c'era una volta in anatolia regia di Nuri Bilge Ceylan Turchia 2011
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c'era una volta in anatolia (2011)

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locandina del film C'ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA

Titolo Originale: BIR ZAMANLAR ANADOLU'DA

RegiaNuri Bilge Ceylan

InterpretiYilmaz Erdogan, Taner Birsel, Ahmet Mumtaz Taylan, Muhammet Uzuner

Durata: h 2.45
NazionalitàTurchia 2011
Generedrammatico
Al cinema nel Giugno 2012

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Trama del film C'era una volta in anatolia

Nel cuore delle steppe dell'Anatolia, un assassino cerca di guidare una squadra della polizia verso il luogo dove ha sepolto la sua vittima. Nel corso di questo "viaggio" emergono gli indizi di cosa è davvero accaduto...

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Voto Visitatori:   7,16 / 10 (19 voti)7,16Grafico
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Voti e commenti su C'era una volta in anatolia, 19 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73  @  20/11/2012 13:53:01
   7 / 10
Nei brulli e semidesertici territori dell'Anatolia si cerca la vittima di un omicidio, la notte avviluppa luoghi primitivi rischiarati solo dai lampi di un imminente temporale e il panorama si fonde in un tutt'uno di ombre facendo diventare ostica l'individuazione del luogo dove il cadavere è stato abbandonato.
Il presunto assassino, forse volontariamente, prolunga le ricerche, mentre le auto e gli uomini che lo accompagnano si fanno strada tra mulattiere e vie sterrate, nelle viscere di un paese in cui l'arcaicità e le tradizioni si uniscono all'urgenza di allinearsi con il resto del mondo.
I silenzi si fanno pesanti e pregni di significati di non sempre facile accesso, come i lunghi piani sequenza cui Nuri Bilge Ceylan ricorre spesso, gli scatti verbali colpiscono quindi di sorpresa portando a galla tormenti e afflizioni di uomini rispettati, eppure con un vissuto che divora da dentro la loro anima.
I protagonisti si avvicendano: il commissario, il procuratore e per finire il medico si scambiano di posizione nel racconto, mentre la notte e l'isolamento li invogliano ad aprire al prossimo i loro cuori, ad esporre crucci inizialmente tenuti a freno da divagazioni pretestuose e da attacchi d'ira, null'altro che sfoghi, modalità per non cedere a quello da cui vengono perennemente perseguitati.
Il ritorno della luce segna la riappropriazione dei ruoli di competenza, per qualcuno la prassi rende dormienti i propri pensieri, per altri resta ancora da fare qualcosa, un atto di pietà o un insabbiamento, forse per non aumentare il dolore di un bimbo e una donna, o forse per coprire un uomo con il quale le affinità non sono poi così sottili.
Il fatto di sangue non è essenziale per il racconto tanto che non si avrà alcuna certezza riguardo l'indagine, essa resta marginale èd è solo un mezzo per sondare cosa sia occultato sotto uniformi e titoli di studio.
Un film instabile, che sperpera parecchie attrattive all'interno di tempi dilatatissimi espressi con fin troppa ostinazione e non sempre equilibrio perfetto. Ceylan manifesta un certo estremismo nell'approccio artistico, divaga volontariamente, sembra perdersi tra lungaggini d'ogni sorta per poi ritrovarsi all'improvviso esigendo un considerevole sforzo dallo spettatore, messo a dura a prova anche dalla durata fluviale della pellicola.
A tratti poetico, in altri malinconico o rabbioso, un film bello ma irritante, sovraccarico e multiforme quanto la varietà di sentimenti che si inseguono in attesa di una verità che nemmeno il pallido sole diurno priverà dei suoi anfratti tenebrosi.

4 risposte al commento
Ultima risposta 21/11/2012 11.13.08
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Rask  @  14/08/2012 22:39:47
   8 / 10
Calvario alla ricerca del proprio cadavere, adagio meditativo senza brio. Film dai tempi geologici che pone la questione principale: i cadaveri devono rimanere sepolti?
Gli scenari brulli e senza riferimenti delle steppe dell'Anatolia in cui i personaggi brancolano nel buio sono luoghi mentali di disagio e rimozione. Ceylan usa un linguaggio (dimenticato) denso di simboli e spazi di assimilazione. Si veda la mela caduta che ripercorre la traiettoria già vista da altre mele finite lì a marcire (la ripetitiva e inevitabile caducità del tutto) o la donna-angelo che offre da bere nella notte (bellezza che nello spirito russo ferisce e commuove chi elabora i propri mali). Ma il tema dominante è quello dell'opportunità della verità, trattato con una severità estrema culminante nel lungo sguardo inquisitore in camera del dottore protagonista, che fissa in realtà uno specchio come a dire: "E tu, cosa hai sepolto?". C'è la verità - di per sé una collezione di eventi - e tutto l'universo emotivo che vi orbita; parte della sensazione di alienazione di alcune scene emerge proprio dall'affiancare la descrizione asettica e dis-umana della verità (i verbali formali recitati con monotonia da ufficio) e l'intimità complessa dei personaggi. Due piani entrambi reali, ma emotivamente inconciliabili. Poi è poco rilevante il come ci si arrivi, alle cose, se per caso, per ricerca coraggiosa, o per imposizione esterna. In ogni caso la verità, quella particolare e quella universale, sarà male accolta. L'innocenza del bambino nel finale è l'essere schermati dalle verità del mondo, ma non si capisce se sia una condizione da preservare.

1 risposta al commento
Ultima risposta 18/11/2012 20.24.18
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  09/07/2012 19:00:09
   7½ / 10
Persi nella vaghezza di un paesaggio indefinito che offre ben poche coordinate, l'indagine della ricerca di un cadavere sepolto nella steppa anatolica fa emergere in realtà i sensi di colpa dei tre personaggi principali (il commissario, il procuratore e il dottore). Ad ogni tappa, ad ogni tentativo frustrato vengono alla luce piccoli tasselli della composizione del puzzle. Visivamente è un'opera interessante e piena di fascino specialmente nella parte notturna dalla resa ottimale e perfettamente funzionale al vagare senza meta di tutto il gruppo alla ricerca di una verità su loro stessi che in fondo non vogliono nemmeno scoprire, perchè in fondo non è nemmeno tanto sottinteso il significato prettamente politico di questo film sulla Turchia moderna, prigioniera di un passato violento e dall'incapacità di fare i conti con esso, usando la menzogna come strumento di rimozione delle proprie colpe, anche se la colpa è li davanti ai tuoi occhi.

10 risposte al commento
Ultima risposta 18/07/2012 23.33.45
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Crimson  @  08/07/2012 14:15:18
   8½ / 10
Spoiler presenti.

Si dice che sia "meglio una bugia a fin di bene che una dura verità". Le variazioni sul tema sono poi molteplici, ma il succo è tale. Dipende da ciò che intendiamo per "bene".
Per Ceylan la ripetitività della Natura va di pari passo a quella umana. Ciascuno è intimamente votato alla ricerca di qualcosa di sconosciuto. Non c'è senso alcuno, solo lo scorrere di una serie di circostanze che hanno già avuto luogo e la cui reiterazione è inarrestabile: come una mela che spinta dall'impeto del vento effettuerà sempre "quel" determinato percorso "che è già accaduto". La ricerca del senso della realtà a cui gli uomini credono di attribuire così tanta importanza si dissolve puntualmente nell'amara constatazione di un'inafferrabilità lacerante.
Ceylan è un artista dilaniato dall'assoluta mancanza di un affrancamento univoco tra verità e realtà. I "suoi" uomini non si capiranno mai. E poi c'è un riferimento onnipresente, parte integrante della lente del Cinema che filtra la sua visione di realtà. Si chiama Michelangelo Antonioni.
Per il regista/attore turco, l'ossessione per il suo "padre" cinematografico equivale ad un omaggio costante, come se ci fosse un mai celato autocompiacimento nell'esserne definito l'erede.
In questo caso il filtro è 'Blow-up'. C'è tutto o quasi: un cadavere che sfugge; la ricerca assillante della verità; la panto-partita finale; la constatazione di un dato di fatto oggettivo che accomuna tutti, una sofferenza di cui bisogna farsi capaci.
L'idea di fondo è di triplicare il personaggio di Thomas (David Hemmings nel film di Antonioni).
C'è il commissario, un "vero" (?) religioso, marito sottomesso ma voce grossa con i farabutti. Un individuo che detta sempre le condizioni sul proprio lavoro e che mal tollera la frustrazione. La verità è il successo della sua operazione professionale. Non c'è molto altro.
Non è etico legare un cadavere, "ma lo diverrebbe" al fine di condurlo via da un luogo di sepoltura provvisorio, profano e approssimativo.
Lo scambio di battute sullo yogurt è esemplare nel delineare volontà, carattere, subordinazione. E' singolare e lascia sorridere come una sequenza tanto "Tarantiniana" possa trovare una collocazione così pertinente in un film del regista turco. Chi tace non prende posizione, probabilmente perché non ha interesse a farlo né ne comprende il motivo. Già in questa sequenza avviene il primo punto di contatto tra l'uomo accusato di omicidio e il dottore.
L'assassino, già, è l'etichetta che occorrerebbe rimuovere al più presto. Solo un essere bestiale sarebbe capace di sotterrare un uomo vivo, tuttavia se la nostra mera preoccupazione di catalogare gli esseri umani in "giusti" e "ingiusti", "eroi" e "mostri" non prendesse il sopravvento, forse presteremmo maggior attenzione alle lacrime genuine di un padre disperato perché ha ricevuto una sassata dal figlio.
La narrazione filmica nasconde abilmente la richiesta che l'uomo avanza al capo delle indagini: "Si prenda cura di mio figlio". E' la predicazione di un uomo alla ricerca di un riscatto morale.
Il capo delle indagini non è assolutamente in grado di raccoglierne il senso e di conseguenza la responsabilità. Lo farà il dottore, o quantomeno ci proverà.

Il procuratore ha messo in atto un meccanismo di difesa tale da non considerare minimamente l'ipotesi che sua moglie si sia potuta suicidare. La fragilità di una tale supposizione è insita nell'autoconvinzione del perdono ricevuto.
Lo svelamento della verità gli permette di appurare una realtà di colpa, solitudine, punizione.
Lui non voleva conoscere.
Il dottore non giudica ma scopre che il suo accanimento per confutare la verità non ha condotto a migliorare la realtà, tutt'altro!
Ora c'è un vivente (il procuratore) che ha motivo di soffrire per tutto il corso della propria esistenza a causa dell'epifania della propria colpa.

In virtù di ciò, il dottore riflette e sancisce la "sua" verità. Se la realtà è così patetica, raccapricciante, meschina e grottesca, alterarne il senso compiutamente, attraverso la menzogna, indipendentemente dall'effetto è quanto di più lontano e inafferrabile possibile rispetto al "peccato" religioso e alla "verità" dettata dalla convenzione sociale.
Egli mistificando il referto autoptico ha nascosto a un figlio quale abominio il padre abbia potuto compiere, riscattando la tardiva ma verace volontà di quest'ultimo.
Al tempo stesso ha pensato di tutelare il bambino da quell'orrore che ha scoperto nell'avvicinarsi troppo alla verità. L'inchiesta che perseguiamo per verificare la natura degli eventi è un travaglio che nasconde l'insidia di arrecare sofferenza anziché sancire un riequilibrio che sia innanzitutto morale.
Il dottore, indubbiamente scosso e influenzato dal senso di colpa provato per aver indirizzato il procuratore a scoprire che la moglie si è suicidata per punirlo, agisce stavolta in maniera opposta. In quel bambino forse vede sé stesso ancora innocente, quando tutto era possibile e c'era ancora un senso da attribuire alla vita. Sembra compiacersi del suo gesto perché lo stesso bambino che poco prima aveva scagliato un sasso su un adulto reo di aver compiuto un'azione malvagia, ha la stessa percezione delle azioni propositive per gli altri (restituire il pallone).
Ho precisato come nella mia modesta opinione nel mondo adulto dei film di Ceylan è tutto talmente contorto e inficiato dai sensi di colpa da perdere di senso.
Se il bambino giungesse (di già!) alla constatazione di ciò (venendo a conoscenza che c'era terra nei polmoni e nella trachea del cadavere) perderebbe l'innocenza ancora possibile che l'adulto prima o poi infrangerà facendogli ricadere addosso le proprie colpe.
Prima o poi il bambino scoprirà il mondo adulto e le sue leggi incontrovertibili.
Ceylan attraverso il gesto del dottore sembra voler ritardare questa considerazione ineluttabile di sconfitta e disperazione. Inoltre, di pari passo, sembra voler rendere ancora più scomposta la frattura tra i due stadi di esseri viventi, come per isolare l'illusione dalla cruda presa di coscienza.
Non c'è un granché di cui rallegrarsi.

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Ultima risposta 15/09/2012 13.05.49
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