazzino avesse già avuto pulsioni omosessuali, ed anzi il ragazzino sarebbe combattuto tra l'attrazione per il ragazzo più maturo e quella per una sua coetanea. In una tale situazione uno si aspetterebbe la messa in scena di un conflitto interiore, di un momento di maturazione fondamentale, soprattutto a quell'età. Parimenti, uno si immaginerebbe che anche da parte di Oliver dovrebbe sorgere qualche conflitto per il fatto di provare attrazione per un minorenne. Invece no, niente, zero conflitti, zero ferite, zero sviluppi: tutto accade solo perché deve, ed i due si muovono per 2 ore di film come figurine eterodirette, senza mai tradire il minimo sentimento, il minimo pathos, la minima profondità. Chi ha messo 8 o 9 a questo film veramente non vede la differenza tra questa storia, questi dialoghi, questi personaggi bidimensionali e la storia, i dialoghi ed i personaggi di Brokeback Mountain? siamo veramente caduti così in basso qualitativamente da aver dimenticato che il film di Ang Lee è il modello di riferimento per raccontare le emozioni di una relazione amorosa, prima ancora che omosessuale?

E l'assenza di conflitto e di profondità non caratterizza solo la relazione tra Elio ed Oliver, ma tutte le interazioni del film: abbiamo una ragazzina innamorata di Elio ed un'altra invaghita di Oliver. Elio va contemporaneamente con Oliver e con questa ragazzina, senza tradire (anche in questo caso) il minimo dissidio interiore: lo fa e basta, perché gli va, senza porsi né il problema di come questo possa far sentire Oliver, né di come questo possa far sentire la ragazzina. Lei è persa di lui, e gli dice che sa che lui la farà soffrire. Ad un certo punto, lui semplicemente la scaga con una scrollata di spalle, e lei se ne va via ferita ed umiliata. Bene, a questo punto uno spettatore navigato pensa che il conflitto, che la ferita possa nascere dalla consapevolezza di aver fatto soffrire inutilmente una ragazza innamorata: e invece niente, a fine film è lei che si riavvicina a lui perdonandolo come se niente fosse, senza che lui dica una parola. Ennesima figurina messa lì per esaltare la ****ggine di Elio. Idem la ragazzina invaghita di Oliver, che resta poco più che tappezzeria ed accetta tutto quello che succede con una passività irrealistica.

Sempre su Elio: è un personaggio fasullo, un Gary Stu irritante e vuoto, nonostante l'ottima prova di Thimotée Chalamet. Ha 17 anni ma un talento fuori dal comune con il pianoforte, legge classici e poesie, rimorchia quanto e come vuole. Oh, ed è onnisciente: "c'è qualcosa che non sai?", gli dice Oliver in una delle scene migliori (registicamente) e peggiori (dal punto di vista dei dialoghi) del film. Questa caratterizzazione è sciatta e svogliata, figlia di un modo di fare cinema vecchio e ridicolo, in cui si ricorreva al trucchetto di piallare ogni increspatura di un personaggio per non affaticarne la scrittura.

Oliver è vagamente migliore, ma solo perché alla premiata coppia Guadagnino/Ivory non interessava più di tanto: il suo ruolo è un po' quello dello straniero misterioso in stile Teorema, non se ne deve sapere granché. Anche in questo caso, però, il suo essere meraviglioso e speciale viene ripetuto in continuazione da tutti gli altri personaggi di contorno, che in questo trovano la propria giustificazione. Non è mai un buon segno quando uno sceneggiatore sente la necessità di far ripetere a tutti i personaggi di contorno quali siano le caratteristiche del protagonista: vuol dire che non è stato sufficientemente bravo a mostrarle in modo meno didascalico.

A far da cornice, gli inesistenti personaggi secondari, genitori di Elio su tutti. per tutto il film ricoprono il ruolo dei rassicuranti bonaccioni innamorati, ma assumono rilevanza verso la fine: innanzitutto con l'inverosimile dialogo col quale mandano il figlio a trascorrere due giorni con Oliver a Bergamo, che fa più o meno così:

Padre: "Domani Oliver parte per Bergamo, dove trascorrerà un paio di giorni a fare ricerche all'università per poi dirigersi direttamente a Milano per prendere il volo per l'America."
Madre: "Che peccato, ma come farà Elio? Mandiamolo con lui"
Padre: "Ottima idea"

Ora. Nel mondo reale, se un ricercatore universitario vuole andare in un posto per fare ricerca universitaria, non gli molli appresso un 17enne. Non ti viene proprio in mente; non fosse altro perché se il ricercatore ha deciso di ritagliarsi quei due giorni è perché evidentemente gli servivano per studiare, non per fare da babysitter ad un ragazzino (questo immaginando che i genitori – o perlomeno la madre – non sospettassero nulla: in caso contrario la pantomima tra i due genitori suonerebbe ancora più fuori luogo). Tralasciamo poi il fatto che in quei due giorni di università e biblioteche non si vede nemmeno l'ombra: i due passano il weekend in giro per i monti, ed a quel punto vien da chiedersi quale fosse il senso di andarsene da Crema due giorni prima.

Ma il clou del vuoto pneumatico si ha col discorso finale del padre al figlio, completamente irreale e stucchevole nella sua falsità: un genitore ebreo (PS: il fatto che i protagonisti fossero ebrei si rivela essere del tutto ininfluente rispetto alla trama, con buona pace della regola della pistola di Checov) che scopre che il figlio 17enne ha una storia con un 24enne non reagirebbe così oggi, figurarsi negli anni '80. L'intero dialogo è completamente finto, oltre che ovviamente privo di conflitti o ferite, come tutto il resto di questo insipido film.

Prima di concludere con le uniche due note positive del film (oltre alla già citata interpretazione di Chalamet), le ultime due note negative: una ingenua e l'altra gravissima.

Quella ingenua riguarda l'ambientazione anni '80, gestita in modo decisamente impreciso: le uniche macchine che si vedono circolare sono vecchie utilitarie tipo 126, 127 o 500, che negli anni '80 erano già pezzi di antiquariato, e se la regia non indugiasse ogni 3x2 sulle prime pagine di quotidiani d'epoca che parlano di Craxi e PSI non si avrebbe la minima percezione dell'ambientazione. Anche qui, ci sono miriadi di prodotti che, senza nemmeno dirlo, ti trascinano nell'epoca in cui ambientano i film. Senza scomodare Stranger Things, è sufficiente vedere il lavoro fatto in Donnie Darko un bel po' di anni fa: provate a paragonare la naturalezza del dialogo a tavola in cui la famiglia Darko discute dello scontro elettorale tra George H. W. Bush e Michael Dukakis con il dialogo fasullo a tavola nel film di Guadagnino con degli ospiti senza nome che recita quasi letteralmente così: "Ma tu cosa ne dici di questo scandalo del pentapartito?!" "Beh, è il compromesso storico". Io c'ero negli anni '80, a tavola non si parlava così: queste sono rielaborazioni da editorialisti del Corsera.

Se questa però è un'ingenuità tutto sommato scusabile, la scena più emblematicamente ignobile del film è quella della pesca.

In sintesi, abbiamo Elio che fantastica su Oliver, ed a quel punto prende una pesca e la stuzzica col dito con chiara allusione sessuale. Ove però l'allusione non fosse di per sé sufficientemente esplicita, Elio affonda sempre di più il suo dito nella pesca fino a farne fuoriuscire il succo. A questo punto potrebbe anche bastare, e invece no: Elio estrae il nocciolo e si infila la pesca nelle mutande. Dopo aver abusato del povero frutto, lo appoggia sul comodino. A quel punto la volgarità del tutto gratuita e priva di poesia di un film che si vorrebbe poetico e sensibile avrebbe già raggiunto l'acme, e invece no, perché arriva Oliver e cosa fa con la pesca? Ovviamente se la vuole mangiare per non sprecarne il Sacro Succo.

E' una scena bruttissima cinematograficamente, e non tanto perché esplicita (la scena della masturbazione in Happiness di Solondz lo è molto di più, ma è perfetta) ma perché fuori contesto, ridicola, volgare in modo gratuito e fuori contesto. Una roba da cinepanettone, una roba che verrebbe in mente a Neri Parenti. Ma d'altra parte è tutta la sceneggiatura di questo film che fa schifo, e non stupisce che la firmi James Ivory: un ex grande regista 90enne che non gira un film da quasi 10 anni e che non gira un bel film da oltre 20 anni. Non nascondiamoci dietro ad un dito: Ivory non è più lui da fin troppo tempo perché il suo nome diventi di botto sinonimo di qualità, oggi.

E veniamo alle due cose buone del film, le uniche per quanto mi riguarda (oltre al protagonista): le musiche di Stevens (che grande spreco) ed i bellissimi titoli di coda davanti al fuoco, guardacaso unico momento in cui c'è un briciolo di sentimento autentico, un briciolo di nostalgia, senza bisogno di didascalismi. La stessa regia elegante di Guadagnino (molto lodata) è a mio avviso eccessivamente paracula e stucchevole. Senza scomodare il solito Sorrentino (la grande bellezza non è il suo film migliore, ed ha comunque consegnato alla storia del cinema almeno 3 scene), riguardatevi i primi 10 minuti di Reality di Garrone: quella è una regia al servizio della storia, che fa la differenza. Quella di Guadagnino va bene per gli spot della regione Lombardia, se gli va bene.

Insomma, nel complesso un film da buttare, inspiegabilmente catapultato in una dimensione più grande di lui, da cui temo uscirà con la coda tra le gambe. O meglio, me lo auguro, perché il cinema italiano non ha bisogno di sentirsi figo con film così vuoti: ha bisogno di sceneggiatori ed autori che sappiano raccontare una storia, e sappiano farlo bene.

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Ultima risposta 13/03/2018 16.19.20
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